Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21272 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. II, 05/10/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 05/10/2020), n.21272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9661-2016 proposto da:

D.L.P., M.S., C.L., M.G.,

M.F., M.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA PAOLO EMILIO, 32, presso lo studio dell’avvocato DANIELA

FRATACCIA, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MAURO FIERRO, ANTONIO CIRILLO;

– ricorrenti –

contro

MA.CA., D.F., D.M.,

D.G.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI 35,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO, rappresentati e difesi

dall’avvocato PASQUALE LAMBIASE;

E.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato MICHELE SANDULLI,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIULIO RENDITISO, ROSA

PERSICO, FERDINANDO PINTO; FOREVER DI RA.D’. SAS, in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa dagli avvocati MARINA LUCCHETTA, ALBERTO PAGNOSCIN;

– controricorrenti –

e contro

D’.RA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato MICHELE SANDULLI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ROSA PERSICO, FERDINANDO

PINTO, GIULIO RENDITISO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 575/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 10/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO, che ha concluso, in via principale, per la rimessione

alle Sezioni Unite sul gravame incidentale tardivo e sul danno in re

ipsa e, in subordine, per l’accoglimento per quanto di ragione del

quarto motivo, assorbito il sesto e rigetto del resto del ricorso

principale e per il rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato Antonio Cirillo, difensore dei ricorrenti, che si è

riportato agli atti depositati insistendo per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato Rosa Persico, difensore dei resistenti, che si è

riportata agli atti depositati ed ha chiesto l’accoglimento del

ricorso incidentale presentato da E.R.;

udito l’Avvocato Alberto Pagnoscin, difensore della resistente, che

si è riportato agli atti depositati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.L., D.L.P., Co.An.Ma., M.G., M.A., M.F. e M.S. hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, D.F., D.G.R., Ma.Ca., D.M., D’.Ra. e E.A. nonchè la Forever di Ra.D’. s.a.s., al fine di ottenere, previo accertamento che gli stessi “per quanto di ragione” erano occupanti senza titolo del terreno di loro proprietà facente parte della partita n. (OMISSIS) del N. C.T., foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), la loro condanna al rilascio, alla demolizione ovvero all’arretramento delle costruzioni realizzate a distanza illegale dal confine delle particelle n. (OMISSIS), nonchè la condanna al risarcimento dei danni subiti per la mancata utilizzazione del fondo, quantomeno a partire dal 1 gennaio 1988, per l’arbitraria demolizione di una parte del preesistente capannone e per i costi da sostenere per il ripristino dello stato dei luoghi.

A fondamento della pretesa, gli attori hanno lamentato che i convenuti avessero occupato il fondo, quantomeno a decorrere dalla data appena indicata, una volta scaduto il contratto di comodato stipulato tra M.F., anche per conto dei fratelli, e D’.Ra., limitatamente alla particella n. (OMISSIS), e vi avessero realizzato manufatti di vario genere e natura. Secondo la ricostruzione degli attori, l’occupazione era stata progressiva ed era stata attuata da D’.Ra. e da altri componenti della sua famiglia: le aree occupate erano state destinate al complesso turistico denominato Giardino delle Esperidi, per parcheggio di auto e roulottes, per la costruzione di un patio asservito alla villa adibita ad abitazione dei coniugi D.A. e Ma.Ca. e di un piccolo manufatto in muratura.

Per quanto ancora rileva, i convenuti D.F., D.G.R., Ma.Ca. e D.M., nel contestare la domanda con riguardo alle superfici eccedenti quelle da loro possedute, analiticamente individuate, hanno chiesto dichiararsi l’intervenuta usucapione per le superfici e i manufatti effettivamente posseduti nonchè il diritto a mantenere gli edifici realizzati a distanza inferiore, ove fosse stata applicabile quella invocata dagli attori.

Anche D’.Ra., nel contestare il fondamento della domanda degli attori, aveva concluso, in via riconvenzionale, per l’accertamento dell’intervenuta usucapione della parte di fondo da lui occupata.

Il Tribunale aveva condannato i convenuti: a) “per quanto di ragione ed in riferimento alle aree dagli stessi occupate”, a rilasciare in favore degli attori il fondo sopra indicato; b) a pagare, in favore degli attori, la somma di 544.839,00 Euro, quale indennità per il mancato utilizzo del fondo in oggetto, oltre accessori; c) “per quanto di ragione”, all’immediato ripristino dello status quo ante mediante la demolizione o l’arretramento sino alla distanza regolamentare delle costruzioni sconfinanti nel fondo attoreo e di quelle realizzate a distanza illegale, come individuate nella consulenza tecnica d’ufficio.

Il Tribunale, inoltre, ha condannato i convenuti al pagamento della somma di 20.831,00 Euro a titolo di risarcimento dei danni e ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti.

Sono stati proposti distinti appelli da D.F., D.G.R., Ma.Ca. e D.M. (proc. n. 2301/2014 R.G.), dalla Forever di Ra.D’. s.a.s. (proc. n. 2531/2014), da D’.Ra. (proc. n. 2553/2014 R.G.).

I tre procedimenti sono stati riuniti e decisi con sentenza della Corte d’appello di Napoli depositata il 10 febbraio 2016.

2. Con sentenza depositata il 10 febbraio 2016 la Corte d’appello di Napoli, per quanto ancora rileva, in parziale riforma della decisione di primo grado: a) ha rigettato le domande proposte dagli attori nei confronti Di Ma.Ca. e D.M.; b) ha dichiarato l’acquisto per usucapione, da parte di D.F. e di D.G.R., delle aree colorate in rosso di cui alla planimetria numero (OMISSIS) allegata alla loro produzione di primo grado; c) ha condannato D.F. e D.G.R. ad arretrare la costruzione denominata fabbricato n. (OMISSIS) nella planimetria appena indicata fino alla distanza di cinque metri dal confine ivi individuato; d) ha rigettato le ulteriori domande proposte dagli attori nei confronti di D.F. e D.G.R.; e) ha condannato D’.Ra. al rilascio, in favore degli attori, delle aree indicate in rosso nella planimetria allegata alla produzione di primo grado del medesimo D.; f) ha rigettato la domanda proposta dagli attori avente ad oggetto il risarcimento del danno per il mancato utilizzo del fondo; g) ha condannato D’.Ra. al pagamento in favore degli attori della somma di 10.201,00 Euro, a titolo di risarcimento dei danni, h) ha confermato nel resto la sentenza impugnata; i) ha condannato la Forever di Ra.D’. s.a.s. al rilascio in favore degli attori delle aree indicate in rosso nella planimetria allegata alla produzione di primo grado di D’.Ra.; i) ha rigettato le ulteriori domande proposte il primo grado dagli attori nei confronti di quest’uitima società; I) ha rigettato l’appello proposto da C.L., D.L.P., Co.An.Ma., M.G., M.A., M.F. e M.S.; m) ha compensato le spese del doppio grado.

3. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che i coniugi Ma.Ca. e D.M. non risultavano, alla stregua delle deposizioni raccolte e della documentazione prodotta, coinvolti nel possesso del fondo del quale era stato chiesto il rilascio o nella costruzione dei manufatti dei quali era stato chiesto l’abbattimento o l’arretramento; b) che, alla luce delle medesime risultanze, neppure risultava il coinvolgimento di D.F. e della moglie D.G.R. nell’occupazione di aree diverse da quelle da loro indicate nella comparsa di risposta; c) che, anche se il consulente tecnico d’ufficio aveva rilevato che parte dell’area oggetto di causa era utilizzata come giardino asservito all’immobile occupato dai coniugi Ma. – D., non emergeva il coinvolgimento di questi ultimi nell’abusiva occupazione denunciata dagli attori; d) che, come detto, il coinvolgimento dei coniugi D. – D.G. riguardava solo le aree che essi stessi avevano ammesso di avere occupato; e) che, rispetto alla correlata domanda di usucapione, proposta dai coniugi D. – D.G., non era necessario accertare alcuna interversione del possesso, dal momento che l’unico contratto di comodato indicato dalle controparti riguardava una porzione diversa da quella da loro posseduta ed era stato concluso da un soggetto diverso, D’.Ra.; f) che, alla luce della disposta consulenza tecnica e delle deposizioni raccolte, emergeva l’utilizzo dell’area colorata in rosso nella planimetria prodotta dagli appellanti per un periodo eccedente il ventennio anteriore alla proposizione del giudizio da parte dei coniugi D. – D.G.; g) che, in particolare, era emersa una relazione di fatto consistita nella coltivazione del bene, nella sua recinzione e soprattutto in una progressiva e radicale trasformazione con la costruzione di opere in muratura; h) che non vi era ragione di dubitare della attendibilità dei testi, peraltro solo genericamente contestata dalla difesa degli appellati anche in ragione della convergenza delle dichiarazioni rese da soggetti del tutto disinteressati alle vicende di causa; i) che lo stralcio della relazione di consulenza tecnica d’ufficio redatta in altro processo, era inidoneo a dimostrare che le particelle n. (OMISSIS) e (OMISSIS) erano occupate da D’.Ra., dal momento che neppure riferiva la fonte dell’informazione; I) che l’assenza di prova di un coinvolgimento dei coniugi D. – D.G. nell’occupazione di aree diverse da quelle usucapite comportava il rigetto delle ulteriori domande risarcitorie concernenti queste ultime, con la sola eccezione della domanda avente ad oggetto il risarcimento per la realizzazione di un manufatto in muratura adibito a bungalow di circa 43 metri quadrati, insistente su parte della particella (OMISSIS) e limitatamente alla posizione di D.F.; m) che l’accertata usucapione delle aree ricordate giustificava il rigetto della domanda attorea concernente il mancato rispetto delle distanze legali, se non per quanto riguardava l’autorimessa realizzata sulla particella (OMISSIS); n) che, con riguardo a quest’ultima, doveva farsi riferimento alla norma del P.R.G. approvato con D.P.G.R. Campania 16 ottobre 1982, n. 8220 che prevedeva una distanza di cinque metri dal confine; o) che l’accoglimento della domanda di usucapione escludeva la necessità di esaminare le doglianze concernenti la liquidazione e la quantificazione dell’indennità di occupazione; p) che, quanto alla posizione di D’.Ra., doveva escludersi che emergesse il suo coinvolgimento in aree diverse da quelle che egli aveva ammesso di avere occupato; q) che, tuttavia, la domanda di usucapione proposta da D’.Ra. non era fondata dal momento che i testimoni ascoltati non avevano riferito nulla in ordine alla posizione del primo, con la conseguenza che l’unico elemento dal quale desumere una interversione del possesso, rispetto alla detenzione esercitata come comodatario, era rappresentata dal dedotto esercizio di attività costruttiva; r) che, tuttavia, era dubbio il coinvolgimento di D.F. nella costruzione del fabbricato in muratura di 45 metri quadrati nel corso del rapporto di comodato, giacchè la domanda di condono era stata presentata a nome di D’.Ra. e non vi era prova dell’epoca nella quale era avvenuta la trasformazione delle particelle di proprietà degli attori; s) che, pertanto, D’.Ra. doveva essere condannato al rilascio delle aree che egli stesso aveva ammesso di avere occupato; t) che era fondata la doglianza relativa alla determinazione dell’indennità per l’occupazione, dal momento che la necessità di dimostrare il pregiudizio subito imponeva di respingere la tesi del danno in re ipsa e di disattendere una commisurazione correlata al presumibile canone di locazione, dal momento che non vi era prova che il bene, ove lasciato libero, sarebbe stato fruttuosamente utilizzato; u) che gli attori non avevano provato nè chiesto di provare che utilizzazione avrebbero fatto del bene se esso non fosse stato occupato.

Quanto alla posizione della Forever di Ra.D’. s.a.s., la Corte territoriale ha ritenuto; a) che l’impugnazione proposta dalla stessa dovesse essere qualificata come appello incidentale tardivo; b) che la società, la quale aveva ammesso di gestire il villaggio (OMISSIS), non aveva chiarito a che titolo usufruisse dell’area della cui occupazione si discute, con la conseguenza che era tenuta, unitamente a D’.Ra., con esclusione delle aree usucapite dai coniugi D. – D.G., alla restituzione della porzione di fondo indicata in rosso nella planimetria allegata alla comparsa di costituzione del medesimo D’.Ra.; c) che, per le ragioni sopra ricordate, quanto alla non configurabilità di un danno in re ipsa, andava rigettata la domanda risarcitoria formulata nei confronti della società.

La Corte d’appello, infine, ha compensato le spese del doppio grado, dal momento che le domande proposte in primo grado erano state accolte solo in parte nei confronti dei convenuti e che i coniugi D. – D.G. e Ma. – D. si erano costituiti congiuntamente.

3. Avverso tale sentenza C.L., D.L.P., M.G., M.A., M.F. e M.S. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Hanno resistito con distinti controricorsi: a) E.A.; b) D.F., D.G.R., Ma.Ca. e D.M.; c) la Forever di Ra.D’. s.a.s.; d) D’.Ra., il quale ha anche proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo. Tutte le parti hanno depositato memoria in vista dell’adunanza dei giorno 11 ottobre 2019. La causa è stata rimessa, in quell’occasione, alla pubblica udienza. D.F., D.G.R., Ma.Ca. e D.M. hanno depositato memoria in vista dell’udienza pubblica del 14 gennaio 2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2728 c.c., nonchè degli artt. 99,101,112,113,115 e 116 c.p.c.; si lamenta, altresì, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

Osservano i ricorrenti che la Corte d’appello, per giungere a riconoscere l’acquisto per usucapione, da parte dei coniugi D. – D.G., dell’area colorata in rosso nella tav. 3 della relazione del consulente tecnico d’ufficio (area dell’estensione di 785 metri quadrati, costituente di fatto il prato – giardino asservito ad un edificio utilizzato come abitazione dai coniugi Ma. – D.), aveva privilegiato alcune inverosimili e compiacenti deposizioni testimoniali, sottovalutando e giungendo a non considerare l’esito delle dichiarazioni di altri testi e di documenti che sconfessavano l’asserita ricorrenza, negli anni 1983-1984, di una signoria di fatto sul bene, anche in ragione dell’inesistenza, all’epoca, di una area nuda, individuata in quella di sedime di due capannoni, in realtà demoliti al minimo soltanto nel 1995.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 – 1163 e 1164 c.c.; si lamenta, altresì, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

Sotto altro profilo, i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale, omettendo di considerare la documentazione acquisita e dichiarazioni testimoniali ulteriori, rispetto a quelle valorizzate in sentenza, aveva erroneamente individuato il termine iniziale del periodo necessario a possedere, giacchè una legittima e non clandestina signoria di fatto negli anni 193-1984 era preclusa a causa dell’impossibilità di coltivare la porzione di fondo della quale si discute, per la presenza, sino al 1995 almeno, di due capannoni.

3. I primi due motivi, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili.

Posto che la sentenza impugnata è stata depositata in data 10 febbraio 2016, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3 alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2 Legge di conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

E, come specificamente ribadito nelle ordinanze 10 febbraio 2015, n. 2498 e 1 luglio 2015, n. 13448, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

In realtà, le censure, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, inammissibile in questa sede (v., per il principio, Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

4. Con il terzo motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 103,112,324,325,326,333,334,335 c.p.c.; si lamenta, altresì, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

I ricorrenti, al riguardo, insistono nel sottolineare la tardività dell’appello proposto dalla Forever di Ra.D’. s.a.s., in quanto notificato oltre il trentesimo giorno successivo alla notifica della sentenza di primo grado.

Rilevano i ricorrenti: a) che essi, destinatari dell’appello principale, non avevano proposto appello incidentale nei confronti della Forever di Ra.D’. s.a.s.; b) che la contraria decisione della Corte territoriale, che aveva considerato l’appello di quest’ultima come impugnazione incidentale, erroneamente aveva presupposto la sussistenza di un litisconsorzio necessario con conseguente inscindibilità delle cause; c) che, al contrario, la solidarietà delle obbligazioni comporta il carattere facoltativo del litisconsorzio e la scindibilità delle cause; d) che, peraltro, l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile solo se sia dipendente o connessa ai capi di sentenza oggetto dell’impugnazione principale e non anche quando, come nella specie, sia proposta per un interesse autonomo della parte contro la quale non sia stata proposta l’impugnazione principale.

La doglianza è infondata.

Va premesso che, nei processi con pluralità di parti, quando si configuri l’ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero, come nella specie, di litisconsorzio processuale, stante l’obiettiva interrelazione tra le posizioni delle parti (cfr. le pronunce di questa Corte del 21 agosto 2018, n. 20860 e dell’8 febbraio 2012, n. 1771), è applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell’unitarietà del termine per proporre impugnazione, con la conseguenza che la notifica della sentenza eseguita da una delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine breve per impugnare contro tutte le altre parti (v. i principi affermati al riguardo da Cass. 7 giugno 2018, n. 14722).

Dalla sussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio processuale discende, altresì, altra, rilevante conseguenza.

Si è ritenuto in effetti che, in tema d’impugnazioni, l’appello autonomo tardivo, anche dopo la riunione dei procedimenti, non può essere considerato come un appello incidentale tardivo, operando la preclusione della decadenza stabilita dall’art. 333 cit., finalizzata a salvaguardare la tempestività dell’impugnazione incidentale, altrimenti proponibile, fuori dal primo procedimento, senza termine, e l’unitarietà del processo, pregiudicata da un’impugnazione autonoma, che, in mancanza di riunione, può generare contraddittorietà di giudicati (Cass. 12 ottobre 2016, n. 20497).

Tuttava, la regola processuale della proposizione dell’impugnazione incidentale nello stesso processo scaturito dall’impugnazione principale è stata ritenuta superabile da parte della giurisprudenza di legittimità, nel senso che è operante un principio di conversione dell’impugnazione autonoma in incidentale, ma sempre che sia rispettato il termine previsto per la proposizione dell’impugnazione incidentale (v., per il ricorso per cassazione, tra le ultime, Cass. 26 novembre 2019, n. 30775; per l’appello, in particolare, Cass. 21 ottobre 2019, n. 26811, secondo cui siffatta impugnazione, proposta in via principale da chi, essendo stata la sentenza già impugnata da un’altra parte, avrebbe potuto proporre soltanto appello incidentale, non è inammissibile, ma può convertirsi, per il principio di conservazione degli atti giuridici, in gravame incidentale, purchè depositato nel termine prescritto per quest’ultima impugnazione).

In particolare, le pronunce Cass., Sez. Un. 20 marzo 2017, n. 7074 e Sez.Un., 25 giugno 2002, n. 9232 hanno affermato che, in tema di processo litisconsortile, in virtù del principio di unità dell’impugnazione, il ricorso proposto irritualmente in forma autonoma da chi, ai sensi degli artt. 333 e 371 c.p.c., avrebbe potuto proporre soltanto impugnazione incidentale, per convertirsi in quest’ultima deve averne i requisiti temporali, onde la conversione risulta ammissibile solo se la notificazione del relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell’impugnazione principale; nè la decadenza conseguente all’inosservanza di detto termine può ritenersi superata dall’eventuale rispetto del termine “esterno” di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., giacchè la tardività o la tempestività, in relazione a quest’ultimo, assume rilievo ai soli fini della determinazione della sorte dell’impugnazione stessa in caso di inammissibilità di quella principale, ex art. 334 c.p.c.

Nel caso di specie, rispetto alla prima udienza del giudizio introdotto dall’appello principale (18 dicembre 2014), l’atto di appello della società è stato notificato in data 13 giugno 2014 e la Corte territoriale ha verificato il rispetto del termine di cui agi artt. 334 e 343 c.p.c.

Per il resto, ritiene il Collegio di dare continuità all’orientamento secondo il quale, in base al combinato disposto di cui agli artt. 334,343 e 371 c.p.c., è ammessa l’impugnazione incidentale tardiva (da proporsi con l’atto di costituzione dell’appellato o con il controricorso nel giudizio di cassazione) anche quando sia scaduto il termine per l’impugnazione principale, e persino se la parte abbia prestato acquiescenza alla sentenza, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l’interesse ad impugnare fosse preesistente, dato che nessuna distinzione in proposito è contenuta nelle citate disposizioni, dovendosi individuare, quale unica conseguenza sfavorevole dell’impugnazione cosiddetta tardiva, che essa perde efficacia se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile (Cass. 16 novembre 2018, n. 29593).

5. Con il quarto motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2056,1223,1226,2697,2787,2729 c.c., nonchè degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.; si lamenta, altresì, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per motivazione apparente; si lamenta, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

La censura concerne la domanda, proposta dai ricorrenti dinanzi al Tribunale, al fine di ottenere la condanna delle controparti al risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione sine titulo del fondo del quale si discute, quantomeno a partire dalla data in cui erano scaduti il contratto di comodato intercorso tra M.F. e quello, più risalente, di fitto agrario.

I ricorrenti osservano: a) che non superato e superabile è l’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, in caso di occupazione sine titulo, di un bene immobile altrui, il danno per il proprietario è da considerare in re ipsa; b) che, in realtà, come confermato anche da recenti sentenze della Corte di Cassazione, espressive dell’orientamento prevalente in subiecta materia, il danno in esame si riconnette alla perdita temporanea delle utilità normalmente conseguibili nell’esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità che il proprietario subisce; c) che anche l’orientamento menzionato dalla Corte territoriale non esclude il ricorso ad elementi presuntivi; d) che, nel caso di specie, prima dell’occupazione abusiva, i proprietari non avevano omesso di utilizzare il bene nè lo avevano abbandonato, essendo, al contrario, del tutto pacifica l’esistenza di pregressi e scaduti contratti di comodato e di affitto; e) che, del resto, lo stesso D’.Ra. aveva ammesso di avere corrisposto un canone anticipato di 10.000.000 di Lire, in tal modo riconoscendo una intrinseca utilità patrimoniale del fondo; f) che, del resto, incontestata era l’utilità che i proprietari avrebbero potuto ritrarre dallo sfruttamento diretto del fondo; g) che, infine, nessuno degli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul punto ha mai ritenuto che i titolari del bene occupato sarebbero tenuti a fornire la prova dell’esistenza certa e dell’entità del danno subito nè ha mai affermato la sussistenza di una presunzione nel senso dell’abbandono del fondo; h) che, d’altra parte, nessuna manifestazione di interesse avrebbe potuto essere acquisita da parte di terzi se non dopo la liberazione del bene.

La doglianza è fondata.

Al di là di un contrasto che appare più relativo all’utilizzazione delle formule adoperate che correlato alla sostanza della questione giuridica, deve rilevarsi che, nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario discende dalla menomazione della facoltà di godimento anche indiretta del bene e ben può essere apprezzato sul piano presuntivo, come riconosce anche l’orientamento che esattamente nega rilievo al cd. danno in re ipsa (Cass. 24 aprile 2019, n. 11203).

Ora la conclusione della Corte territoriale, secondo la quale la domanda andava rigettata “perchè non vi è prova che il bene, ove lasciato libero, sarebbe stato fruttuosamente utilizzato”, appare del tutto assertiva e priva di qualunque concreta correlazione con i dati acquisiti del processo che rivelano sia la previa utilizzazione dei beni sia una pluriennale occupazione di fondi suscettibili di essere utilmente impiegati.

Assumere che gli attori avrebbero dovuto dimostrare la perdita di concrete occasioni di sfruttamento rispetto ad aree che sono state destinate, con trasformazioni significative, a finalità diverse, ossia ipotizzare la possibile esistenza di controparti interessate ad un bene occupato da terzi in modo non precario, significa utilizzare un criterio di valutazione della prova che, già sul piano astratto, si caratterizza per illogicità.

Non viene, in altri termini, in rilievo un apprezzamento delle risultanze probatorie, ma un giudizio di insussistenza della prova che, come detto, ripose su un metro valutativo estraneo al sistema giuridico.

Ora, con orientamento ormai consolidato e anche di recente ribadito da questa Corte (v., ad es., Cass. 14 febbraio 2020, n. 3819), il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.

In particolare, in tema di valutazione delle prove e soprattutto di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass. 30 maggio 2019, n. 14762; v., anche sulla tipologia del vizio, Cass. 25 settembre 2018, n. 22598).

6. Con il quinto motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 1223 e 2056 c.c.; si lamenta, altresì, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

I ricorrenti, in via subordinata e per l’ipotesi di mancato accoglimento del quarto motivo, lamentano che i giudici di merito avevano omesso di esaminare la domanda di risarcimento del danno da lucro cessante per la perdita di chance derivata dalla arbitraria demolizione, da parte dei coniugi D’. – D.G., negli anni successivi al 1995, dei due capannoni contigui a quello trasformato in villa a destinato ad abitazione dei coniugi Ma. – D..

7. Con il sesto motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte territoriale compensato le spese del doppio grado, senza dare conto delle ragioni che l’avevano condotta ad assumere tale decisione, nonostante il parziale accoglimento delle domande attoree.

8. All’accoglimento del quarto motivo segue l’assorbimento del quinto, subordinato esplicitamente al mancato accoglimento del quarto, e del sesto, che riguarda la regolamentazione delle spese.

9. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 873,1141 c.c., art. 1158 c.c. e ss..

Osserva il ricorrente: a) che la domanda di usucapione da lui proposta riguardava un’area esterna a quella oggetto del contratto di comodato e incontestatamente da lui posseduta sin dal 1972; b) che la decisione della Corte d’appello, fondata sulla assenza di atti di interversione del possesso, era erronea, in quanto muoveva dalla confusione tra la posizione del ricorrente medesimo e quella del fratello F.; c) che l’area de qua era stata coltivata e curata dal ricorrente direttamente, per essere poi annessa al campeggio; d) che essa era stata oggetto di un profondo processo di trasformazione mediante attività costruttiva che aveva comportato la realizzazione di un fabbricato, in relazione al quale egli aveva presentato domanda di sanatoria; e) che l’immobile era accatastato a suo favore; f) che le testimonianze raccolte si riferivano indistintamente ai fratelli Ra. e D.F..

La doglianza è inammissibile, per le stesse ragioni indicate supra sub 3, in quanto, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, inammissibile in questa sede.

10. In conclusione, va accolto il quarto motivo del ricorso principale, con assorbimento del quinto e del sesto, rigettato il terzo, dichiarati inammissibili i primi due motivi del medesimo ricorso nonchè il ricorso incidentale; in relazione al disposto accoglimento del quarto motivo, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il quarto motivo del ricorso principale; rigetta il terzo motivo; dichiara assorbiti il quinto e il sesto motivo; dichiara inammissibili i primi due motivi del medesimo ricorso nonchè il ricorso incidentale; in relazione al disposto accoglimento del quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

 

 

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