Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21264 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 09/08/2019), n.21264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22256/2018 proposto da:

F.B., O B., elettivamente domiciliato in Roma Via

Fonteiana 142 presso lo studio dell’avvocato Valerini Fabio che lo

rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

avverso la sentenza n. 1231/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2019 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Roma, pubblicata il 23 febbraio 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da F.B. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale di Roma.

La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su sei motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Si riassumono di seguito le censure su cui si basa il ricorso per cassazione.

Primo motivo: nullità della sentenza procedimento, per l’erronea declaratoria di inammissibilità ex art. 342 c.p.c., dell’appello, ritenuto non munito di specifici motivi nonostante contenesse puntuali doglianze.

Secondo motivo: nullità della sentenza e del procedimento per violazione del potere e dovere ufficioso di acquisire informazioni rilevanti in base al diritto vivente, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e alla dir. 2004/83/CE, nonchè all’art. 101 c.p.c., comma 2, per non aver svolto la Corte di merito un’istruttoria all’attualità circa le condizioni del paese e non aver motivato in alcun modo la decisione assunta.

Terzo motivo: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,6,7 e 14 violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), violazione o falsa applicazione dell’art. 4, paragrafo 1, dir. 2004/83/CE in relazione all’art. 2697 c.c., per avere il giudice di appello assunto, contravvenendo alla previsione di legge, che solo per motivi religiosi potesse essere riconosciuta la protezione sussidiaria richiesta.

Quarto motivo: motivazione apparente o inesistente, per non aver soddisfatto la sentenza impugnata l’obbligo motivazionale delle sentenze avendo fatto ricorso a una argomentazione apparente.

Quinto motivo: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e omesso esame di fatti decisivi; violazione o falsa applicazione dell’art. 4, paragrafo 1, dir. 2004/83/CE in relazione all’art. 2697 c.c., in quanto la Corte di appello non avrebbe preso in considerazione fatti rilevanti, così violando la normativa primaria relativa al permesso per motivi umanitari.

Sesto motivo: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver mancato di prendere in esame il luogo di provenienza del ricorrente prima della fuga dal proprio paese.

2. – Il ricorso è infondato.

Non merita accoglimento il primo motivo, in quanto la Corte di appello ha respinto nel merito il gravame, non lo ha dichiarato inammissibile.

Il secondo motivo imputa al giudice distrettuale di non essersi avvalso dei poteri istruttori previsti in materia di protezione internazionale, ma l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui il conflitto in Senegal, che doveva ritenersi circoscritto alla regione del (OMISSIS), risultava oramai sostanzialmente estinto, è basato sulle evidenze del coevo report di Amnesty International, espressamente menzionato nel corpo del provvedimento.

Nel terzo motivo l’istante menziona altre fonti da cui avrebbero dovuto ricavarsi indicazioni di segno contrario circa il conflitto in (OMISSIS): la questione, tuttavia, finisce per inerire a un accertamento che sfugge al sindacato di legittimità: infatti, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui all’art. 14, lett. c), che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105). Oltretutto, il ricorrente ha dedotto che il (OMISSIS) sarebbe interessato ad atti di banditismo e di violenza diffusi, mentre il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), esige ben altro: e cioè che, nella regione interessata, si ravvisi un grado di violenza indiscriminata, che caratterizza Il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti, che raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese, lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (per tutte: Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130).

E’ escluso, poi, che quanto affermato dalla Corte di appello in ordine al nominato conflitto integri una motivazione apparente, giacchè quest’ultima si configura nell’ipotesi in cui la motivazione, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232): tale evenienza nella fattispecie non ricorre. La censura svolta sul punto nel quarto motivo di ricorso non ha quindi fondamento.

Ma la censura relativa all’apparenza della motivazione non coglie nel segno nemmeno ove si consideri il tema delle persecuzioni connesse a motivi religiosi o al pericolo di danni gravi di cui il richiedente si è detto vittima, e che la Corte di appello ha escluso essere riconducibili alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14. Sul punto è infatti assorbente il rilievo per cui l’istante non ha dedotto che i responsabili della persecuzione o del danno grave siano lo Stato, i partiti, o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; e non ha nemmeno allegato che tali soggetti non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi provenienti da altri soggetti non statuali (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5).

Il quinto motivo va pure disatteso. La Corte distrettuale ha infatti escluso che i ricorrente avesse allegato speciali situazioni di vulnerabilità. In punto di diritto l’affermazione appare corretta, giacchè la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336); l’istante svolge deduzioni genericamente riferite al contenuto della protezione umanitaria, ma non censura efficacemente la ratio decidendi della statuizione reiettiva che intende impugnare: sicchè il motivo, sul punto, risulta essere inammissibile. Parimenti inammissibile è, poi, la doglianza fondata sulla vulnerabilità psicologica che sarebbe derivata all’istante dalla propria permanenza in Libia: l’istante non spiega, infatti, se e come tale circostanza sia stata posta a fondamento della domanda di protezione umanitaria nella precorsa fase di merito. Si osserva, per completezza, che quanto occorso nel paese di transito non vale a giustificare, puramente e semplicemente, l’accoglimento della domanda di protezione internazionale, “viceversa da valutare considerando essenzialmente le connessioni tra la vicenda individuale con la situazione del paese di provenienza” (così Cass. 6 febbraio 2018, n. 2861).

Col sesto motivo, infine, l’istante denuncia un errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nell’individuazione della propria regione di provenienza. Come è evidente, tale doglianza non ha ad oggetto l’omesso esame di un fatto decisivo, quanto semmai l’improprio apprezzamento delle risultanze sottoposte al vaglio del giudice del merito, ed è perciò, inammissibile. La censura è peraltro pure carente di decisività, dal momento che la Corte distrettuale, come sopra si è visto, ha nella sostanza ritenuto, in base a una valutazione qui non sindacabile, che il (OMISSIS) non sia interessato a una situazione di violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato.

3. – La mancata resistenza del Ministero dà ragione dell’assenza di statuizione in punto di spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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