Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21270 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 14/10/2011), n.21270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MASCHERONI EMILIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO D’ITALIA

102, presso lo studio dell’avvocato MOSCA GIOVANNI PASQUALE, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1036/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/09/2006 r.g.n. 767/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega MASCHERONI EMILIO;

udito l’Avvocato MOSCA GIOVANNI PASQUALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, che rigettò l’appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Castrovillari aveva dichiaro a tempo indeterminato il contratto di lavoro stipulato con D.L.A. il 2 maggio 2001 e aveva condannato la ricorrente al risarcimento del danno mediante pagamento delle retribuzioni decorrenti dal 3 aprile 2003.

Il ricorso è articolato in sei motivi.

Il lavoratore si è difeso con controricorso.

Poste italiane spa ha depositato una memoria.

La questione centrale è quella posta con il quarto motivo di ricorso, in cui si critica la decisione della Corte per aver giudicato illegittima l’apposizione del termine ad un contratto stipulato il 2 maggio 2001, quindi in vigenza del ccnl 11 gennaio 2001 e specificamente dell’art. 25 di tale contratto collettivo.

La causale specificata nel contratto individuale è la seguente:

“esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi comprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”.

La Corte di merito, riconosciuto che il termine è stato apposto ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 e per effetto dell’art. 25 del ccnl 11 gennaio 2001, ha tuttavia ritenuto illegittima la clausola perchè Poste italiane “non ha specificato quale delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva era stata alla base della decisione e non ha neppure tentato di dimostrare la sussistenza dei presupposti previsti dalla contrattazione nel caso concreto, limitandosi a richiamare la previsione del contratto collettivo.

Questo motivo di invalidazione della clausola di apposizione del termine non è stato ritenuto fondato da numerose decisioni: fra le molte: Cass. 26 settembre 2007 n. 20162, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 4 agosto 2008, n. 21092. In particolare, quest’ultima sentenza, ha ricordato che la L. n. 56 del 1987, art. 23 configura una delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588) ed ha rilevato che, in forza di tale delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui all’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001. che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”.

La Corte, sulla base di questa premessa, ha ritenuto, al pari di molte decisioni pregresse, “viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in esame, ha affermato che la stessa non contiene alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali. In sostanza è stato rilevato che tale interpretazione si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962; l’interpretazione dell’accordo è stata, perciò, condizionata dal pregiudizio che le parti stipulanti non avrebbero potuto esprimersi considerando le specificità di un settore produttivo (quale deve considerarsi il servizio postale, nella situazione attuale di affidamento ad un unico soggetto) e autorizzando Poste Italiane s.p.a. a ricorrere (nei limiti della percentuale fissata) allo strumento del contratto a termine, senza altre limitazioni, con giustificazione presunta del lavoro temporaneo; questo “pregiudizio”, erroneo alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, determina l’erroneità dell’interpretazione secondo cui l’accordo sindacale avrebbe autorizzato la stipulazione dei contratti di lavoro a termine solo nella sussistenza concreta di un collegamento tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze di carattere straordinario richiamate per giustificare l’autorizzazione, con riferimento alla specificità di uffici e di mansioni” (così, testualmente, Cass. 21092/2008, cit). Tale censura, nei confronti della tesi su cui la Corte di Catanzaro ha basato la sua decisione, comporta l’accoglimento del ricorso e la cassazione della decisione impugnata, con rinvio ad altro giudice di merito, che dovrà decidere attendonsi al principio di diritto su richiamato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Potenza, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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