Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2127 del 29/01/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 2127 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

SENTENZA

sul ricorso 25268-2012 proposto da:
CURION PAOLA C.F. CRNPLA50A64L038U, elettivamente
domìcìlitd in ROMA VIA SICILIA 137,

presso lo studio

dell’avvocato PATRIZIA SOLDINI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente 2017
3970

contro

COMUNE DI AREZZO, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO
EMANUELE II 18, presso STUDIO GREZ E ASSOCIATI
S.R.L., rappresentato e difeso dagli avvocati STEFANO

Data pubblicazione: 29/01/2018

PASQUINI, ROBERTA RICCIARINI, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 453/2012 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 04/05/2012 R.G.N.
1417/2010;

udienza del 11/10/2017 dal Consigliere Dott.
ALFONSINA DE FELICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;
udito l’Avvocato PATRIZIA SOLDINI.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G.25268-2012

FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Firenze con sentenza in data 4/5/2012, a conferma
della decisione del Tribunale di Arezzo n.208/2010, ha negato il diritto al
superiore inquadramento nella VI qualifica funzionale e al pagamento delle
rielative differenze retributive, oltre che il diritto alla corresponsione del livello

scolastica, trasferitasi per esigenze familiari dalla Provincia di Trapani al
Comune di Arezzo, con un comando. Facendo ricorso alla procedura di mobilità
volontaria, disciplinata dall’art. 6, co. 20 del d.P.R. n.268/1987, la Curion
aveva fatto richiesta di accesso ai ruoli del Comune, e accettato la proposta
dell’Ente di essere inquadrata nella V qualifica funzionale, inferiore, dunque, a
quella posseduta presso la Provincia di Trapani, in quanto l’organico dell’Ente
di destinazione al momento mancava di un posto vacante di VI qualifica
funzionale. Il Comune di Arezzo, con la delibera n. 3031 del 21/10/1993
aveva provveduto, di conseguenza, a inquadrare Paola Curion nella V qualifica.
Rifacendosi a un proprio precedente su questione considerata del tutto
analoga (n.89/97), la Corte territoriale ha ritenuto che l’istituto della mobilità
volontaria tra enti diversi (c.d. esterna), così come disciplinato dalle norme

ratione temporis applicabili alla fattispecie, non postulava la necessaria
conservazione dell’originario trattamento economico e normativo, e che il
principio del corrispondente inquadramento era stabilito solo per la mobilità
obbligatoria, mentre, per quella a domanda, la legge contemplava quale unico
requisito l’esistenza di un posto vacante in organico, di corrispondente qualifica
e profilo professionale, presso l’ente di destinazione. D’altronde, la Corte
territoriale, faceva rilevare come l’appellante, pur di conseguire lo spostamento
desiderato, aveva espressamente acconsentito all’attribuzione dell’inferiore
qualifica.
Dal diverso inquadramento nell’ente di destinazione, la sentenza d’appello
ha fatto derivare, altresì, la non spettanza alla Curion del Livello Economico
Differenziato (c.d. LED) (art. 35 del d.p.r. n.333/1990), con decorrenza
dall’1/1/1993, deliberato dalla Provincia di Trapani nel 1995, l cui onere

economico differenziato (LED) nei confronti di Paola Curion, educatrice

sarebbe stato a carico del Comune di Arezzo quale ente comandato) a causa
del venir meno del requisito dell’effettivo servizio per tre anni nella VI qualifica
funzionale, di cui la ricorrente aveva perso il godimento, a seguito
dell’inquadramento nella V qualifica funzionale da parte del Comune di Arezzo.
Avverso tale decisione interpone ricorso in Cassazione Paola Curion con
due censure cui resiste con tempestivo controricorso il Comune di Arezzo.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con la prima censura, è dedotta “Violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 6, del d.P.R. 268/1987, con particolare riferimento al comma 20 ed ai
precedenti della medesima disposizione normativa”.
La parte ricorrente richiama, in particolare, il comma 5, per affermare il
diritto, in capo al personale trasferito, alla conservazione della posizione
giuridica ed economica acquisita all’atto del trasferimento, ivi compresa
l’anzianità già maturata. Nega che la norma contempli alcuna differenza fra
trasferimento obbligatorio e a domanda, essendo il secondo concepito dalla
legge quale norma di chiusura del sistema, che si limita ad aggiungere una
nuova ipotesi a quella già disciplinata, senza tuttavia sottoporla a un diverso
trattamento.
Tale principio troverebbe conferma nell’art. 5 del d.p.c.m. n. 325/1998
richiamato dall’art. 22 del d.P.R. n.333/1990 sugli incentivi alla mobilità
volontaria, il quale espressamente stabilisce il principio dell’assorbimento della
differenza per godimento del trattamento più favorevole posseduto all’atto del
trasferimento, sub specie di assegno ad personam.
Insiste la censura, altresì, sulla continuità del rapporto di lavoro presso
l’ente di destinazione nell’ipotesi di mobilità, riportandosi alla giurisprudenza
delle Sezioni Unite n.26420/2006 che, definendo la mobilità volontaria una
fattispecie di cessione del contratto, ha escluso l’instaurazione di un nuovo
rapporto d’impiego con mantenimento in capo al lavoratore trasferito,
dell’anzianità, della qualifica e del trattamento economico.

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Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

2. La seconda censura lamenta “Contraddittorietà della motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio” riferendosi all’interpretazione
che la Corte ha dato dell’affermazione, contenuta nel preambolo della delibera
di trasferimento, secondo cui la dipendente trasferita per mobilità volontaria
avrebbe mantenuto immutato il proprio trattamento economico. Secondo la
Corte d’Appello, tale ammissione, lungi dal vincolare il Comune nei confronti

accogliere la domanda di mobilità proprio in ragione del fatto che la stessa non
produceva un aggravio della spesa complessiva.

La prima censura è infondata.
La parte ricorrente fonda la propria tesi difensiva sulla disciplina della c.d.
mobilità volontaria di cui all’art. 6, co. 20 del d.P.R. n.268/1987.
La norma prevede, oltre all’istituto della mobilità obbligatoria, (commi da 1
a 19), la possibilità di trasferimento del personale tra enti diversi, su richiesta
del dipendente.
I passaggi procedurali cui la legge assoggetta tale tipologia di
trasferimento volontario sono la domanda motivata e documentata
dell’interessato, la previa intesa tra gli enti e la contrattazione con le
organizzazioni sindacali. Tutto il meccanismo di condivisione – avviato dal
lavoratore – tra le amministrazioni diverse e tra le amministrazioni e le
organizzazioni sindacali, presuppone l’esistenza di posto vacante di
corrispondente qualifica e profilo professionale nell’organico dell’ente di
destinazione.
Orbene, nel caso in esame la doglianza si rivolge al fine di ottenere lo
stesso inquadramento che la ricorrente possedeva presso l’Ente di
provenienza, con ogni conseguenza sul piano retributivo e di carriera,
presupponendo che il Comune di destinazione abbia ingiustamente sacrificato
la professionalità acquisita dalla ricorrente.
Così come prospettata, tuttavia, la domanda non si rivela idonea a
censurare la ratio della decisione gravata, per la quale, avvenendo l’inferiore
inquadramento a causa dell’assenza di un posto vacante in organico di

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della ricorrente, tendeva al contrario a giustificare la scelta amministrativa di

corrispondente qualifica e profilo professionale, nessun diritto alla superiore
qualifica può rivendicarsi nei confronti dell’ente di destinazione.
Tale circostanza, secondo la Corte d’Appello ha impedito che il processo di
mobilità si completasse alle condizioni domandate dalla ricorrente, della
prosecuzione del rapporto, con conservazione dell’originaria qualifica
professionale posseduta. Da ciò deriva, secondo la Corte territoriale, che il

vacante di qualifica inferiore in relazione, appunto, alle sue disponibilità del
momento, senza che ciò facesse sorgere, in capo alla stessa – che peraltro
aveva anche aderito alla proposta – un diritto a un “recupero” della continuità
d’inquadramento funzionale interrotta a causa della mobilità volontaria.
La decisione del Giudice dell’appello, così motivata, non è intaccata dalla
censura, che si muove su un terreno ricostruttivo fondato sull’errato
presupposto che il Comune ricevente avesse l’obbligo di conservare in capo alla
ricorrente trasferita, la stessa qualifica funzionale rivestita nell’ente di
provenienza.
L’elemento con cui la censura manca di confrontarsi – e che costituisce, di
contro, il perno della ratio decidendi – è proprio l’assenza in organico di un
posto di VI qualifica funzionale vacante che, secondo il giudice dell’appello, ha
costituito la causa (legittima) della rottura della continuità di posizione
professionale la quale rappresenta, altrimenti, la regola in tema di mobilità
nell’impiego pubblico.
Limitandosi a inseguire un ragionamento avulso dalla

ratio decidendi,

testimoniato anche dall’improprio riferimento alla giurisprudenza di questa
Corte in tema di mobilità volontaria quale ipotesi di cessione di contratto, la
ricorrente non giunge a considerare gli sviluppi e le implicazioni di cui essa è
intrisa. Accertato, infatti, che il Comune di Arezzo non aveva, al momento, un
posto vacante di VI qualifica professionale in organico, per mantenere
l’inquadramento posseduto presso la Provincia di Trapani, la ricorrente avrebbe
potuto, o rinunciare temporaneamente alla mobilità volontaria, in attesa che si
creasse una vacanza su un posto di VI qualifica funzionale, oppure, scelta
puntualmente operata in presenza di una reale esigenza familiare, accettare

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Comune controricorrente ben poteva assegnare la ricorrente a un posto

l’offerta del Comune di approdare su un posto vacante nell’immediato, sebbene
di qualifica inferiore.
In conclusione, l’infondatezza della doglianza si manifesta con riferimento
al fatto di ritenere sussistente il diritto al mantenimento della qualifica rivestita
nell’ente di provenienza, pur nell’accertata assenza di un posto vacante di
eguale livello presso l’ente di destinazione, con ciò non rivelandosi idonea a

pienamente i suoi effetti nel caso oggetto di questo giudizio.

La seconda censura è assorbita.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo,
seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento nei
confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida
in Euro 200 per esborsi, Euro 4000 per competenze professionali, oltre alle
spese forfetarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.

Così deciso all’Udienza dell’11/10/201X

censurare la ratio decidendi della sentenza gravata che, pertanto, spiega

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