Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2126 del 31/01/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 2126 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: FORTE FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4531 del Ruolo Generale degli affari
civili dell’anno 2007 proposto:
DA
s.r.l. L’APOGEO,

con sede in Missanello (PZ), in persona del

legale rappresentante Maria Di Leo, elettivamente domiciliata in
Caserta alla Via Roma, Parco Europa, con l’avv. Carmela De
Franciscis, che rappresenta e difende la società per procura a
margine del ricorso notificato 1’8 febbraio 2007.

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Data pubblicazione: 31/01/2014

I.
..

RICORRENTE
CONTRO
REGIONE BASILICATA,

con sede in Potenza, in persona del

Presidente legale rappresentante elettivamente domiciliato in
Roma, presso l’ufficio di rappresentanza dell’ente alla Via

regionale che la rappresenta e difende per procura a margine del
controricorso.
CONTRORICORRENTE
avverso la ordinanza della Corte d’appello di Potenza n. 124/06
del 23 maggio – 4 luglio 2006. Udita, all’udienza del 5 dicembre
2013, la relazione del Cons. dr. Fabrizio Forte. Udita l’avv. DE
Franciscis, per la ricorrente e il P.M., in persona del
sostituto procuratore generale dr. Luigi Salvato, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con lodo del 12 marzo 2003, erano accolti i due primi quesiti
proposti dalla s.r.l. Apogeo con la domanda di arbitrato del 20
marzo 2001, l’uno relativo al riconoscimento alla società di un
adeguamento del contributo della Regione Basilicata per ampliare
e ristrutturare il suo complesso alberghiero “Hotel della gola”
in Missanello (PZ) per C 869.500,794 e l’altro sul contributo
addizionale pe le maggiori opere eseguite dall’istante pari ad C
313.158,339, condannando la Regione a pagare alla società C
1.182.660,313, con interessi di legge dalla domanda al saldo, e

Nizza n. 56, con l’avv. Maurizio Brancati dell’ufficio legale

rigettando le altre domande della società.
Con lo stesso lodo è stata accolta la domanda della Regione
Basilicata di condanna della s.r.l. L’Apoogeo a pagare la penale
di C 113.481,01, per inadempimenti degli oneri connessi al
contributo, con gli interessi su tale somma dal 16 luglio 2002

di cui sopra e ponendo, a carico d’entrambe le parti, per la
metà ciascuna, i compensi dovuti agli arbitri per la decisione.
La Regione Basilicata e la s.r.l. Apogeo impugnavano entrambe il
lodo che precede dinanzi alla Corte d’appello di Potenza: la
prima deduceva il difetto di giurisdizione del collegio
arbitrale, che aveva statuito senza potere su provvedimenti
amministrativi della Regione, e le carenze motivazionali del
lodo, affetto da eccesso di potere, con violazione dei limiti
del compromesso e la sua contraddittorietà con violazione di
norme di diritto.
La società L’Apogeo a sua volta censurava il lodo, in rapporto
al riconoscimento della validità della penale pretesa dalla
Regione a suo carico e per la disposta compensazione delle
spese, chiedendo l’annullamento delle statuizioni censurate e la
condanna della Regione Basilicata a pagare alla società L’Apogeo
C 608.902,88, per differenza della percentuale del contributo in
conto interessi ad essa dovuto, C 763.470,63 per interessi
legali e moratori sul suo credito ai sensi degli artt. 35 e 36
del D.P.R. m. 1063 del 1962 ed C 1.910.200,48, a titolo di equo
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al saldo, compensando le spese di causa e i rispettivi crediti

compenso, o le maggiori o minori somme da accertare a mezzo di
un c.t.u. da nominare, affermando che ad essa, a titolo di
contributo in conto capitale, di cui al D.L. 4 novembre 1988 n.
465, punto 3, spettava il 35% del costo del progetto e
dell’investimento e quindi la somma di C 2.820.887,58, con il

interessi per C 1.478.616,10, dovendosi applicare la stessa
percentuale del 25% del valore del progetto già prevista sia per
la Nittis Impianti s.r.l. e per la SIMAR, e non quella di misura
minore ad essa attribuita, prevedendo la legge nazionale il
finanziamento del 35% del costo del progetto e quella regionale
quello del 50% dell’esborso, da versare all’impresa che
investiva in nuove strutture nella Regione Basilicata.
Inoltre, la Commissione ministeriale aveva fissato nel 35% del
costo del progetto il contributo di cui all’art. 12 bis della
legge n. 237 del 1993, che recepiva integralmente le previsioni
della legge n. 556 del 1988 sul finanziamento, elevato dalla
legge regionale n. 5/93 della Basilicata al 50% del costo di cui
sopra, anche se, con l’approvazione della variante funzionale
proposta dalla società L’Apogeo, la Regione Basilicata aveva già
concesso, con delibera n. 4165 del 26 luglio 1993, un contributo
pubblico, nella percentuale del 35% del costo del progetto, per
poi erogare una somma minore.
Nell’impugnazione di lodo, la società odierna ricorrente
lamentava che gli arbitri non avevano riconosciuto il contributo
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5,25% annuo dell’ammontare complessivo dei mutui in conto

in conto interessi, di cui all’art. 4 della legge n. 556/88 per
C 608.902,68, da computare in base al progetto approvato dal
Ministero del Turismo e dalla Regione Basilicata con la delibera
indicata, e deduceva che gli interessi moratori ad essa dovuti
si erano riconosciuti a decorrere dalla sua domanda, invece che

del D.P.R. n. 1063 del 1962, per una somma di C 763.479,36.
La stessa società impugnante chiedeva l’equo compenso per il
danno subito dai ritardi nella nomina della commissione di
collaudo e per la sospensione dei lavori dal novembre 1992 al
febbraio 1994, perdita collegata agli interessi passivi che
l’impugnante aveva dovuto pagare sui mutui contratti per
realizzare il progetto finanziato nella misura di almeno il 50%
di quanto richiesto sin dall’origine ridotta come accennato.
Il lodo del 12 febbraio 2003, respinte le eccezioni sulla
carenza di potere degli arbitri a pronunciarsi sulle domande
delle parti relative ad atti amministrativi e quella di difetto
di legittimazione passiva della Regione Basilicata, riconosceva
dovute da questa alla s.r.l. l’Apogeo £ 606.361.034, quale
differenza del finanziamento dovuto in conto capitale sulle
maggiori opere eseguite, £ 1.683.588.652 per adeguamento alla
percentuale prevista del costo del progetto, rigettando le
richiesta della società di risarcire il danno
contributo

in

conto

interessi,

accogliendo

e adeguare il
quella

di

riconoscimento della penale proposta dalla Regione Basilicata

dalle date della loro maturazione, ai sensi degli artt. 35 e 36

per gli inadempimenti della società finanziata.
La Corte d’appello di Potenza, con sentenza n. 124 del 4 luglio
2006, ha dichiarato inammissibili i motivi d’impugnazione del
lodo del 12 marzo 2003 proposti dalla s.r.l. L’Apogeo, per poi
rilevare la nullità di tale lodo per la parte in cui aveva

contributo dovuto dalla Regione alla società, su cui gli arbitri
non avevano potere di provvedere, perché la clausola escludeva
espressamente che potesse essere oggetto della decisione degli
arbitri “ogni pronuncia del concedente in sede amministrativa”.
La Corte d’appello ha rilevato che le doglianze di cui alla
impugnazione non tendono a dedurre un difetto di giurisdizione
di essa, ma a sostenere la nullità dei lodi impugnati, perché
relativi a questioni, che non avrebbero potuto essere deferite
ad arbitri perché riservate alla cognizione del giudice
amministrativo; pertanto non vi era una questione di
giurisdizione degli arbitri, ma solo un’impugnazione del lodo,
nella parte relativa alla concessione del contributo aggiuntivo
della Regione, perché tale atto concessorio era effetto dello
stesso lodo e non frutto della scelta discrezionale della
Regione Campania.
L’impugnazione

è

stata

respinta

sulla

scorta

di

due

argomentazioni, in quanto da un lato la clausola escludeva ogni
decisione degli arbitri sulla mancata adozione di atti.
amministrativi e da altro canto, anche a ritenere esistente una
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riconosciuto la richiesta della società di adeguamento del

diversa volontà delle parti, comunque nessun lodo sarebbe
possibile, trattandosi di controversia concernente interessi
legittimi non deferibile al giudizio arbitrale.
Il lodo è stato dichiarato nullo anche per la parte in cui aveva
accolto le domande di tale società e respinto quella di

spese di causa tra le parti, escludendo ogni potere degli
arbitri di pronunciare sull’esercizio dei poteri discrezionali
della Regione Basilicata anche nel determinare la misura del
finanziamento da concedere.
Per la cassazione della predetta sentenza della Corte d’appello
di Potenza n. 124 del 4 luglio 2006 propone ricorso di cinque
motivi, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la
s.r.l. L’Apogeo, cui non resiste la intimata Regione Basilicata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Il primo motivo del ricorso della società L’Apogeo deduce
la illegittimità della sentenza impugnata, per violazione degli
artt. 360 n. l e 829 n. 4 c.p.c., oltre che degli artt. 1337,
1362, 1363 e 1364 c.c., anche per omessa o insufficiente
motivazione, sul fatto controverso, decisivo per il giudizio, ai
sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c., di avere l’art. 21 della
convenzione del 6 luglio 1992 tra la Regione Basilicata e la
società ricorrente previsto il deferimento agli arbitri di ogni
“controversia sorta tra le parti relativamente al presente
atto”, che regolava il finanziamento delle strutture turistiche
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pagamento dei lavori addizionali, compensando per l’intero le

che la ricorrente avrebbe dovuto realizzare.
La clausola e l’intero testo dell’accordo erano stati approvati
dalla Giunta regionale della Basilicata, con delibera n. 4383
del 23 luglio 1992, e riguardavano anche atti amministrativi che
dovevano adottarsi per le strutture turistiche da costruire;

tra interessi legittimi e diritti, su cui la Corte di merito
giunge a dichiarare la nullità del lodo per le statuizioni
relative a atti discrezionali dell’amministrazione / in ordine al
riconoscimento del finanziamento e quindi agli interessi
legittimi della società relativi a tale contributo, pur essendo
prevista la rimessione al collegio arbitrale d’ogni controversia
che potesse nascere nell’esecuzione del contratto.
Deve ritenersi che, anche se sulla lite eventualmente sorta tra
la s.r.l. L’Apogeo e la Regione Basilicata fosse stato
competente il giudice amministrativo, comunque su di essa
dovevano decidere gli arbitri, cui la clausola rimetteva ogni
controversia; ad avviso della società ricorrente, se
effettivamente la clausola vietava il giudizio degli arbitri sui
provvedimenti amministrativi della Regione Basilicata, tale
divieto non operava rispetto alla ipotesi di mancata adozione di
tali atti da parte dell’amministrazione regionale, da
qualificare mero comportamento di questa e non atto
amministrativo positivo o negativo espressione dei poteri
discrezionali della Regione.
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deve però negarsio per la ricorrente / il rilievo della distinzione

Se effettivamente non possono compromettersi in arbitrati le
questioni relative a interessi legittimi, con riferimento alle
posizioni soggettive dei privati su cui incidono gli atti
autoritativi della Regione Basilicata, nel caso, vi era stata in
realtà la mera inerzia di questa che, ad avviso della società

obbligazioni assunte nei suoi confronti, per non avere adottato
alcun provvedimento che riconoscesse il finanziamento per gli
interessi in favore della s.r.l. L’Apogeo.
La ricorrente censura la Corte d’appello per aver ritenuto che
l’inciso della clausola “fatta salva ogni pronuncia del
concedente in sede amministrativa”, sarebbe stato trascurato
dagli arbitri, in violazione dell’art. 1362 c.c.; in realtà, la
s.r.l. Apogeo collega la sua posizione soggettiva al mancato
contributo della Regione Basilicata in conto capitale, nella
misura del 35% del costo del progetto delle strutture turistiche
che avrebbe realizzato mentre, per la Corte di merito, tale
inerzia della Regione non integra l’inadempimento di un obbligo
ma solo il mancato esercizio del potere discrezionale di
riconoscere il finanziamento o la misura dello stesso,
espressione del potere discrezionale della Regione stessa di
concedere il contributo.
Il richiamo nella sentenza impugnata all’art. 1337 c.c., sulle
condotte in buona fede nella fase precontrattuale, e all’art.
1362 c.c., che estende tale dovere comportamentale alla fase
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ricorrente, con tale condotta / era stata inadempiente delle

successiva alla conclusione del contratto, ad avviso della
ricorrente, evidenzia l’errore della Corte d’appello, che non ha
considerato la disparità di trattamento, a svantaggio della
società L’Apogeo e a favore di altre società, che erano state
finanziate, disparità che la Regione Basilicata ha concorso a
per non avere impedito

tali contributi ad

altre

società ed avere negato quelli chiesti dalla ricorrente.
Si

conclude

il motivo di

ricorso

censurando la

omessa

considerazione dalla Corte d’appello del fatto che ogni
controversia andava rimessa agli arbitri, con interpretazione
estensiva della prevista esclusione di ogni atto amministrativo
dagli effetti del compromesso, che non andava riferito ai meri
comportamenti negativi della Regione Basilicata, violativi degli
artt. 1363 e 1364 c.c., dovendo la posizione di chi aveva
chiesto il finanziamento essere qualificata comunque interesse
legittimo e non diritto soggettivo.
1.2. Il motivo di ricorso è infondato, in quanto, come si
afferma nella sentenza impugnata il rigetto dell’impugnazione
del lodo dalla Corte di merito si è basato su due
argomentazioni, la prima che rilevava come la clausola comunque
escludesse ogni decisione sulla mancata adozione di atti
amministrativi e la seconda per la quale anche a ritenere
l’estensione del lodo all’esercizio dei poteri amministrativi,
comunque questo sarebbe stato nullo in quanto concernente
interessi legittimi.
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determinare,

:

Esattamente si è escluso nel merito che la clausola
compromissoria potesse prevedere pronunce su interessi legittimi
delle parti, dato che la stessa natura di tali posizioni
soggettive, comunque collegate agli interessi pubblici cui
devono dare attuazione, unitamente a quelli del titolare della

essere oggetto di atti di autonomia,senza almeno l’assenso della
P.A. che ai medesimi fini pubblici è interessata e quindi dello
stesso compromesso.
Non potendo le parti private disporre dei propri interessi
legittimi senza avere riguardo agli interessi pubblici da
attuare, che di regola comportano almeno un assenso della P.A.
in ordine a tali atti, neppure gli arbitri possono decidere su
detti interessi legittimi, avendo il potere di decidere delle
situazioni controverse, di cui le parti che li hanno investiti
della controversia hanno la piena disponibilità, come non accade
per gli interessi legittimi per le ragioni sopra indicate; il
primo motivo di ricorso è quindi infondato e da rigettare.
2.1. Il secondo motivo di ricorso censura la sentenza di merito
per violazione degli artt. 360 n. l

e 829 n. 4 c.p.c.,

dell’art. l della legge 30 dicembre 1988 n. 556 i deducendo omessa
o contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo
per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., avendo la
Corte d’appello ritenuto che la discrezionalità del contributo
fino al massimo del 35% delle opere da realizzare, comunque non
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posizione soggettiva, di regola impedisce che essi possano

fosse sufficiente a predeterminare la misura del dovuto come
finanziamento da parte della Regione, per cui la posizione
soggettiva del privato nei confronti di questa deve in ogni caso
configurarsi come interesse legittimo al riconoscimento del
contributo e alla determinazione della misura di esso,

Ad avviso della ricorrente, la Corte d’appello ha letto la norma
della Legge n. 556 del 1988, come intesa a non escludere
comunque variazioni dei finanziamenti sui costi degli appalti
per le strutture turistiche da realizzare nei limiti della
percentuale del 35% del costo del progetto in conto capitale e
del 5,50% annuo in conto interessi, consentendo, nei limiti che
precedono, anche modifiche dei contributi da disporre, con
incrementi o riduzioni di essi.
Nella fattispecie vi erano state variazioni dei lavori disposti
dalla Regione che giustificavano le differenze pretese
dall’Apogeo s.r.1., essendosi eseguiti lavori imposti dalla
normativa europea, tutti approvati senza riserve, anche quando
furono pagati e nessun rilievo ha sulla vertenza la esclusione
dal finanziamento della s.r.l. Nittis Impianti, cui sembra dare
rilievo la Corte d’appello alla pag. 3 della decisione
impugnata, in quanto la successiva esclusione di detta società
da ogni contributo haanzi determinato una maggiore
disponibilità di capitali per la Regione Basilicata, che
avrebbero consentito di finanziare la s.r.l. L’Apogeo come da
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provvedimenti che restano comunque discrezionali.

questa richiesto, non avendo su tali contributi alcun potere il
direttore dei lavori e la Commissione di collaudo.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Appare chiara la preclusione della censura con la quale la
ricorrente afferma la maggiore disponibilità di capitali per la

contributo ovvero a revoche per inosservanza di oneri dai parte
dei soggetti finanziati, in quanto questa Corte di certo non può
sostituirsi alla P.A. nella gestione del suo bilancio e dei
finanziamenti da disporre, per cui nessun rilievo in questa sede
possono avere le pretese maggiori disponibilità che possano dare
diritto alla società ricorrente ad un finanziamento più alto,
essendo rimesso ai poteri amministrativi della Regione
Basilicata ogni atto di disposizione dei fondi di cui è
titolare, con esclusione di qualsiasi sindacato giurisdizionale
del giudice ordinario sullo stesso provvedimento che attui
l’esercizio di tale potere.
3.1. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione degli artt.
829 e 830 c.p.c. e 35 e 36 del D.P.R. n. 1063 del 16 luglio
1961, dell’art. l del D.L. 4 novembre 1988 n. 556 convertito in
L. 20 dicembre 1998 n. 556, in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c., anche per omessa e insufficiente motivazione, per avere
la Corte di merito escluso ogni rilievo all’autorizzazione del
direttore dei lavori e all’approvazione della commissione di
collaudo dei lavori per cui si è chiesto il pagamento dalla
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Regione Basilicata, connesse a rinunce di altri beneficiari del

società L’Apogeo, il cui legale rappresentante aveva firmato il
registro di contabilità, apponendo le riserve ai sensi dell’art.
54 della legge n. 350 del 1865, confermate poi nello stato
finale dei lavori, così come stabilito dall’atto aggiuntivo del
7 febbraio 1994, che escludeva espressamente l’esigenza di

bastando l’approvazione del direttore dei lavori e dalla
commissione di collaudo, soggetti alla cui condotta la Corte
d’appello non dà rilievo alcuno.
La Corte di merito non ha riconosciuto il maggior contributo
in conto interessi spettante alla ricorrente sul presupposto che
il finanziamento si riferiva ad un rapporto esaurito tra
concedente e istituto mutuante mentre l’art. l della L. n. 556
del 30 dicembre 1988 pone sullo stesso piano il contributo in
conto capitale e quello in conto interessi per cui, riconosciuto
il primo non può disconoscersi il secondo e comunque appare
immotivato il rigetto degli arbitri della maggiore richiesta di
interessi collegata al maggior contributo domandato dalla s.r.l.
L’Apogeo, anche per gli oneri di guardiania nel periodo di
quindici mesi di sospensione dei lavori dovuta al ritardo della
nomina della commissione di collaudo.
3.2. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile per la
parte in cui comporta da questa Corte una serie di valutazioni
di merito precluse comunque in sede di legittimità.
Il motivo appare comunque infondato, in quanto il suo
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varianti per procedere ai pagamenti di tali lavori aggiuntivi,

accoglimento comporterebbe la esigenza di valutare comunque come
ricognizione di debito l’autorizzazione data in corso d’opera a
maggiori lavori da parte del direttore dei lavori e la
successiva approvazione degli stessi della Commissione di
collaudo, con una chiara sostituzione di questa Corte nei poteri

ordinaria.
4.1. In quarto luogo si censura la sentenza d’appello per
violazione degli artt. 342 e 343 della legge n. 2248 del 1865
all. f e delle norme del capitolato generale d’appalto oltre
che degli artt. 1175 e 1366 c.c., anche per omessa e
contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per
il giudizio.
La Corte d’appello potentina ha ritenuto che i lavori
addizionali di cui si chiede il pagamento dalla s.r.l. L’Apogeo
fossero di iniziativa privata, per cui la previsione del prezzo
doveva ritenersi immodificabile in difetto della loro natura
pubblica, dovendosi negare che il parere della Commissione di
collaudo potesse equivalere a ricognizione di debito.
Per la ricorrente la natura privata dell’opera cui si riferivano
i lavori realizzava comunque un interesse della collettività,
come chiarito da più sentenze amministrative di cui è citata
quella del Tar Lazio, Sez. l, 19 giugno 1997 n. 993, che esclude
ogni rilievo alla proprietà pubblica o privata dell’opera da
eseguire, ritenendo rilevante la sola funzione pubblica
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della Amministrazione comunque preclusa in sede di giurisdizione

dell’opera stessa oggetto di controversia, per cui vanno
applicati gli artt. 342 e 343 del r.d. n. 350 del 1865, sui
lavori extra-contratto, per i quali, nel merito, la sentenza
impugnata esclude correttamente ogni rilevanza del parere della
Commissione di collaudo e di quella di vigilanza.

verbale di collaudo, dell’approvazione dell’opera da parte della
P.A. committente dei lavori aggiuntivi eseguiti, che deve
comunque ritenersi lesivcc. della buona fede del committente
nell’esecuzione del contratto, non potendo la pretesa
immodificabilità del finanziamento avere rilievo, per evitare il
pagamento di lavori concretamente eseguiti in favore della
amministrazione committente.
4.2. Il quarto motivo di ricorso in sostanza lamenta la erronea
esclusione dell’interesse pubblico nella esecuzione dei lavori
c.d. addizionali, per negare il diritto al compenso quale
differenza tra il contributo in conto capitale sulle maggiori
opere eseguite per variazioni e addizioni non previste in
contratto ma menzionate nel collaudo, sul presupposto della
natura privata delle strutture alberghiere oggetto di
finanziamento pubblico.
La sentenza impugnata sul punto che procede ha una doppia e
concorrente motivazione negando il diritto della s.r.l. L’Apogeo
al corrispettivo per le variazioni e addizioni eseguite da essa,
non potendo applicare la legge n. 350 del 1865 in rapporto alla
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Il diritto al compenso non deriva infatti dalla menzione, nel

natura dell’opera eseguita qualificata privata e aggiungendo poi
che l’art. 8 del disciplinare “depone chiaramente per una
previsione di spesa in ogni caso immodificabile”, non incisa
dall’approvazione della Commissione di collaudo, perché deve
escludersi che nella fattispecie vi sia stata violazione dei

Il motivo di ricorso sembra censurare la sentenza solo in
rapporto alla scelta del compromesso che gli arbitri non
potessero

ingerirsi

nella

mancata

adozione

di

atti

amministrativi, non lamentando la violazione dei principi di
correttezza e buona fede per i quali il compromesso comunque
resterebbe salvo, con conseguente inammissibilità del quarto
motivo di ricorso sulla pretesa nullità non dichiarata della
Corte d’appello, in rapporto al contenuto della clausola
relativamente agli atti amministrativi e alla conseguente
inammissibilità del detto motivo di ricorso che censura una sola
delle concorrenti rationes decidendi della Corte di merito.
5.1. Si lamenta con il quinto motivo del ricorso, nel quale i
n.ri 5 sono due e non uno solo, il difetto di motivazione della
sentenza impugnata su un fatto decisivo per il giudizio, ai
sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., e quindi con un altro motivo
che avrebbe dovuto essere il sesto, violazione dell’art. 29
della D.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 in rapporto all’art. 10
della convenzione n. 2613/92 e all’art. 8 della legge n. 556 del
1988, relativi all’applicazione della penale.
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principi di correttezza e buona fede.

La Corte potentina avrebbe errato nel dichiarare inammissibile
l’impugnazione del lodo, in ordine alla penale riconosciuta alla
Regione Basilicata per 113.481,01, oltre interessi legali
dalla domanda al soddisfo, per i ritardi nei lavori / in quanto la
convenzione fissa la misura massima delle proroghe in dodici

Con tale decisione la Corte d’appello, ad avviso della
ricorrente, entra nel merito della decisione arbitrale, dopo
avere escluso di poter decidere sui maggiori lavori eseguiti
dalla ricorrente, essendo da negare che nel caso l’applicazione
della penale sia conforme alle previsioni dell’art. 10 della
convenzione n. 2613 del 1992, clausola per la quale nessun
potere aveva la Commissione di vigilanza in tale applicazione; a
tale potere fa invece riferimento la Regione Basilicata nel
comunicare detta penale.
La comunicazione della Regione Basilicata non costituisce il
titolo per la penale che la Corte d’appello ha ritenuto
correttamente applicata,

con i pareri

favorevoli della

Commissione di collaudo e dell’ufficio legale regionale, pur
essendo i ritardi dipesi da tassative disposizioni date dalla
committente Regione Basilicata, che aveva trattato diversamente
rispetto alla s.r.l. L’Apogeo la Nittis Impianti s.r.l. che
aveva iniziato i lavori con grandissimo ritardo rispetto alla
ricorrente, così violando la delibera regionale n. 4165 che
impone il trattamento paritario di tutti gli appaltatori da
18

mesi, nel caso abbondantemente superati.

parte della committente Regione Basilicata.
Invero, con l’art. 7, comma b, dell’atto aggiuntivo del 7
febbraio 1994, la s.r.1 Apoogeo e la Regione Basilicata avevano
stabilito che la prima si impegnava “ad eseguire eventuali nuove
opere forniture … opere che saranno oggetto di un quadro di

senza ricorrere ad approvazione di ulteriori lavori in corso
d’opera” e con tale accordo la Regione aveva in realtà
riconosciuto un diritto soggettivo della s.r.l. L’Apogeo
emergente chiaro dall’articolo di cui sopra.
5.2. In ordine al capo della sentenza relativo al riconoscimento
della penale, è da negare la dedotta contraddittorietà di
motivazione della sentenza impugnata che afferma solo che tale
questione esorbita rispetto all’ambito della clausola
compromissori e per tale profilo non poteva essere tratta dagli
arbitri.
Mancando la dedotta contraddittorietà di motivazione, il quinto
motivo di ricorso è infondato, dovendosi invece dichiarare
inammissibile per la parte in cui non coglie la ratio decidendi
della sentenza della Corte d’appello che ha ritenuto
inammissibile la impugnazione in quanto solo relativa al merito
e inidonea a contestare la correttezza in diritto della
motivazione adottata dalla Corte d’appello.
In relazione poi all’atto aggiuntivo stipulato dalla Regione e
dall’impresa di cui al motivo per la seconda volta definito
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assestamento tecnico-economico, liquidabile con lo stato finale,

quinto, a pag. 40 del ricorso, esso non denuncia un vizio di
motivazione ma una violazione di legge e comunque manca sia
della sintesi finale necessaria per il primo tipo di
impugnazione che del quesito di diritto necessario ove si
ritenga essersi con esso dedotta una violazione di legge.

classificato come quinto e delle sintesi conclusive ai sensi
dell’art. 366 bis per la parte in cui denunciano vizi di
motivazione comportano, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la
inammissibilità di tale ultimo motivo di ricorso (in tal senso,
cfr. tra molte, Cass. 28 giugno 2013 n. 16345 e 20 maggio 2013
n. 12248 sulle violazioni di legge e Cass. 8 maggio 2013 n. 5858
sul difetto motivazionale).
Le spese seguono la soccombenza e devono porsi a carico della
società ricorrente, liquidandosi nella misura di cui in
dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012 n. 140, da
applicare anche per le prestazioni professionali eseguite nel
.

vigore delle già vigenti tariffe non più applicabili, come
chiarito da S.U. 12 ottobre 2012 n. 17405.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a
rimborsare alla contro ricorrente le spese del presente giudizio
di cassazione che liquida in C 15.000,00 a titolo di compensi, e
in C 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie
come per legge.
20

In realtà la assenza dei quesiti di diritto nel sesto motivo

Così deciso nella camera di consiglio della l^ sezione civile

della Corte suprema di Cassazione il 5 dicembre 2013.

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