Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2127 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. I, 25/01/2022, (ud. 20/10/2021, dep. 25/01/2022), n.2127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosaio – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15009/2016 promosso da:

Autostrade per l’Italia s.p.a. (ASPI), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Salaria 95, presso lo studio dell’avv. Andrea Galvani, che la

rappresenta e difende unitamente all’avv. Franco Pellizzer, in

virtù di procura speciale a margine del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Officina F.lli M. di M. M. & C. s.n.c., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, via Cosseria 2, presso lo studio del Dott. Alfredo Placidi,

rappresentata e difesa dall’avv. Maria Giovanna Addario, in virtù

di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la ordinanza n. cronol. 4475/2015 del 09/12/2015, depositata

il 09/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/10/2021 dal Consigliere Dott. ELEONORA REGGIANI.

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato il 27/07/2012, l’Officina F.lli M. di M. M. & C. s.n.c. ha chiesto alla Corte d’appello di Bologna la determinazione giudiziale delle indennità di espropriazione e di occupazione dei terreni di sua proprietà, posti nel comune di (OMISSIS), parzialmente espropriati per la realizzazione di un nuovo svincolo autostradale e di una stazione lungo l’autostrada (OMISSIS), lamentando l’erroneità della loro determinazione provvisoria.

Con successivo ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato il 29/10/2013, la Autostrade per l’Italia s.p.a. (ASPI) ha chiesto alla Corte d’appello di Bologna la determinazione giudiziale delle indennità di espropriazione e di occupazione per gli stessi terreni, contestando la determinazione definitiva nel frattempo effettuata dalla Commissione provinciale espropri.

Le cause sono state riunite e, disposta CTU, le indennità sono state determinate in complessivi Euro 43.863,72.

Avverso tale statuizione, la Autostrade per l’Italia s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’Officina F.lli M. di M. M. & C. s.n.c. si è difesa con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 e art. 40, comma 1, anche in relazione al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 16, D.P.R. n. 495 del 1992, art. 26,L. n. 729 del 1961, art. 9,L. n. 765 del 1967, art. 19, al D.M. n. 1404 del 1968 e al D.M. 22 agosto 1967, per avere la sentenza impugnata, facendo proprie le conclusioni del CTU, stimato in base ad un valore medio tra quello agricolo e quello edificabile i terreni espropriati ricadenti in zona D5 (destinata ad attività economico produttive speciali), anche se ricadenti in fasce di rispetto stradale.

Con lo stesso motivo è anche prospettata la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, per avere il giudice di merito riconosciuto capacità edificatorie all’interno della fascia di rispetto già in essere, indennizzando, poi, la proprietà residua per lo spostamento di detta fascia, come se questa comportasse la perdita, anche solo potenziale, di ogni capacità edificatoria.

Con il secondo motivo di ricorso è dedotta l’omessa motivazione e/o la motivazione apparente su di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la sentenza impugnata adottato una motivazione del tutto assente, o comunque apparente, nel determinare il valore delle aree e il pregiudizio alla proprietà residua, facendo proprio un ragionamento errato e contraddittorio del CTU.

In particolare, la ricorrente ha evidenziato che la Corte di merito: a) ha attribuito alla particella (OMISSIS), posta in zona agricola E, il valore di Euro 2/mq e alle particelle (OMISSIS), inserite in zona D5 (destinata ad attività economico produttive speciali), il valore di Euro 4,75/mq, senza dare spiegazioni e dimenticando di menzionare il valore attribuito alla particella (OMISSIS); b) ha determinato il danno alla proprietà residua conseguente allo spostamento della preesistente fascia di rispetto per effetto dell’espropriazione parziale, come se questa comportasse la perdita, anche solo potenziale, di ogni capacità edificatoria, mentre invece, ai fini della determinazione dell’indennità, ha attribuito un maggiore valore all’area espropriata, operando una incomprensibile duplicazione delle poste indennitarie, poiché ha determinato il danno alla proprietà residua in base alla minore capacità edificatoria causata dall’esproprio parziale.

2. Il primo motivo di ricorso contiene due diverse censure, la prima delle quali, attinente al valore attribuito all’area espropriata (gravata dalla fascia di rispetto stradale), è infondata.

2.1. Questa Corte, con orientamento condiviso, ha reiteratamente affermato che l’inclusione del terreno espropriato in una fascia di rispetto stradale vale a qualificarlo come non edificabile ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, trattandosi di una limitazione legale della proprietà avente carattere generale, in quanto concernente, sotto il profilo soggettivo, tutti i cittadini proprietari di determinati beni che si trovino nella medesima situazione e, sotto il profilo oggettivo, beni immobili individuati a priori per categoria, in ragione della loro posizione o localizzazione rispetto a un’opera pubblica stradale o ferroviaria, non rilevando, in senso contrario, che il terreno sia collocato all’interno di un piano di insediamento industriale o di un piano di edilizia economica e popolare (v. da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 14632 del 06/06/2018).

In conseguenza della destinazione di interesse pubblico, infatti, i vincoli imposti dalle fasce di rispetto non arrecano alla parte sottratta al privato alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell’immobile in sede di esproprio, facendo difetto il nesso di causalità sia con l’ablazione e sia con l’esercizio del pubblico servizio cui l’opera è destinata.

Tale disciplina non può essere derogata neppure dagli strumenti generali di pianificazione del territorio, i quali, essendo provvedimenti amministrativi, sono assoggettati al rispetto delle norme di legge che impongono limitazioni legali di carattere assoluto. Ne consegue che al giudice, in sede di valutazione dell’indennità di occupazione o di esproprio, non è consentito prescinderne, dovendo egli limitarsi a prendere atto del regime direttamente stabilito dal legislatore (Cass., Sez. 1, n. 23210 del 17/12/2012 e Cass., Sez. 1, n. 25668 del 21/12/2015).

In sintesi, il vincolo di inedificabilità ricadente sulle aree situate in fascia di rispetto stradale o autostradale, non deriva dalla pianificazione e dalla programmazione urbanistica, ma è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi che rendono il suolo ad esso soggetto legalmente inedificabile, trattandosi di vincolo dettato per favorire la circolazione e offrire idonee garanzie di sicurezza a quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze o in queste abitano ed operano, sicché tale vincolo non ha né un contenuto propriamente espropriativo, né può qualificarsi come preordinato all’espropriazione, dovendo pertanto tenersi conto di esso nella determinazione dell’indennità di esproprio, non essendo l’area in questione suscettibile di edificazione in nessun caso, dato che vige il divieto assoluto di costruire su di essa (cfr. Cass., Sez. 1, n. 5875 del 13/04/2012).

Non può però negarsi alcun rilievo alla specifica connotazione del terreno su cui opera il vicolo derivante dall’esistenza della fascia di rispetto, qualora si tratti di terreni non edificabili che, tuttavia, non siano coltivati.

Come precisato dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. U., n. 7454 del 19/03/2020), in tema di terreni non edificabili, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del criterio del valore agricolo medio (VAM), la stima del terreno espropriato deve essere effettuata in base al criterio del valore venale pieno, con la possibilità di dimostrare che il fondo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, sia suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, tale da attribuire allo stesso una valutazione di mercato che rispecchi possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria.

In caso di terreni non edificabili, la stima deve, in sintesi, essere effettuata applicando il criterio generale del valore venale pieno e l’interessato può dimostrare che il fondo è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, e che, quindi, possiede una valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), sempre che tali possibilità siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass., Sez. 1, n. 6527 del 06/03/2019).

2.2. Nel caso di specie si è verificata proprio tale ipotesi, poiché la sentenza gravata ha fatto proprie le conclusioni del CTU che, nel valutare i fondi espropriati, su cui insisteva il vincolo della fascia di rispetto stradale, comunque compresi nella Zona D5 (destinata ad attività economico-produttive speciali), ha tenuto conto che le aree, pur essendo poste in fascia di rispetto, erano comunque suscettibili di utilizzo diverso dall’agricolo (ad. es. parcheggi, stoccaggio materiali, ecc…).

3. La seconda censura, contenuta nel primo motivo, presuppone il mancato accoglimento della prima e si fonda sulla ritenuta violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, per avere il giudice di merito riconosciuto capacità edificatorie all’interno della fascia di rispetto già in essere, indennizzando, poi, la proprietà residua per lo spostamento di detta fascia a seguito dell’espropriazione, come se questa comportasse la perdita, anche solo potenziale, di ogni capacità edificatoria.

3.1. Anche tale censura è infondata.

Come più volte affermato da questa Corte, con orientamento condiviso, lo spostamento della fascia di rispetto autostradale all’interno dell’area residua rimasta in proprietà degli espropriati, pur traducendosi in un vincolo assoluto di inedificabilità, di per sé non indennizzabile, può rilevare nella determinazione dell’indennizzo dovuto al privato, in applicazione estensiva del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, mediante il computo delle singole perdite conseguenti al deprezzamento dell’area residua, qualora risultino alterate le possibilità di utilizzo della stessa, ed anche per la perdita di capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste in proprietà (Cass., Sez. 1, n. 13598 del 02/07/2020).

Il pregiudizio derivante dalla perdita di una parte del terreno in conseguenza dell’espropriazione parziale e’, dunque, una perdita diversa, ma ugualmente indennizzabile (ove esistente), rispetto alla diminuzione della capacità edificatoria del terreno residuo che si verifica, per effetto dello spostamento della fascia di rispetto, sempre a seguito dell’espropriazione parziale.

La prima voce indennitaria è calcolata tenendo conto del valore venale del terreno, la seconda in base alla minore capacità edificatoria che il terreno residuo ha a seguito dell’espropriazione parziale, rispetto a quella esistente prima, per effetto dello spostamento della fascia di rispetto.

4. Anche il secondo motivo contiene due censure, entrambe infondate.

4.1. Occorre precisare che, in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. (introdotta dal D.L. n. 83 del 2013, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modif. in L. n. 134 del 2012) non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ma soltanto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

La riformulazione deve, infatti, essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).

A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (così Cass., Sez. U., Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).

Nel caso di specie, parte ricorrente ha richiamato l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ma è chiaro che la censura formulata è riconducibile al vizio della motivazione appena descritto, che si risolve nell’omissione, apparenza e contraddittorietà della stessa (cfr., in generale, Sez. U., n. 17931 del 24/07/2013; con riferimento ad altre ipotesi, v. Cass., Sez. 6-5, n. 16170 del 19/06/2018).

4.2. Non è fondata la censura alla lett. a) del secondo motivo di ricorso.

La diversa attribuzione del valore attribuita al metro quadro tra la particella (OMISSIS) e le altre è data proprio dal fatto che la prima è inserita in zona agricola (E) e le altre in zona destinata ad attività economico produttive speciali (D5), sicché in assenza di ulteriori risultanze, tali circostanze, riportate dalla stessa ricorrente, giustificano la diversa stima operata, che richiama, per la concreta determinazione, la CTU.

4.3. Non è fondata neppure la censura alla lettera b) del secondo motivo di ricorso.

Nel valutare il pregiudizio conseguente allo spostamento della fascia di rispetto per effetto dell’espropriazione, la Corte di merito ha considerato la minore capacità edificatoria dell’area residua in conseguenza dell’espropriazione parziale, che ha comportato lo spostamento della fascia di rispetto su tale area rimasta in proprietà dell’espropriata.

Come sopra evidenziato, si tratta di pregiudizio diverso da quello corrispondente alla perdita di una parte del terreno, perché, a seguito dell’esproprio parziale, se la fascia di rispetto si sposta sull’area residua prima edificabile, riduce la capacità edificatoria che prima aveva.

Una cosa, dunque, è la stima della porzione di fondo espropriata, da compiersi in base al valore venale dello stesso, ed altra cosa è l’individuazione del pregiudizio subito dal fondo residuo, su cui grava una fascia di rispetto prima inesistente, che riduce la capacità edificatoria dello stesso.

Nessuna diversa stima dello stesso terreno è dunque effettuata e nessuna duplicazione di danno è configurabile.

5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

6. La statuizione sulle spese segue la soccombenza.

7. In applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

PQM

La Corte

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del giudizio di legittimità, sostenute dalla controricorrente, che liquida in Euro 5.200,00 per compenso, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario e accessori di legge.

dà atto, in applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, mediante collegamento “da remoto”, il 20 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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