Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21284 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 09/08/2019), n.21284

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23867/18 proposto da:

I.H., rappresentato e difeso dall’avvocato Lia Minacapilli,

in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, presso di

all’indirizzo PEC lia.minacapilli.avvocatienna.legalmail.it;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Palermo 12 giugno 2018 n. 1712;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10 luglio 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I.H., cittadino pakistano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di essere stato costretto a lasciare il suo Paese (Pakistan) narrando che svolgeva il lavoro di guardia giurata; che mentre era di guardia ad una banca questa venne rapinata da una banda di malviventi; che egli riconobbe uno dei malviventi, e che quest’ultimo lo minacciò ripetutamente di morte.

3. La commissione territoriale rigettò tutte le domande e il Tribunale in composizione collegiale fece altrettanto.

Ritenne il tribunale che:

-) i fatti narrati dal ricorrente non palesavano l’esistenza di una persecuzione per i motivi previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8;

-) la protezione sussidiaria non potesse essere concessa perchè il ricorrente non era stato condannato a morte, nè era esposto al rischio di tortura, nè nel suo paese sussisteva una condizione di violenza indiscriminata (a tal riguardo la sentenza impugnata cita quattro diverse fonti internazionali);

-) la protezione umanitaria non poteva essere concessa perchè il ricorrente era sano, adulto, non radicato nel tessuto economico sociale italiano, e di conseguenza mancavano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. La sentenza del Tribunale è stata impugnata per cassazione da I.H. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso.

1.1. I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè strettamente connessi.

Con essi il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 112 c.p.c.; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5 e 14.

Nella illustrazione di ambedue i motivi si sostiene che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che in Pakistan non sussista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

1.2. Ambedue i motivi sono in parte inammissibili, ed in parte infondati.

Nella parte in cui lamentano la violazione, da parte del giudice di merito, del c.d. “principio di cooperazione istruttoria” (ovvero del dovere di accertare anche d’ufficio le effettive condizioni sociopolitiche della regione di provenienza del richiedente asilo) i motivi sono infondati, avendo il Tribunale indicato gran copia di fonti internazionali (pagina 7 della sentenza) dalle quali ha tratto il proprio convincimento.

Nella parte, invece, in cui sostengono – questo il nucleo della censura che il Tribunale avrebbe sbagliato nel giudizio di insussistenza d’un conflitto armato, i motivi sono inammissibili, perchè censurano un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo il ricorrente censura, formalmente prospettando la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, il rigetto della domanda di protezione umanitaria.

Sostiene che il tribunale di Palermo “non ha considerato la situazione di instabilità del Pakistan alla luce di quanto emerge dalle fonti ufficiali, di per sè idonea a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria”.

3.2. Anche questo motivo è manifestamente inammissibile.

In esso, infatti, a ben vedere il ricorrente non muove alcuna analitica censura alla sentenza impugnata, ma si limita a dedurre che “appare evidente” che, se tornasse in patria, non potrebbe godere dei propri diritti umani fondamentali.

Non è tuttavia dedotta nell’illustrazione del motivo nessuna ipotesi specifica di vulnerabilità, nè tanto meno si indica nel ricorso quando, in che termini ed in quale atto processuale tale situazione specifica di vulnerabilità era stata dedotta nei gradi di merito; nè ovviamente, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, che è misura atipica e residuale, può conseguire ipso iure al solo fatto che il richiedente si sia viste rigettare le altre domande di protezione internazionale (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02).

4. Le spese.

4.1. Ritiene questa Corte che le spese del presente giudizio di legittimità

debbano essere compensate, ex art. 92 c.p.c..

Il Ministero dell’interno, infatti, si è difeso con un controricorso dalle seguenti caratteristiche:

-) consta, al netto dell’epigrafe e delle conclusioni, di dieci righe dattiloscritte;

-) in queste dieci righe manca qualsiasi riferimento al caso specifico;

-) le suddette righe consistono in un mero clausolario di stile, bonne à toute faire e teoricamente spendibile in qualsiasi tipo di giudizio.

Ne consegue che il controricorso in esame non ha arrecato alcun utile contributo al dibattito processuale, e se pur non può ovviamente ritenersi nullo, può certamente ritenersi inutile.

5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di I.H. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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