Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2126 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. I, 30/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 30/01/2020), n.2126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35230/2018 proposto da:

T.S., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Alessia Pontenani in forza di procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale;

– intimato –

nonchè contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato

in Roma, via dei Portoghesi 12, che lo rappresenta e difende ex

lege;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 29/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, depositato il 19/4/2018, T.S., cittadino della Costa d’Avorio, ha adito il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato a (OMISSIS); di praticare la religione musulmana; di essere stato abbandonato dalla madre da piccolo; di aver lavorato come sarto; che suo padre, sin dalla tenera età, era stato sostenitore di G.; che per tale ragione il padre, deceduto nel 2009, aveva subito minacce; di aver ritenuto la propria vita in pericolo e di aver pertanto lasciato il Paese.

In sede di audizione in Tribunale aveva aggiunto di essere stato personalmente minacciato e ferito perchè figlio di un sostenitore di G.; di essersi spostato verso il confine con la Liberia ma che anche lì “i ragazzi liberiani facevano la guerra”; di essere andato quindi ad (OMISSIS); che nel 2016 c’era stato un attentato alla spiaggia di (OMISSIS) e alcuni suoi amici erano morti; di aver quindi lasciato il Paese.

Con decreto del 29/10/2018 il Tribunale ha rigettato il ricorso ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso T.S., con atto notificato il 27/11/2018, svolgendo due motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita solo con memoria del 5/2/2019 al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,5 e 8.

1.1. Il ricorrente lamenta la mancata corretta applicazione delle regole sull’onere della prova e la violazione dei criteri legali di valutazione della credibilità; si duole della mancata indagine approfondita circa le condizioni di vita del ricorrente in Italia; il riferimento alla famiglia era incomprensibile essendo il ricorrente giunto in Italia solo ed orfano.

Il Tribunale avrebbe dovuto approfondire le condizioni del Paese di provenienza ai fini del giudizio comparativo necessario ai fini della richiesta di protezione umanitaria, tenendo conto dei rischi connessi all’instabilità politica e alle prossime elezioni del 2020.

1.2. Il motivo denuncia in modo promiscuo violazione di legge e omesso esame di fatto decisivo, neppure identificato.

La credibilità del ricorrente è stata esclusa dal Tribunale sia con riguardo alle minacce e violenze ricevute in quanto figlio di un sostenitore dell’ex dittatore G. in considerazione della sua troppo giovane età all’epoca dei fatti (12 anni) e della genericità delle indicazioni fornite circa il ruolo del padre, sia con riferimento al coinvolgimento nell’attentato di (OMISSIS) per la genericità delle sue dichiarazioni incoerenti con la rivendicazioni dell’attentato.

1.3. Certamente la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente asilo non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di credibilità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

1.4. Inoltre la decisione del Tribunale è sorretta anche da concorrente motivazione non censurata inerente la non attualità del pericolo.

1.5. Il Tribunale non era affatto tenuto a una approfondita indagine circa le condizioni di vita in Italia del ricorrente, non rientrando tale ambito in quelli per cui, in deroga alla regola dell’onere probatorio, vige il dovere di cooperazione istruttoria del Giudice, che riguarda le condizioni sociopolitiche del Paese di provenienza sia in relazione alle peculiarità della vicenda personale riferita, sia in generale circa i rischi di danno grave in cui possano incorrere i cittadini di quel Paese.

Infine il Tribunale non ha affatto supposto una famiglia del ricorrente ma ha semplicemente osservato in sede di valutazione comparativa fra i due contesti di vita, in patria e in Italia, rilevante ai fini della protezione umanitaria, che il ricorrente, al di là del positivo svolgimento di attività formative in sede di accoglienza, non aveva caratterizzato la sua esistenza in Italia in termini di vita privata e familiare meritevole di considerazione in chiave comparativa.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè omesso esame di fatti decisivi, con riferimento agli ammutinamenti registratisi nel 2017, risultanti dal rapporto Armed Conflict Location & Event Data Project dei marzo 2017 e del Rapporto della Commissione Affari Esteri francese del 15/2/2017.

Il ricorrente, a proposito di questi due documenti che il Tribunale avrebbe omesso di considerare ai fini della valutazione complessiva della Costa d’Avorio (peraltro specificamente effettuata con citazione delle fonti informative consultate a pag. 5) e del riconoscimento della protezione umanitaria non deduce di averli prodotti nel giudizio di merito, nè tantomeno dà conto del modo e del tempo della loro produzione e della loro collocazione negli atti processuali.

Per il resto il ricorrente reitera l’espressione del proprio dissenso di puro merito rispetto alla valutazione del Tribunale, così incorrendo in palese inammissibilità.

3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di rituale costituzione dell’Amministrazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono, allo stato, l’presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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