Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21275 del 08/10/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21275 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 14938-2013 proposto da:
LO GIUDICE ANTONINA LGDNNN55H50G273Z, TROVATO
LEONARDA TRVLRD60S41G273P, LO CICERO MARCELLO
LCCMCL58B19G273D,

CANNATA

BENEDETTA

CNNBDT61D53F251L, PALMERI GIUSEPPE
PLMGPP59S24H422U, elettivamente domiciliati in ROMA, presso la
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avv. MARIO
DEL NOCE, giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

Data pubblicazione: 08/10/2014

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580 in persona del Ministro pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta
e difende, ope legis;

controricorrente

avverso il decreto n. 402/2013 della CORTE D’APPELLO di
CALTANISSETTA del 14.1.2013, depositato il 04/02/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
25/06/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Cecilia Furitano (per delega avv. Mario
Del Noce) che si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 11 maggio 2010 presso la Corte d’appello di
Caltanissetta, Benedetta CANNATA, Marcello LO CICERO, Antonina LO
GIUDICE, Giuseppe PALMERI e Leonarda TROVATO chiedevano la
condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento del danno
non patrimoniale derivato dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato
dinnanzi al TAR della Sicilia — Sezione di Palermo, con ricorso depositato il 13
gennaio 1995 ed istanze di prelievo depositate il 29.7 e 1’11.9.2009, non ancora
definito alla data di presentazione della domanda.
L’adita Corte d’appello, con decreto in data 4 febbraio 2013, rilevava che il
giudizio presupposto avrebbe dovuto essere definito in un triennio, alla
stregua dei parametri fissati dalla CEDU e dalla giurisprudenza di legittimità e
conseguentemente riteneva accertata una irragionevole durata del giudizio
presupposto, sino alla data della decisione, di dodici anni e quattro mesi,
ritardo in relazione al quale liquidava un indennizzo di €. 6.164,00, adottando
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il criterio riduttivo di C. 500,00 per anno di ritardo, tenuto conto del lungo
periodo in cui non vi era stato impulso sollecitatorio di parte.
Per la cassazione di questo decreto Benedetta CANNATA, Marcello LO
CICERO, Antonina LO GIUDICE, Giuseppe PALMERI e Leonarda
TROVATO hanno proposto ricorso sulla base di un motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella
redazione della sentenza.
Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione dell’art.
6, paragrafo 1, della CEDU, dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, e degli artt.
1226 e 2056 c.c., nonché vizio di motivazione con riferimento alla
liquidazione contenuta dalla Corte d’appello in C. 500,00 per anno di ritardo,
immotivatamente discostandosi dagli ordinari criteri di liquidazione del danno
non patrimoniale da irragionevole durata del processo. In particolare, i
ricorrenti sostengono che, in applicazione degli indicati criteri, la Corte
d’appello avrebbe dovuto riconoscere un indennizzo di C. 750,00 per i primi
tre anni di ritardo e di C. 1.000,00 per ciascuno degli anni successivi.
Il ricorso è infondato.
Si deve rilevare che, se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea
dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la
quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore
ad C. 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la
durata ragionevole, e non inferiore ad C. 1.000,00 per quelli successivi),
permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola
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fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei
quali deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass. 17922 del
2010).
Nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo scostamento dagli ordinari
criteri di determinazione dell’indennizzo, adottando quello di €. 500,00 per

prelievo, quale indice di scarso interesse dei ricorrenti alla definizione del
giudizio presupposto.
Orbene, trattasi di motivazione adeguata, rispetto alla quale le deduzioni dei
ricorrenti non appaiono idonee ad evidenziare vizi di violazione di legge o di
motivazione, nei limiti in cui tale tipo di vizio è prospettabile ai sensi del
nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c.. L’adita Corte d’appello invero, si è
attenuta à criteri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (decisioni
Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia, del 6 aprile
2010) e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 18 giugno 2010 n.
14753; Cass. 10 febbraio 2011 n. 3271; Cass. 13 aprile 2012 n. 5914),
relativamente a giudizi amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, per i quali
questa Corte è solita liquidare un indennizzo che, rapportato su base annua,
corrisponde a circa €. 500,00 per la durata del giudizio.
Tale approdo consente di escludere che un indennizzo di €. 500,00 per
ciascun anno di ritardo, possa essere di per sé considerato irragionevole e
quindi lesivo dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte europea
intende assicurare in relazione alla violazione del termine di durata ragionevole
del processo.
Il ricorso deve quindi essere respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato
esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla
dichiarazione di cui al comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico approvato

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anno di ritardo, facendo riferimento alla ritardata presentazione dell’istanza di

con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

condanna parte ricorrente in solido al pagamento della spese del giudizio di
Cassazione che vengono liquidate in €. 500,00, oltre ad eventuali spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI – 2^ Sezione Civile, il
25 giugno 2014.

La Corte, rigetta il ricorso;

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