Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21287 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. III, 14/10/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 14/10/2011), n.21287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6365/2006 proposto da:

V.L. (OMISSIS), V.S.

(OMISSIS), V.G. (OMISSIS), V.

M. (OMISSIS), L.A. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 7, presso lo

studio dell’avvocato DI GIACOMO ENRICO, rappresentati e difesi

dall’avvocato COLIZZI Sauro, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

MURATORI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE

GIANTURCO 11, presso lo studio dell’avvocato COLLELUORI Rita, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIANIGIANI FINESCHI

MARCO, TAMBORINO DANIELA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1185/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 29/08/2005; R.G.N.2275/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per accoglimento 1^ motivo;

assorbito il 2^ motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30.10.1997 la s.r.l. Muratori, dichiarandosi creditrice di L. 11.291.116 nei confronti di Va.

G., ha convenuto davanti al Tribunale di Arezzo il debitore e la sorella di lui, V.L., chiedendo che venisse dichiarata la simulazione, o disposta la revoca ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., dell’atto con cui il suo debitore aveva trasferito alla sorella l’unico cespite immobiliare di sua proprietà.

All’udienza del 15.12.1998, è stato dichiarato il decesso del convenuto Va.Gi. (decesso avvenuto il (OMISSIS)), ed il Tribunale ha disposto l’interruzione del processo.

L’attrice ha riassunto il giudizio con ricorso depositato il 13.4.1999 e notificato alla vedova ed ai figli di Va.Gi., L.A. e S., G. e V.M..

Questi ultimi sono rimasti contumaci.

Il Tribunale ha respinto l’azione di simulazione ed ha accolto l’azione revocatoria, condannando i convenuti al pagamento delle spese processuali.

V.L., la L., e i germani V. hanno proposto appello, deducendo – per quanto interessa in questa sede – che il processo era stato erroneamente riassunto nei confronti della vedova e dei figli del Va.Gi., poichè questi non sono eredi, avendo rinunciato all’eredita con atto 21.2.2002. Il giudizio di primo grado, pertanto, avrebbe dovuto essere dichiarato estinto.

La Muratori ha resistito all’impugnazione, proponendo a sua volta appello incidentale in ordine alla liquidazione delle spese.

Con sentenza n. 1185/2005, notificata il 16 novembre 2005, la Corte di appello ha ritenuto valida ed efficace la notificazione dell’atto di riassunzione nei confronti degli appellanti, in considerazione del fatto che, a quella data, questi non avevano ancora rinunciato all’eredità; ma ha rilevato che – a seguito della rinuncia – il contraddittorio avrebbe dovuto essere esteso al curatore dell’eredità giacente.

Ha pertanto annullato la sentenza di primo grado, rimettendo la causa al Tribunale di Arezzo ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., comma 2, affinchè si pronunciasse anche in ordine alle spese del giudizio di primo grado. Ha posto a carico degli appellanti le spese del giudizio di appello, addebitando loro di non avere reso nota all’attrice la rinuncia all’eredità fin dal giudizio di primo grado, provocando il protrarsi della controversia.

Con atto notificato il 13 gennaio 2006 V.L., L. A., S., G. e V.M. propongono cinque motivi di ricorso per cassazione.

Resiste l’intimata con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 110 e 305 cod. proc. civ., artt. 521 e 2697 cod. civ., nonchè contraddittoria motivazione, i ricorrenti assumono che erroneamente la Corte di appello ha respinto l’eccezione di estinzione del processo, poichè la parte che riassume ha l’onere di dimostrare la qualità di eredi dei soggetti chiamati in giudizio. Richiamano a supporto il principio affermato dalla sentenza 24 agosto 1998 n. 8391 di questa Corte.

1.1.- Il motivo non è fondato.

Va premesso che nel caso di specie la morte di Va.Gi., avvenuta il (OMISSIS), è stata dichiarata in udienza il 15.12.1998, solo sei giorni prima della scadenza del termine di un anno dalla morte, entro il quale l’atto di riassunzione del processo – interrotto in quest’ultima data – avrebbe potuto essere notificato collettivamente ed impersonalmente agli eredi, nell’ultimo domicilio del defunto.

Va altresì precisato che l’atto di rinuncia all’eredità è stato compiuto dai ricorrenti il 21 febbraio 2002, più di tre anni dopo la notificazione del ricorso in riassunzione. Si tratta di stabilire se l’attrice fosse tenuta a dimostrare – per poter validamente riassumere il processo – non solo che i destinatari dell’atto di riassunzione avevano formalmente titolo per succedere al defunto, quali eredi legittimi e legittimari, ma anche che essi non avevano rinunciato all’eredità, sebbene all’epoca la rinuncia non fosse ancora avvenuta ed essi fossero ancora largamente in termini per decidere se accettare o rinunciare.

Ritiene questa Corte che il principio richiamato dai ricorrenti, secondo cui la legittimazione dell’erede sussiste non in forza della mera delazione dell’eredità, ma solo per effetto dell’accettazione, espressa o tacita (Cass. civ. n. 8391/1998 cit., Cass. civ. Sez. 2, 12 giugno 2006 n. 13571 e 14 novembre 2008 n. 27274), non sia applicabile al caso in esame.

Il principio è stato enunciato dalla giurisprudenza in casi in cui sì trattava di disporre l’evocazione in giudizio di un soggetto indicato come erede e litisconsorte necessario (Cass. civ. n. 8391/1998 cit., ove l’atto di riassunzione, notificato entro l’anno dalla morte era stato indirizzato non agli eredi impersonalmente, ma ad uno solo di essi, erroneamente indicato come successore universale; Cass. n. 13571/2006 e n. 27274/2008 cit., in cui si chiedeva che la Corte di cassazione disponesse di ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti di un ipotetico erede, senza che la parte che aveva sollevato l’eccezione di non integrità del contraddittorio ne avesse dimostrato l’effettiva qualità e legittimazione).

E’ chiaro che nei casi richiamati si imponeva un accertamento più che rigoroso della legittimazione passiva del soggetto a cui avrebbe dovuto essere esteso il contraddittorio.

Qualora invece si tratti del mero problema della corretta riassunzione del processo dopo la morte della parte, la legittimazione passiva può essere individuata allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta – o conoscibile con l’ordinaria diligenza – alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare (rinuncia, indegnità, premorienza, ecc.).

La funzione dell’atto di riassunzione è infatti quella di proseguire il giudizio, mettendo i controinteressati in condizione di venire a conoscenza della lite e di svolgervi le proprie difese, ivi inclusa quella avente ad oggetto l’eventuale sopravvenuta carenza della loro legittimazione o del loro interesse a contraddire.

Deve essere perciò condiviso il principio enunciato da Cass. civ. 11 aprile 1984 n. 2331, a cui si è uniformata la Corte di appello, secondo cui la parte che riassume il giudizio deve diligentemente accertare che i convenuti in riassunzione come eredi siano formalmente investiti del titolo a succedere, e che un tale titolo permanga al momento della riassunzione.

Qualora il venir meno del titolo non risulti da atti o fatti agevolmente conoscibili dai terzi (registro delle successioni, trascrizioni nei registri immobiliari, ecc.), ma da cause o da eventi non ancora verificatisi alla data della notificazione dell’atto, la riassunzione è da ritenere regolare, qualora la legittimazione passiva sussista con riferimento a quanto legalmente risulta allo stato degli atti.

Viene a gravare sui convenuti in riassunzione, in tal caso, l’onere di dimostrare il contrario e se del caso di chiarire la loro posizione in tempo utile.

Ciò vale in particolar modo nei casi simili a quello in esame, in cui la causa debba essere riassunta nei confronti degli eredi della parte defunta, ed il venir meno della qualità di erede dipenda da una libera scelta dell’interessato, guai è la rinuncia all’eredità, non ancora esternata alla data della notificazione dell’atto di riassunzione.

Analogo principio è stato applicato dalla giurisprudenza di questa Corte nei casi di impugnazione della sentenza (Cass. civ. Sez. 3, 4 marzo 2002 n. 3102; Cass. civ. Sez. 1, 12 settembre 2008 n. 23543), che ha ritenuto nulla la notificazione dell’impugnazione, o dell’atto di integrazione del contraddittorio, all’erede che abbia rinunciato all’eredità nel solo caso in cui la rinuncia sia avvenuta in data anteriore alla notificazione).

La seconda sentenza ha specificato che anche in questo secondo caso l’impugnazione non è inammissibile, ma può essere rinnovata, qualora il notificante alleghi di non aver potuto osservare il primo termine per causa a lui non imputabile).

La suddetta interpretazione è anche l’unica conforme ai principi in tema di sollecita definizione del processo e di tutela del diritto di difesa, di cui all’art. 111 Cost., ove si consideri che la tesi prospettata dai ricorrenti metterebbe la parte interessata alla riassunzione nella grave difficoltà, se non nell’impossibilità, di procedervi, qualora – essendo stata dichiarata la morte della controparte e interrotto il processo oltre il termine di un anno, entro il quale è ammessa la notificazione dell’atto agli eredi impersonalmente – essa si trovasse non solo a dover accertare la mancanza di un atto di rinuncia di ogni singolo avente titolo all’eredità, ma anche a dover procedere eventualmente ai sensi dell’art. 481 cod. civ., facendo fissare alle controparti un termine per dichiarare se accettano o rinunciano; procedura che difficilmente potrebbe essere esaurita nel ristretto termine fissato dalla legge per la riassunzione del processo.

Correttamente, quindi, la Corte di appello ha ritenuto valido l’atto di riassunzione.

2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., ed omessa o contraddittoria motivazione, nella parte in cui la Corte di appello li ha dichiarati soccombenti ed ha posto a loro carico le spese del giudizio di appello.

Assumono che la Corte ha comunque accertato che essi non sono legittimati a contraddire, tanto che ha disposto la rimessione degli atti al Tribunale e l’integrazione del contraddittorio nei confronti del curatore dell’eredità giacente, e che essi hanno immediatamente eccepito in appello di avere rinunciato all’eredità.

La decisione sarebbe comunque ingiustificata nei confronti della V.L., che ha partecipato al giudizio di primo grado quale acquirente dell’immobile oggetto di azione revocatoria.

2.1.- Il motivo è manifestamente infondato.

I ricorrenti, ivi inclusa V.L., sono risultati soccombenti con riferimento alla domanda principale da essi proposta in appello, che aveva ad oggetto la dichiarazione di estinzione del giudizio per invalidità dell’atto di riassunzione.

Agli altri convenuti è comunque imputabile il fatto di non avere reso tempestivamente nota la loro posizione e la successiva rinuncia all’eredità, provocando l’inutile protrarsi del giudizio, come ha giustamente rilevato la sentenza impugnata.

3.- Il terzo e il quarto motivo – con cui i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 91 e 112 cod. proc. civ. e nullità della sentenza, per omessa pronuncia sulla domanda di V.L. di condanna della s.r.l. Muratori al rimborso delle spese di entrambi i gradi del giudizio – sono manifestamente infondati.

La Corte di appello ha rimesso al Tribunale, a cui ha rinviato la causa ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., anche la decisione sulle spese del giudizio di primo grado, con riferimento a tutte le parti, ivi inclusa la V.; sicchè non vi è omissione di pronuncia.

Quanto al giudizio di appello, considerazione assorbente di ogni censura è che anche V.L. è risultata soccombente con riferimento al principale motivo di appello.

4.- Il quinto motivo, con cui i ricorrenti lamentano l’eccessività dell’importo delle spese liquidate a loro carico, che violerebbero i massimi tariffari in relazione al valore della causa, è inammissibile.

Com’è noto, chi intenda impugnare per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, denunciando la violazione dei minimi o dei massimi tariffari, è tenuto a specificare analiticamente quali siano le voci della tariffa che assume violate, e quali importi avrebbero dovuto essere liquidati. Ciò allo scopo di consentire alla Corte di cassazione di valutare la fondatezza o meno delle censure, senza dover svolgere ulteriori indagini in fatto (Cass. civ. Sez. 2, 16 febbraio 2007 n. 3651; Cass. civ. Sez. 1^, 7 agosto 2009 n. 18086, fra le tante).

I ricorrenti hanno indicato le voci a loro avviso liquidate in modo eccessivo, ma hanno omesso di considerare che la Muratori ha dovuto svolgere le sue difese nei confronti di di più di una parte, e che la tariffa professionale prevede in questi casi l’incremento dei massimi tariffari in relazione a ciascuna parte la cui posizione richieda l’esame di particolari situazioni (art. 5, comma 1, della tariffa prof.) Il ricorso avrebbe quindi dovuto specificare se ed in che misura le posizioni degli appellanti abbiano richiesto l’esame di situazioni differenziate ed avrebbe dovuto dimostrare che – pur applicando i conseguenti incrementi dei massimi tariffari – sussiste la lamentata violazione.

5.- Il ricorso deve essere rigettato.

6.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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