Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21279 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 09/08/2019), n.21279

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18555/2018 proposto da:

Fony Srl, elettivamente domiciliato in Roma, viale Carso 23, presso

l’avvocato Mario Antonio Angelelli, che lo rappresenta e difende in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 14 febbraio 2018

n. 368;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 luglio 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Fony Srl, cittadino bengalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di essere stato costretto a lasciare il suo Paese (Bangladesh) a causa delle persecuzioni che subiva per via della propria appartenenza alla minoranza religiosa induista.

3. La commissione territoriale rigettò l’istanza.

Il Tribunale di Venezia, adito dall’odierno ricorrente, con ordinanza 1.6.2016 rigettò l’opposizione.

La Corte d’appello di Venezia confermò la sentenza di primo grado, ritenendo non credibile il racconto del richiedente. Reputò che questi fosse emigrato per motivi puramente economici, a causa della demolizione dell’immobile abusivo nel quale esercitava la sua attività di parrucchiere; che non aveva allegato alcuna situazione di rischio connesso al suo credo religioso, nè aveva dedotto alcuna circostanziata situazione di pericolo subita personalmente; che solo per la prima volta nel giudizio dinanzi al Tribunale aveva introdotto l’argomento della discriminazione per ragioni religiose; che non sussistevano i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, “mancando qualsiasi elemento, anche a livello di allegazione, idonea a definire la presumibile durata di una così vaga e differenziata esposizione a rischio”.

4. Avverso la suddetta sentenza ricorre ora per cassazione Fony Srl con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente sostiene, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la Corte d’appello avrebbe violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3;

nonchè il D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3 ed 8, per avere ritenuto non attendibile la sua versione dei fatti senza procedere ad alcun approfondimento istruttorio.

1.2. Il motivo è, in primo luogo, inammissibile, per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto (p. 4 della sentenza impugnata) che l’odierno ricorrente solo in appello, e quindi tardivamente, abbia allegato di essere vittima di persecuzioni per motivi religiosi nel suo Paese: giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, essa andava impugnata deducendo l’error in procedendo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, ed indicando in quali atti ed in quali termini fosse avvenuta la corretta allegazione dei, fatti costitutivi della domanda di asilo per motivo di persecuzione religiosa.

1.3. In ogni caso, e ad abundantiam, rileva questa Corte che ai richiedenti asilo ed ai richiedenti protezione sussidiaria la legge accorda una speciale posizione di favore nel processo, rappresentata dall’attenuazione degli oneri assertivi e probatori. Infatti è dovere (e non facoltà) del giudice, anche dinanzi a narrazioni prive di riscontri obiettivi, attivarsi per acquisire “informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” (cit. D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3), acquisendo di propria iniziativa le informazioni necessarie, e senza arrestarsi alla mera constatazione che l’istante non abbia fornito prova dei suoi assunti (ex plurimis, Sez. 6-1, Ordinanza n. 19716 del 25/07/2018, Rv. 650193-01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023-01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 25534 del 13/12/2016, Rv. 642305-01; Sez. 6-1, Sentenza n. 16221 del 24/09/2012, Rv. 624099-01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 16202 del 24/09/2012, Rv. 623728-01; Sez. 1, Sentenza n. 26056 del 23/12/2010, Rv. 615675-01).

Questo dovere c.d. “di cooperazione istruttoria”, tuttavia, non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile.

Se manca questa attendibilità, non sorge quel dovere, poichè l’una è condizione dell’altro (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549-02; Sez. 6-1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697-01).

Questi principi sono già stati affermati da questa Corte sia con riferimento all’ipotesi di richiesta di asilo, sia con riferimento all’ipotesi di richiesta di protezione sussidiaria giustificata dal rischio di morte o tortura, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. (a) e (b), (Sez. 6-1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697-01).

In alcuni casi se ne è estesa la portata anche all’ipotesi di richiesta di protezione sussidiaria giustificata dal rischio di un danno alla persona causato da una situazione di conflitto armato, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. (c), (così Sez. 6-1, Ordinanza n. 4892 del 19/02/2019, Rv. 652755 01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571-01).

Nel caso di specie, pertanto, avendo la Corte d’appello ritenuto – con giudizio non sindacabile in questa sede (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549-01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361-01) essere inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente, essa non aveva alcun obbligo di ulteriori accertamenti d’ufficio, quanto meno con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art. 14, lett. (a) e (b).

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14.

Il motivo investe il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, e in esso si sostiene che le condizioni del Bangladesh “invero appaiono idonee ad integrare i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c”.

2.2. Il motivo è inammissibile per due indipendenti ragioni.

La prima ragione è quella già indicata in relazione al primo motivo di ricorso: e cioè che esso non investe una delle rationes decidendi sottese dalla sentenza impugnata, e cioè l’inadempimento dell’onere di tempestiva allegazione dei fatti costitutivi della pretesa.

2.3. La seconda ragione è il difetto di specificità.

Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe violato la legge per avere negato il riconoscimento dello status di avente diritto alla protezione sussidiaria, nonostante fosse “pacifico” che la zona di sua provenienza sia teatro di “attentati sempre più frequenti”.

A sostegno di tale allegazione cita unicamente un passo estratto da un rapporto dell’associazione Amnesty International, nel quale si afferma che la polizia bengalese non è aliena da atti di violenza nei confronti degli arrestati.

Ciò posto in fatto, si rileva in diritto che lo stabilire se in un certo Paese esista o non esista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato è un accertamento di fatto, non una valutazione in diritto.

Pertanto, una volta esclusa tale situazione da parte del giudice di merito, il ricorrente che intendesse censurarla – al di fuori dell’ipotesi di violazione del dovere di cooperazione istruttoria officiosa – non potrebbe limitarsi a contrapporre la propria versione a quella del giudice di merito, ma ha l’onere di censurare quella decisione denunciandone l’erroneità in diritto o il mancato esame di fatti decisivi: ed a tal fine ha l’onere di indicare da quali fonti internazionali, ritualmente prodotte in causa, risulti il contrario di quanto ritenuto dal giudice di merito.

Nel caso di specie, tuttavia, in violazione dell’onere di cui all’art. 3266 c.p.c., n. 6, il ricorrente non solo non indica quali siano e cosa dicano tali fonti; ma ne cita una soltanto, la quale – così come riportata – ha un contenuto del tutto estraneo all’oggetto del contendere del presente giudizio: ed infatti la circostanza che la polizia bengalese usi metodi violenti nei confronti degli arrestati non consente di comprendere per quale ragione il ricorrente sarebbe esposto al rischio di tali abusi, non risultando che nel suo paese sia stato raggiunto da ordini di cattura.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo il ricorrente investe il rigetto della domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, e lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Sostiene che la corte d’appello ha valutato la sussistenza della condizione di “vulnerabilità” limitandosi a considerare la condizione personale del richiedente, senza tenere conto del suo inserimento socio-lavorativo nel paese di accoglienza.

Torna a sostenere che in Bangladesh è non vi è garanzia dei diritti umani, ed in particolare di quello alla libertà personale ed alla vita.

3.3. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello ha infatti rigettato la richiesta di protezione umanitaria sul presupposto della “mancanza di qualsiasi elemento anche a livello di allegazione” giustificativo della concessione della protezione umanitaria.

Si è trattato, dunque, di una decisione fondata sul mancato assolvimento, da parte del ricorrente, dell’onere di allegazione.

Una decisione, quindi, da impugnare lamentando l’error in procedendo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 e debitamente indicando quando, in che termini ed in quali atti del giudizio di merito l’odierno ricorrente aveva assolto quell’onere di allegazione dei fatti, ritenuto carente dalla Corte d’appello.

3.4. Ad abundantiam, rileva comunque il Collegio che il motivo sarebbe inammissibile anche per una ulteriore e diversa ragione: e cioè che non si indica mai nel ricorso alcuna circostanza di fatto, ulteriore e diversa rispetto a quelle già dedotte a fondamento della domanda di protezione sussidiaria, idonea a giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Sicchè, esclusa la sussistenza dei requisiti di fatto richiesti dalla legge per la concessione della protezione sussidiaria, non sarebbe residuato alcuno spazio, nè alcun presupposto, per fondare la domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4. Le spese.

4.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’Amministrazione.

5.2. L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di Fony Srl di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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