Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21275 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 09/08/2019), n.21275

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22530/2018 proposto da:

A.S.N., elettivamente domiciliata in Roma Via Torino, 7

presso lo studio dell’avvocato Barberio Laura e difeso dll’avvocato

Vitale Gianluca;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/07/2019 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

CHE:

A.S.N., nata in Pakistan, impugnava dinanzi il Tribunale di Torino il provvedimento di diniego della protezione internazionale, notificatole dalla Commissione Territoriale il 13/9/2017, con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, depositato in data 18/12/2017, oltre trenta giorni dopo la notifica.

La ricorrente preliminarmente chiedeva di essere rimessa in termini, deducendo, per quanto interessa, che il provvedimento amministrativo non era stato tradotto nella lingua urdu – indicata come unica lingua nota -, ma solo nelle quattro lingue veicolari, ciò nonostante l’audizione fosse avvenuta con un interprete di lingua urdu.

Il Tribunale, disattesa la richiesta di remissione in termini, ha dichiarato inammissibile il ricorso depositato oltre il termine di legge.

Il ricorso è articolato in un unico motivo. Il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con l’unico motivo è denunziata violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 2, e art. 10, comma 4, e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, lamentando la mancata remissione in termini.

La ricorrente si duole che il provvedimento amministrativo ed il verbale di notifica non sia stato tradotto in lingua urdu e critica la decisione assunta dal Tribunale, secondo il quale la dichiarazione della richiedente di conoscere esclusivamente la lingua urdu non era veritiera, avendo infatti ritenuto che la stessa conoscesse anche la lingua inglese.

A parere della ricorrente i giudici si sono affidati alla generica presunzione di conoscibilità, senza indagare sulla adeguata comprensione concreta dell’atto e sulla possibilità di impugnazione, oltre che senza svolgere una adeguata istruttoria.

2. Il motivo è inammissibile.

3. Il Tribunale, richiamando gli stessi principi invocati nella censura, ha disatteso la richiesta di remissione in termini, ritenendo che la mancata traduzione nella lingua indicata non avesse comportato in concreto una ignoranza del contenuto dell’atto tale da impedirne l’identificazione (Cass. n. 24543/2011), di guisa che alcuna violazione di legge è ravvisabile.

Sulla scorta di un ragionamento presuntivo deduttivo, che non risulta censurato, nè contestato sul piano fattuale e motivazionale, il Tribunale, dopo avere rimarcato che il provvedimento ed il verbale di notifica, tradotti nelle lingue veicolari, tra cui l’inglese, erano stati consegnati alla ricorrente e da questa sottoscritti, ha affermato di non ritenere veritiera la dichiarazione di conoscenza della sola lingua urdu, partendo dalla considerazione che in Pakistan le lingue ufficiali sono due, l’urdu e l’inglese, che quest’ultima è la lingua utilizzata dall’elite urbana ed è insegnata sin dalle elementari, e che, dalle dichiarazioni rese dalla stessa richiedente in merito alla sua appartenenza ad una casta di persone nobili e ricche, emergeva anche la frequenza scolastica per dodici anni fino alla F.A., corrispondente ad un diploma superiore, tale da far presumere la conoscenza acquisita della lingua inglese.

Ebbene tali fatti non sono stati contestati dalla ricorrente, che non ha preso alcuna posizione sugli stessi e la valutazione che ne ha compiuto il Tribunale appare convincente.

Infine la doglianza circa la mancata, eventuale, iniziativa istruttoria officiosa da parte del Tribunale risulta non solo nuova, ma anche generica: invero, era onere della parte che invocava la remissione in termini fornire una adeguata prova, anche indiziaria, volta a supportare la richiesta o, quanto meno, dedurre circostanze oggetto di possibili approfondimenti in merito alla mancanza di conoscenza della lingua inglese, ma ciò non risulta essere stato fatto dalla ricorrente, sia alla stregua del ricorso, che del decreto impugnato. Anche in relazione alla dichiarata non conoscenza di una lingua veicolare vale il principio già affermato in tema di onere della prova attenuato secondo il quale “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda”. (Cass. n. 3016 del 31/01/2019).

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio si compensa in ragione della peculiarità della questione.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, risultando la parte ammessa provvisoriamente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Compensa le spese del giudizio;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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