Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21282 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 09/08/2019), n.21282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23363/18 proposto da:

H.E.E., elettivamente domiciliato in Trento, via

Calepina 75, presso l’avvocato Sabina Zullo, che lo rappresenta e

difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 22 giugno 2018

n. 1774;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10 luglio 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. H.E.E., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di essere stato costretto a lasciare il suo Paese (Nigeria) poichè aveva avuto una relazione sentimentale, dalla quale era nato un figlio, con una ragazza già promessa in sposa a persona appartenente alla setta degli (OMISSIS), setta dedita ad attività criminali. Per timore della vendetta degli aderenti a tale setta, la ragazza fuggì in un’altra città, ed il padre di lei lo accusò di avere rapito e violentato la figlia.

Soggiunse in seguito di essere stato sequestrato e minacciato da sicari inviati dalla persona cui la ragazza era stata promessa in sposa, i quali tuttavia promisero di risparmiargli la vita a condizione che abbandonasse il paese.

3. La commissione territoriale rigettò l’istanza; il Tribunale di Venezia rigettò il ricorso avverso tale decisione e la Corte d’appello di Venezia confermò la decisione.

Ritenne la Corte d’appello che:

-) la narrazione del richiedente asilo non era credibile;

-) non erano stati mai neanche allegati, del ricorrente, i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, ed in ogni caso nella regione di provenienza del ricorrente (Edo State) non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria non poteva essere concessa, perchè mancavano “anche a livello di allegazione” elementi idonei a “definire la presumibile durata di una esposizione ad uno specifico rischio”.

4. Ricorre per cassazione avverso la suddetta sentenza H.E.E. con ricorso fondato su quattro motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta – senza formalmente richiamare alcuna delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c. – che la sentenza impugnata avrebbe per un verso violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e per altro verso omesso di esaminare un fatto decisivo.

Nella illustrazione del motivo, dopo avere riassunto il quadro normativo in tema di protezione internazionale, si deduce che in Nigeria esiste un pericoloso contesto di violenza; che lo Stato non è in grado di garantire l’incolumità dei cittadini; che varie associazioni criminali o terroristiche si contendono il potere; e che “alla luce di tutto ciò è evidente come il rimpatrio aumenterebbe il rischio (per il ricorrente) di subire un grave pregiudizio alla persona”.

1.2. Nella parte in cui lamenta l’omesso esame del fatto decisivo, il

motivo è inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte, nell’interpretare il novellato art. 360 c.p.c., n. 5, hanno stabilito (quattro anni prima dell’introduzione del presente ricorso) che colui il quale intenda denunciare in sede di legittimità un errore consistito nell’omesso esame d’un fatto decisivo, ha l’onere di indicare:

(a) quale fatto non sarebbe stato esaminato;

(b) quando e da chi era stato dedotto in giudizio;

(c) come era stato provato;

(d) perchè era decisivo (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Nel caso di specie, il primo motivo di ricorso non contiene nemmeno una delle suddette analitiche indicazioni, nè spiega in qualche modo quale “fatto materiale” la Corte d’appello avrebbe trascurato di considerare: a meno di non volere ritenere che per “fatto materiale” il ricorrente intenda la generale situazione sociopolitica della Nigeria, che la Corte d’appello però ha espressamente preso in esame alla p. 6, p. 12, della sentenza.

1.3. Nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo è, del pari, inammissibile.

Innanzitutto non è affatto chiaro se, con tale confuso motivo, il ricorrente abbia inteso censurare il rigetto della domanda di asilo od il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, ed in quest’ultimo caso con riferimento a quale delle tre ipotesi previste al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

In secondo luogo, esso prescinde del tutto dal contenuto della sentenza impugnata.

Questa, infatti, come accennato, ha ritenuto che:

a) l’odierno ricorrente none risultava condannato a morte, nè esposto al rischio di tortura;

b) in ogni caso nella regione di sua provenienza (Edo State) non sussisteva una situazione di conflitto armato, citando al riguardo quale fonte di cognizione il rapporto annuale “Refworld”.

A fronte di questa struttura della sentenza impugnata, il motivo in esame non sfiora nemmeno la ratio decidendi sub (a); mentre con riferimento alla ratio decidendi sub (b) si limita a contrapporre le proprie deduzioni in fatto a quanto ritenuto dalla Corte d’appello.

Ma lo stabilire se il ricorrente, nel proprio Paese sia o non sia esposto al rischio di un pericolo di danno alla persona in conseguenza di situazioni di conflitto armato è un apprezzamento di fatto, non una valutazione in punto di diritto, come tale non sindacabile in sede di legittimità una volta che come è avvenuto nel caso di specie – il giudice di merito tragga le sue conclusioni da fonti internazionali attendibili ed aggiornate.

Non sarà superfluo aggiungere, anche al fine di moralizzare alcune affermazioni contenute nel ricorso, che questa Corte ha già ripetutamente rigettato ricorsi avverso sentenze di merito affermative della insussistenza nell’Edo State di condizioni legittimanti la domanda di concessione dello status di rifugiato (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 1718 del 23.1.2019; Sez. 1, Sentenza n. 32852 del 19.12.2018; Sez. 1, Ordinanza n. 28433 del 7.11.2018; Sez. 1, Ordinanza n. 28425 del 7.11.2018; Sez. 1, Ordinanza n. 28119 del 5.11.2018; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 9206 del 13.4.2018).

Nella motivazione di Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2682 del 5.2.2018, in particolare, si affermato: “sussistono le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria soltanto in favore dei cittadini nigeriani che provengono dalle parti nord e nord-est del paese rispetto alle quali l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ha rivolto un monito agli Stati perchè non effettuino rimpatri forzati, mentre il ricorrente proviene da una regione del Sud (EDO State) rispetto alla quale, secondo il più recente rapporto di Amnesty International del 2016, non vengono segnalate situazioni di pericolo”.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Il secondo motivo reitera le medesime censure contenute nel primo, ed è inammissibile per le medesime ragioni.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo il ricorrente lamenta l’erroneità del rigetto della domanda di protezione umanitaria, prospettando la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Nella illustrazione del motivo si deduce che “se non si ritenesse ammissibile il riconoscimento della protezione internazionale, sarebbe necessario concedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

3.2. Il motivo è inammissibile per più ragioni.

In primo luogo è inammissibile 3.2. Il motivo è inammissibile per totale estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello, infatti, a torto o a ragione, ha rigettato la domanda di protezione umanitaria affermando che mancava “qualsiasi elemento, anche a livello di allegazione, idoneo” a giustificare l’accoglimento della domanda.

La sentenza d’appello, dunque, era fondata sulla ritenuta sussistenza di un deficit nell’onere di allegazione; e questa statuizione non viene impugnata dal ricorrente.

3.3. Il motivo sarebbe, poi, inammissibile per difetto di rilevanza.

Il ricorrente, infatti, in violazione dell’onere prescritto dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, non precisa in alcun modo quali sarebbero, nella specie, i “seri motivi umanitari” che avrebbero dovuto giustificare la sua richiesta di protezione umanitaria.

4. Il quarto motivo di ricorso.

4.1. Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte della Corte d’appello, dal dovere di cooperazione istruttoria, sancito dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

4.2. Il motivo è manifestamente infondato.

Con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), infatti, la Corte d’appello si è avvalsa d’ufficio di fonti attendibili ed aggiornate (il rapporto “Refworld”) per escludere che nella regione nigeriana dell’Edo State sussistesse una situazione di conflitto armato.

Il sindacare, poi, se le fonti utilizzate dal giudice di merito fossero le più attendibili, o se ve ne fossero delle altre, è questione ovviamente estranea al perimetro del giudizio di legittimità.

Con riferimento alla richiesta di asilo e di protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (a) e (b), invece, la Corte d’appello non aveva alcun onere di approfondimento istruttorio officioso, in quanto ne era esonerata dalla ritenuta inattendibilità del racconto del richiedente asilo.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che ai richiedenti asilo ed ai richiedenti protezione sussidiaria la legge accorda una speciale posizione di favore nel processo, rappresentata dall’attenuazione degli oneri assertivi e probatori. Infatti è dovere (e non facoltà) del giudice, anche dinanzi a narrazioni prive di riscontri obiettivi, attivarsi per acquisire “informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” (cit. D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3), acquisendo di propria iniziativa le informazioni necessarie, e senza arrestarsi alla mera constatazione che l’istante non abbia fornito prova dei suoi assunti (ex plurimis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 19716 del 25/07/2018, Rv. 650193 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 25534 del 13/12/2016, Rv. 642305 – 01; Sez. 6 – 1, Sentenza n. 16221 del 24/09/2012, Rv. 624099 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16202 del 24/09/2012, Rv. 623728 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 26056 del 23/12/2010, Rv. 615675 – 01).

Questo dovere c.d. “di cooperazione istruttoria”, tuttavia, non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile.

Se manca questa attendibilità, non sorge quel dovere, poichè l’una è condizione dell’altro (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 02; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697-01).

Questi principi sono già stati affermati da questa Corte sia con riferimento all’ipotesi di richiesta di asilo, sia con riferimento all’ipotesi di richiesta di protezione sussidiaria giustificata dal rischio di morte o tortura, ex D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (a) e (b), (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01), ed in alcuni casi se ne è estesa la portata anche all’ipotesi di richiesta di protezione sussidiaria giustificata dal rischio di un danno alla persona causato da una situazione di conflitto armato, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. (c), (così Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 4892 del 19/02/2019, Rv. 652755 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

5. Le spese.

5.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

Poichè la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, come già ritenuto più volte da questa Corte (ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 5028 del 18/04/2000, Rv. 535811).

5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna H.E.E. alla rifusione in favore di Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre accessori e rifusione delle spese prenotate a debito;

(-) dà atto che non sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di H.E.E. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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