Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2127 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. I, 30/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 30/01/2020), n.2127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35281/2018 proposto da:

O.V., elettivamente domiciliato in Roma, via Nomentana

220, presso lo studio dell’avvocato Valentina Valeri e rappresentato

e difeso dall’avvocato Giacomo Cainarca in forza di procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 15/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, depositato il 16/2/2018, O.V., cittadino della Nigeria, ha adito il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato in (OMISSIS), di essere di religione cristiana e di avere in Nigeria i genitori; che il padre, pastore evangelico, durante una funzione religiosa, aveva rivelato a una donna di aver avuto una visione e di aver appreso che i suoi problemi erano causati dalla suocera; che alcuni mesi dopo il padre era stato minacciato per aver causato problemi alla famiglia di quella donna; che dopo sei mesi la notte del (OMISSIS), quando il padre era assente perchè era andato a una serata di preghiera a (OMISSIS), erano stati aggrediti a casa loro con colpi di arma da fuoco e i suoi due fratelli erano stati uccisi, mentre lui si trovava sotto la doccia; che il padre aveva sporto denuncia alla polizia; che, perciò, su consiglio del padre, era andato in Libia. In sede di audizione in Tribunale il ricorrente ha anche aggiunto che le stesse persone che avevano ucciso i fratelli nel 2016 avevano anche ucciso il suo cane.

Con Decreto 15 ottobre 2018 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto del 15/10/2018, comunicato il 24/10/2018, ha proposto ricorso O.V., con atto notificato il 21/11/2018, svolgendo due motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 10 Cost. e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

1.1. Dopo una lunga premessa sul contenuto e sui presupposti della protezione umanitaria, il ricorrente sottolinea l’insicurezza del Paese di origine, incapace di assicurare protezione giudiziaria, sanitaria e sociale ai suoi cittadini e richiama la circolare 0003716 del 30/7/2015 del Ministero dell’Interno che evidenzia fra i motivi della concessione umanitaria le gravi calamità naturali e gravi fattori locali ostativi a un rientro in dignità e sicurezza, riconoscendo al cittadino bengalese la protezione umanitaria.

1.2. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che avalla l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge.

Inoltre la stessa sentenza 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito aderisce al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

1.3. Il Tribunale ha rilevato che il ricorrente non aveva dimostrato una effettiva integrazione sociale, lavorativa e abitativa in Italia, non parlava neppure l’italiano nè aveva frequentato un corso a tale fine, mentre non poteva assumere rilievo il mero svolgimento di attività sportiva rugbistica; per altro verso ha osservato che invece nel Paese di origine poteva godere delle rete di appoggio familiare e in particolare della madre e di un più elevato grado di integrazione.

A tal proposito il ricorrente si limita all’esternazione di un dissenso di puro merito, priva di apporto critico.

1.4. L’invocazione oltremodo generica di un provvedimento amministrativo, oltretutto di contenuto e collocazione in atti del tutto imprecisati, quale la circolare (OMISSIS) del 30/7/2015 del Ministero dell’Interno che evidenzierebbe fra i motivi della concessione umanitaria le gravi calamità naturali e gravi fattori locali ostativi a un rientro in dignità e sicurezza, non può essere certamente posta a base di una censura di violazione di legge, anche a prescindere dall’incongrua menzione del riconoscimento al “cittadino bengalese” della protezione umanitaria.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

2.1. In primo luogo, il ricorrente lamenta una diversa decisione rispetto a un caso simile definito con provvedimento del 27/2/2018 dello stesso Tribunale; a prescindere dall’assoluta mancanza di elementi in ordine al diverso caso giudiziario citato, l’eventuale discrasia non può certamente essere posta a fondamento del vizio denunciato.

2.2. Il ricorrente lamenta poi che non sia stato considerato il fatto che la minaccia non necessariamente individuale può dirsi provata quando il grado di violenza indiscriminata sia tale da esporre a pericolo qualsiasi civile rientrato nel Paese e sostiene che tale situazione sussisteva in Nigeria, come emergeva da una serie di fonti citate (Annua) report 2016 Humans Rights Watch, Amnesty International 2015-2016; sito Refworld) che evidenziavano oltre al pericolo rappresentato dai Boko Haram nel Nord e Nord-Est del Paese, la situazione di violenza diffusa registrata nel centro e nel Sud della Nigeria.

La vicenda personale del richiedente era stata bollata come inattendibile pur presentando notevoli elementi di intrinseca credibilità.

2.3. La censura non si confronta con la ratio decidendi del provvedimento impugnato, che, quanto alla specifica area di provenienza del ricorrente (Edo State), esclude il rischio della violenza terroristica del gruppo Boko Haram e osserva che un alto tasso di criminalità comune, che pur indubbiamente affligge la regione. non configura il rischio di danno grave per esposizione indiscriminata dei civili ad atti di violenza scaturenti da conflitto armato interno.

2.4. La recriminazione del ricorrente circa il giudizio di non credibilità è espressa in termini assolutamente generici a fronte dell’ampia motivazione spesa dal Tribunale per evidenziare la non attendibilità del racconto del richiedente, caratterizzato da una serie di contraddizioni, incongruenze e illogicità.

3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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