Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21263 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 09/08/2019), n.21263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19519/2018 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in Roma Via Cunfida 16

presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e

difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8020/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2019 dal cons. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Roma, pubblicata il 20 dicembre 2017, con cui è stato respinto il gravame proposto da M.R. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale capitolino. La nominata Corte ha negato che al ricorrente spettasse il riconoscimento dello status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Si riassumono i motivi di censura posti a fondamento del ricorso.

Il primo motivo oppone l’omesso od erroneo esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla competente Commissione territoriale, oltre che delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale dello stesso richiedente. Viene dedotto che il resoconto dell’istante risultava essere molto circostanziato e preciso, oltre che supportato dei riscontri documentali relativi ai procedimenti penali instaurati nei confronti del padre di lui.

Col secondo motivo è denunciato il diniego della protezione sussidiaria, cui il ricorrente assume di aver diritto in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del paese di origine e viene perciò dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Rileva il ricorrente che il Tribunale prima e la Corte di appello poi avevano errato nel ritenere non sussistenti le condizioni per il riconoscimento della detta forma di protezione: ciò in considerazione della grave situazione di pericolo per la sicurezza individuale presente in (OMISSIS). E’ sottolineato, al riguardo, che ai fini della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rileva la minaccia grave di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od internazionale: evenienza, questa, non subordinata alla condizione che il richiedente fornisca la prova di essere interessato ad essa in modo specifico, a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale.

Col terzo mezzo è lamentata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19. Osserva il ricorrente che il richiedente, dal momento in cui è giunto nel nostro paese, è titolare del diritto di accedere alla protezione umanitaria affinchè gli sia garantito un livello di vita adeguato, laddove le condizioni socioeconomiche e sanitarie del paese di origine non consentano condizioni di vita accettabili.

Il quarto motivo risulta titolato come violazione del principio di non refoulement. E’ osservato, in sintesi, che il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con il predetto principio, per come consacrato, oltre che nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

2. – Il primo motivo è inammissibile.

Il giudice di appello ha rilevato che nulla era emerso quanto a persecuzioni o minacce poste in atto nei confronti della famiglia dell’appellante, come pure in ordine alla paventata ritorsione del governo nei suoi confronti per l’attività politica svolta dal padre.

Il ricorrente ha censurato il giudizio formulato dalla Corte di merito prospettando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5: e cioè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. La deduzione di tale vizio è stata formulata tuttavia irritualmente, giacchè il ricorrente si è limitato a deplorare l’apprezzamento compiuto dal giudice distrettuale circa la propria condizione personale, laddove egli, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, avrebbe dovuto piuttosto indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

3. – E’ fondato invece il secondo motivo.

La Corte di Roma, dopo aver dato atto della assenza di riscontri di cui si è in precedenza detto, ha affermato dover essere respinte anche le domande subordinate intese al riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Al riguardo, è tuttavia da ricordare che, nel proporre l’appello, l’istante aveva prospettato la condizione di generale insicurezza del paese correlata a conflitti interni e il conseguente rischio cui sarebbe stato esposto in caso di ritorno in patria (cfr. ricorso per cassazione, pag. 3). La domanda di protezione sussidiaria risultava dunque proposta avendo riguardo pure alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Come ha avuto modo di precisare la Corte di giustizia, nell’interpretare l’art. 15, lett. c), della direttiva del Consiglio n. 2004/83/CE (di cui la richiamata norma nazionale costituisce recepimento), l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova di essere specifico oggetto di minaccia a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. Ciò implica che la protezione sussidiaria, nel caso in esame, vada accordata per il sol fatto che il richiedente provenga da territorio interessato dalla menzionata situazione di violenza indiscriminata: situazione in cui il avello del conflitto armato in corso è tale che l’interessato, rientranco in quel paese o in quella regione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte giust. 17 febbraio 2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, C 285/12, Diaktè; per la giurisprudenza nazionale cfr. pure, di recente: Cass. 13 maggio 2018, n. 13858; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130).

Può dirsi, dunque, che il fatto costituivo della forma di protezione in esame sia la situazione di pericolo generalizzato dato dalla violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato nel paese o nella regione in cui l’istante deve essere rimpatriato. La prova di tale situazione, in difetto di attivazione della parte, va acquisita poi d’ufficio dal giudice: come è stato efficacemente rilevato da questa Corte, quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (Cass. 28 giugno 2018, n. 17069).

La Corte di Roma ha quindi errato nell’attribuire rilievo dirimente al dato della mancata evidenza di “persecuzioni o minacce nei confronti del M.”: tale dato poteva infatti assumere rilievo con riguardo alle ipotesi del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a), e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275); con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), doveva invece indagarsi se la regione in cui avrebbe dovuto far ritorno l’istante fosse interessata alla richiamata situazione di violenza indiscriminata: e per addivenire a tale accertamento il giudice del merito avrebbe dovuto avvalersi dei poteri di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 27, comma 1 bis.

La sentenza va quindi sul punto cassata.

4. – Terzo e quarto motivi restano assorbiti.

5. – La causa è dunque rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione; al giudice del rinvio è demandata la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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