Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21269 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 14/10/2011), n.21269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PANNONE OTTAVIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.F.T., S.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che

li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4510/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/09/2006 R.G.N. 1181/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega PANNONE OTTAVIO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Poste italiane chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Roma, pubblicata il 7 settembre 2006, che ha confermato la sentenza di primo grado di accoglimento dei ricorsi di T. D.F. e S.M., con la quale era stata dichiarata la nullità dei termini apposti al contratta a tempo determinato stipulata tra le parti con decorrenza 9.12.1999 per il primo e 23.11.98 per la seconda, con i provvedimenti consequenziali.

Poste italiane propone un ricorso articolato in quattro motivi.

I lavoratore si sono difesi con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

I primi due motivi, pongono il problema della legittimità di contratti a termine stipulati per “esigenze eccezionali” stipulati dopo il 30 aprile 1998.

La posizione articolata da Poste italiane non è conforme alla giurisprudenza costante di questa Corte in controversie del tipo di quella in esame: contratto a termine, stipulato ai sensi dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, dopo la data del 30 aprile 1998.

Cass. n. 18272 del 2006; Cass. n. 13728 del 2009 e una lunga serie di altre decisioni ricordano che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco all’autonomia collettiva, la quale, pertanto, non è vincolata all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti collettive hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997.

Partendo da questo principio la giurisprudenza di questa Corte, dopo aver ribadito la legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate le decisioni dei giudici di merito che avevano affermato la natura meramente ricognitiva dei c.d. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui .. per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr.

accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).

La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

La giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141). Gli altri due motivi sono inammissibili.

Con il terzo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 421, 425 e 437 c.p.c. in connessione con l’art. 1362 c.c. e segg., formulando i seguenti due quesiti: “se ai sensi dell’art. 425 c.p.c. le informazioni ed osservazioni sindacali devono essere rese dai rappresentanti sindacali su specifici quesiti, la cui rilevanza deve essere preventivamente valutata dal giudice”. “Se dette informazioni sono utili per la ricostruzione dello svolgimento della vicenda contrattuale, in particolare per la determinazione dell’oggetto dibattuto tra le parti e della posizione da questa assunta nel corso delle trattative, ma non possono risolversi in valutazioni interpretative”.

Sta di fatto che le questioni poste con i quesiti non corrispondono alle censure mosse nella esposizione del motivo, concernenti, invece, la idoneità delle persone assunte come informatori, il fatto che non si sia tenuto conto di molte delle dichiarazioni da questi rese ed, in generale, la valutazione di tali dichiarazioni da parte del giudice.

Con il quarto motivo si è denunziata violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., formulando il seguente quesito “dica la Suprema Corte se per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 c.c.”.

Come si è più volte rilevato in presenza di quesiti così formulati, il quesito è inammissibile perchè generico e non pertinente rispetto alla fattispecie esaminata, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dal giudice di merito. Inoltre non vi è corrispondenza tra il tema posto con il quesito e le censure mosse nel corso della esposizione del motivo (idoneità del tentativo di conciliazione alla messa in mora e aliunde perceptum). Nella memoria Poste italiane chiede l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32.

In materia questa Corte ha affermato i seguenti principi: La previsione si applica anche ai processi in corso, compresi quelli in grado di appello o di cassazione (Cass. 3.1.2011, n. 65; Cass. 4.1.2011, n. 80; Cass. ord. 28.1.2011, n. 2112; Cass. 2.2.2011, n. 2452). Tuttavia, quanto ai processi pendenti in cassazione, è necessario che la quantificazione del risarcimento sia stato oggetto di specifico motivo di impugnazione (formulato in modo ammissibile), altrimenti la decisione sul punto deve ritenersi passata in giudicato (Cass. 3.1.2011, n. 65; 4.1.2011,n. 80; 2.2.2011, n. 2452).

Nel caso in esame la sentenza è passata in giudicato, in quanto il relativo capo della decisione non è stato oggetto di specifica impugnazione e l’unico motivo che, in qualche modo, investiva il tema del risarcimento del danno (quarto motivo) è inammissibile per le ragioni su esposte.

Il ricorso, pertanto deve essere rigettato, con condanna della parte che perde il giudizio alla rifusione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione ai controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 2.040,00 (duemilaquaranta/00) Euro, di cui 2.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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