Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21271 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 09/08/2019), n.21271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26935/2018 proposto da:

J.K., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Mazzini, 8

presso lo studio dell’avvocato Fachile Salvatore, rappresentato e

difeso dall’avvocato Verrastro Francesco;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 825/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/06/2019 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Roma, pubblicata il 9 febbraio 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da J.K. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale capitolino. La nomirata Corte ha negato che il ricorrente potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un solo motivo. Il Ministero dell’interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’istante denuncia: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 351 del 2007, art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, art. 27, comma 1 bis, art. 32, comma 3, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, art. 15 dir. 2013/32/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), artt. 5, 6, art. 14, lett. b), e art. 15 dir. 2011/95/UE, nonchè violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa. Il ricorrente imputa alla Corte di appello di aver escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria senza disporre la richiesta audizione del ricorrente e senza porre in atto doverosi accertamenti officiosi “relativi alla situazione di endemica violenza del paese di origine del cittadino straniero in correlazione con l’omessa protezione delle forze di polizia, con l’intolleranza verso culti diversi dalla religione di Stato islamica e con la prassi consolidata di non ingerenza delle autorità statali nelle liti, anche sanguinose, tra familiari, in quanto regolate a livello familiare e tribale”. Osserva come il giudice del merito non possa sottrarsi al compito di verificare la coerenza e plausibilità delle dichiarazioni del richiedente e come la disciplina relativa all’accertamento di diritti in tema di protezione internazionale sia incentrato sulla doverosa collaborazione tra richiedente ed esaminatore, la quale è postulata dall’esigenza di elargire all’interessato una tutela giurisdizionale effettiva. Il ricorrente deduce, quindi, che al giudice del merito si impone di sentire il richiedente per consentirgli di esporre le ragioni che lo hanno portato a domandare protezione e che, inoltre, in presenza di una rappresentazione dei reiterati attentati alla vita delle persone, pur circoscritti alla sfera familiare, ma intrinsecamente credibile, è necessario verificare officiosamente se si ravvisi un mancato contrasto, da parte delle autorità statuali, a tali condotte.

2. – Il motivo non appare fondato.

La Corte di appello ha ritenuto che i fatti narrati dell’odierno ricorrente (in fuga dal paese di origine per essere stato denunciato dalla madre della ragazza che aveva messo incinta e per essere stato minacciato dai propri fratelli, i quali si opponevano a che lo stesso istante si convertisse al credo cristiano per sposare la ragazza, che professava tale fede) avevano attinenza alla sfera privata e familiare e non erano tali da fargli correre il rischio di essere recluso o di subire danni gravi quali la condanna a morte, la tortura o altro trattamento inumano o degradante. Lo stesso giudice distrettuale ha poi escluso, sulla base di informazioni identificate nel corpo della sentenza, che nel Gambia, paese di origine del ricorrente, fosse presente una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato. Ha infine negato che spettasse la protezione umanitaria, stante la mancata deduzione, da parte dell’appellante, di una particolare situazione di vulnerabilità.

Ciò detto, i giudici del merito non erano tenuti a rinnovare l’audizione del richiedente che aveva avuto luogo avanti alla Commissione.

La Corte di giustizia ha infatti rilevato che “fila direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva” (Corte giust. UE 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko; cfr. ora pure: Cass. 28 febbraio 2019, n. 5973; Cass. 31 gennaio 2019, n. 2817).

Ebbene, nella fattispecie la mancata audizione del richiedente trova giustificazione nelle ragioni poste a fondamento del ridetto della domanda di protezione internazionale, le quali prescindono dal profilo relativo alla credibilità delle dichiarazioni rese dallo stesso istante (che anzi sono state implicitamente ritenute attendibili): sicchè la Corte distrettuale non aveva alcuna necessità di chiarire, attraverso una rinnovazione del richiamato incombente, se la vicenda descritta da J.K. potesse dirsi rispondente al vero sulla base dei noti criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. La decisione del giudice del gravame è infatti basata su una considerazione in diritto: quella per cui i fatti descritti dal richiedente (assunti quindi come veri) non erano in sè idonei a giustificare le invocate forme di protezione: e tanto bastava per escludere la necessità di procedere a una seconda audizione.

L’affermazione della Corte territoriale testè richiamata risulta essere poi corretta, giacchè la prospettazione posta a fondamento della domanda è incentrata su condotte poste in essere da privati, non dallo Stato o dai partiti o dagli organismi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5. Il fatto che la madre della ragazza avesse sporto denuncia nei confronti del ricorrente (come ricordato a pag. 11 del ricorso) non muta tale quadro; fa difetto alcuna precisazione, in ricorso, circa il contenuto di tale denuncia: segnatamente quanto al fatto che, in base ad allegazioni svolte nel corso del giudizio, la stessa avesse ad oggetto un reato punito con pena detentiva e fosse stata seguita da un qualche atto che rendesse fondato il timore dell’istante di essere esposto al rischio di un danno grave per effetto di una ipotetica restrizione in carcere attuata con modalità inumane o degradanti. Analoga carenza in punto di allegazione si rinviene, poi, con riguardo alla supposta inerzia delle autorità statali nel fornire adeguata tutela a fronte delle condotte poste in essere dai familiari di J.. Tali mancanze assumono rilievo in questa sede, giacchè, come è noto, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336).

2. – Il ricorso è respinto.

3. – Nulla deve disporsi in punto di spese processuali.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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