Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21262 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. II, 05/10/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 05/10/2020), n.21262

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8846-2016 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO

CALABRETTA;

– ricorrente –

contro

R.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 178/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro che ha concluso per l’accoglimento del settimo

motivo e l’assorbimento dell’ottavo motivo del ricorso;

udito l’Avvocato CALABRETTA Paolo, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.A. conveniva R.A. innanzi al Tribunale di Catania – Sezione Distaccata di Acireale.

L’attore, quale promissario acquirente, in forza di preliminare del 24 aprile 2002, dell’immobile sito in (OMISSIS) ed in atti specificamente individuato, lamentava di essersi reso conto che il convenuto, promittente venditore, era stato citato in giudizio dalla nipote (ex sorore) P.A. per la riduzione di donazione effettuata dal padre dello stesso, nonchè della madre premorta della medesima P., che chiedeva, quindi, la reintegrazione della quota di legittima della de cuius.

Il M. chiedeva, pertanto, all’anzidetto Tribunale di voler dichiarare la legittimità del proprio recesso dal succitato preliminare con condanna alla restituzione del doppio della caparra a carico del convenuto.

Quest’ultimo resisteva all’avversa domanda, di cui chiedeva il rigetto, deducendo che l’attore era stato perfettamente a conoscenza, al momento della stipula del preliminare, della controversia insorta con la di lui nipote e formulando domanda riconvenzionale al fine di sentir dichiarare l’inadempimento contrattuale dell’attore con suo diritto alla ritenzione della caparra ed al risarcimento danni.

Con sentenza n. 164/2011 l’adito Tribunale dichiarava la risoluzione del contratto inter partes condannando il R. al pagamento del doppio della caparra, assommante ad Euro 41.316,00.

Il R., chiedendo la riforma della decisione del Giudice di prime cure, interponeva appello, resistito dal M. che instava per il rigetto del gravame.

La Corte di Appello di Catania, con sentenza n. 178/2016, accoglieva parzialmente l’impugnazione ed, in riforma della decisione appellata, rigettava la domanda formulata dal M. con conferma del rigetto della domanda riconvenzionale.

Per quanto oggi rileva la Corte territoriale riteneva infondata la domanda attorea di recesso in quanto fondata esclusivamente sulla circostanza afferente la pendenza del citato giudizio civile promosso dalla P. non sostanziante un pericolo serio, concreto ed attuale di evizione.

Avverso la pronuncia della Corte territoriale ricorre il M. con atto affidato a vari e variamente numerati e rubricati motivi di impugnazione raggruppati, per ragioni di opportunità, così come di seguito esposto.

Il ricorso non è resistito dalla parte intimata.

Parte ricorrente, nell’approssimarsi dell’udienza, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il vizio di violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato in relazione all’art. 112 c.p.c., nonchè degli artt. 342 e 345 c.p.c..

Il ricorrente, già appellato, si lamenta – in sostanza- della mancata pronuncia sull’inammissibilità del terzo motivo dell’avverso appello interposto dall’odierna parte intimata.

Il motivo è del tutto inammissibile.

Lo stesso, in violazione degli oneri di cui al noto principio di autosufficienza, non esplicita con precisione estremi e contenuto del citato motivo dell’avverso appello.

Del tutto carente è, poi, l’interesse dell’odierno ricorrente, già parte appellata, rispetto alla eventuale omessa pronuncia su un avverso motivo di appello di controparte. In ogni caso il motivo non coglie la ratio della decisione gravata giacchè il rigetto della domanda attorea si fondava sulla inesistenza di valida ragione di esercizio del recesso a prescindere da ogni altro eventuale profilo.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di omessa motivazione su un fatto pretesamente decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il fatto, per esplicita ammissione del ricorrente, sarebbe costituito dalla “omessa declaratoria di inammissibilità della domanda di avvenuta risoluzione di diritto”.

Il motivo non è ammissibile.

La censura, infatti, non attiene alla mancata valutazione di un fatto in senso ontologico (o di un documento o di un dato istruttorio), ma all’essenza stessa di un punto della decisione.

Risulta, quindi, del tutto inammissibile, per come formulata, la censura svolta ai sensi dell’invocata norma processuale.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè delle norme processuali regolanti il giudizio di appello.

Secondo l’esposizione della parte ricorrente la Corte distrettuale avrebbe sbagliato nel ritenere errata la decisione del Giudice di primo grado.

Il tutto con riguardo alla valutazione della non ricorrenza di un pericolo concreto ed attuale di evizione in dipendenza della azione di riduzione esercitata, come già innanzi esplicato, dalla nipote del promittente venditore.

Il vizio denunciato, in primo luogo, non consta in una violazione rientrante nei parametri normativi processuali rubricati dal ricorrente.

La censura, posta strumentalmente come pretesa violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c., attiene -invero- ad una valutazione in punto di puro fatto inerente l’attualità e concretezza del pericolo di evizione derivante dall’azione svolta dalla P..

La valutazione, svolta -per di più correttamente- con la sentenza impugnata non è, comunque, riesaminatile in questa sede.

Il motivo è, quindi, del tutto inammissibile.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di difetto di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo, per di più del tutto generico, è inammissibile giusto il disposto del vigente art. 360 c.p.c., n. 5 col quale non è più censurabile la mera carenza motivazionale, ma solo omesso esame.

5.- Con il quinto motivo del ricorso si censura il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Col motivo si rinvia, in modo approssimativo e generico, alla pretesa omissione, da parte del Giudice del merito, nell'”esaminare ulteriori circostanze”, quest’ultime non meglio individuate, nè attestatamente decisive.

Il motivo non può, dunque, che ritenersi inammissibile.

6.- Con il sesto motivo del ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 il vizio di violazione di legge. La censura (rubricata col numero 5b alle pp. 53 ss.) attiene, in sostanza, alla pretesa mancata effettuazione di una indagine sulle inadempienze contrattuali e, quindi, sulla valutazione comparativa delle stesse.

Il motivo è del tutto inammissibile in quanto teso a suscitare una rivalutazione nel merito non più possibile in questa sede di legittimità e, comunque, non coglie la ratio della decisione gravata.

Quest’ultima non poteva, nè doveva svolgere alcuna indagine comparativa nel senso voluto dalla parte ricorrente una volta ritenuta l’inesistenza della necessaria gravità del pericolo di evizione.

7.- Con il settimo motivo (pp. 61 e ss. ricorso) parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (lett. a del motivo), nonchè vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (lett. b del motivo).

Per quanto attiene alla invocata nullità parte ricorrente adduce la violazione degli artt. 342 c.p.c. e ss. in quanto al Corte del merito avrebbe omesso di rilevare che era intervenuto giudicato implicito sulla avversa eccezione e sulla domanda riconvenzionale per il risarcimento danni per risoluzione del contratto in quanto l’eccezione e la domanda erano state rigettate con la decisione di primo grado ed il R., “appellante non ebbe a censurare tale capo della sentenza di primo grado”.

Per la parte della censura relativa al preteso vizio di motivazione la censura non si confronta con quanto disposto dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo non è ammissibile con riguardo sia alla prima che alla seconda delle censure sollevata e qui esaminate.

Infatti vi è violazione del noto principio di autosufficienza e mancata osservanza degli oneri conseguenti a carico della parte ricorrente.

Quest’ultima non trascrive, nè specifica le parti rilevanti degli svolti atti processuali, alla stregua delle quali potrebbe ipotizzarsi il prospettato (parziale) giudicato implicito.

Il motivo, nelle parti relative ai pretesi vizi di insufficiente motivazione della sentenza (p. 62 ss. e lett. b) del ricorso), si prospetta, poi, parimenti inammissibile per genericità e per mancato confronto, come già affermato, con i limiti di ricorribilità previsti dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5.

8.- Con l’ottavo motivo (in questa sede così sintetizzato e relativo alle censure indicate n.ri 7a e 7b) si prospetta la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c. in relazione all’art. 1385 c.c. e con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè la violazione e falsa applicazione di legge (art. 1385 c.c., artt. 1453 c.c. e ss.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Le censure svolte col ricostruito motivo qui scrutinato attengono, nella sostanza, alla questione della restituzione della caparra versata dal promittente acquirente.

La Corte del merito, accertata la sopravvenuta impossibilità di procedere alla stipula del preliminare, ha affermato che “…non può farsi luogo alla restituzione della caparra (ancorchè essa sia divenuta indebito, per effetto della impossibilità di fatto di trasferire il bene, difettando una apposita domanda al riguardo”.

L’affermazione della Corte territoriale non è immune dalle svolte e riassunte censure.

L’impugnata sentenza non risulta aver correlato, come doveva, la suddetta e rilevante decisione alla valutazione, anche comparativa, di specifici elementi e profili normativi. L’affermazione della non debenza della restituzione, quantomeno della semplice caparra (di cui non si disconosce la sussistenza), in quanto divenuta indebito per l’anzidetta impossibilità sopravvenuta di trasferimento del bene, andava -difatti- correlata ad una approfondita valutazione del contesto normativo e processuale.

In particolare l’effetto retroattivo della risoluzione di cui all’art. 1458 c.c. non poteva non essere considerato con la sentenza impugnata.

Più specificamente, ancora e con riguardo alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. e 1385 c.c., stante la pacifica domanda del M. di restituzione del doppio della caparra, la Corte territoriale doveva valutare l’ovvio rapporto di continenza fra la detta svolta domanda e quella di restituzione della sola caparra. Quest’ultima non poteva che essere intesa come una parte della già proposta istanza processuale di restituzione del doppio (con ciò facendo escludere ogni possibilità di pronunzia ultra petita); e deponendo, viceversa, per la sussistenza del denunciato vizio in quanto il meno -restituzione del semplice – non può che essere contenuto nel più che (restituzione del doppio).

Il complesso ed articolato motivo qui si era domandato in esame è, perciò, fondato e va accolto con ogni conseguenza di legge.

Al riguardo appare necessario affermare il seguente principio cui il Giudice del rinvio si atterrà al fine della decisione della controversia: “l’istanza di restituzione della caparra in favore del promittente acquirente deve ritenersi inclusa nella già svolta domanda, dal medesimo formulata, di restituzione del doppio della caparra stessa nell’ambito di controversia definita con il rigetto della domanda risolutoria del promittente acquirente, ma con accertamento di impossibilità sopravvenuta di trasferimento del bene oggetto di preliminare di vendita e, conseguentemente, con affermazione del carattere di indebito assunto dalla medesima caparra”.

9.- Con il nono motivo di ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., co 1, n. 3 e di nullità della sentenza o del procedimento ex n. 4 art. cit..

Il motivo, relativo -in sostanza- all’aspetto della regolamentazione delle spese deve ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento dell’ottavo motivo e del conseguente disposto rinvio.

10.- L’impugnata sentenza va, quindi, cassata con rinvio al Giudice in dispositivo indicato, che provvederà a decidere uniformandosi a quanto innanzi affermato sub 7.

P.Q.M.

La Corte accoglie l’ottavo motivo del ricorso, dichiara inammissibili i rimanenti motivi eccetto il nono, assorbito, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Catania.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

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