Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2126 del 29/01/2021

Cassazione civile sez. II, 29/01/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 29/01/2021), n.2126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3549-2016 proposto da:

S.A., C.N., dall’avvocato ROBERTO BUONANNO;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), D.I., V.L., L.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G FERRARI 2, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO GRISANTI, rappresentati e difesi dagli

avvocati PATRIZIA PROTA, BIAGIO GRASSO;

– controricorrenti –

nonchè

sul ricorso proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), D.I., V.L., L.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G FERRARI 2, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO GRISANTI, rappresentati e difesi dagli

avvocati PATRIZIA PROTA, BIAGIO GRASSO;

– ricorrenti incidentali –

contro

S.A., C.N.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4067/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2020 dal Consigliere SCARPA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale PEPE

ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e

del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato Grasso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.N. ed S.A. propongono ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 4067/2015 della Corte d’appello di Napoli, depositata il 16 ottobre 2015.

Resistono con controricorso il Condominio (OMISSIS), nonchè i singoli condomini D.I., V.L. e L.G., proponendo altresì ricorso incidentale strutturato in unico motivo.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 10 marzo 2008, accolse in parte la domanda avanzata con citazione del 2 ottobre 2000 dal Condominio (OMISSIS), condannando i condomini convenuti C.N. ed S.A., proprietari delle aree sottotetto poste al terzo piano del fabbricato, trasformate in mansarde con modifica dell’originaria sagoma del tetto condominiale, a ricostruire per intero le falde del medesimo tetto, anche in corrispondenza dei tre terrazzi realizzati dai convenuti ed a sostituire le tegole utilizzate. Il Tribunale respinse la domanda riconvenzionale dei convenuti diretta al rimborso delle spese sostenute per il consolidamento e la ricopertura del tetto. La Corte d’appello di Napoli ha poi rigettato sia l’appello principale di C.N. ed S.A., che l’appello incidentale del Condominio (OMISSIS).

I giudici di secondo grado hanno dato per incontestata la circostanza che il tetto dell’edificio fosse interamente a falde; hanno quindi esposto che, a seguito dell’intervento ricostruttivo del tetto crollato, C.N. ed S.A. avessero lasciato scoperte alcune zone dello stesso per annetterne l’utilizzo a vantaggio dei loro sottotetti, così modificando la conformazione della copertura e provocando una “innovazione del tetto”; hanno, ancora, ravvisato l’obbligo degli appellanti principali di “rifare il tetto in corrispondenza dei tre terrazzini”; hanno spiegato, altrimenti, che, seppur i condomini C. e S. non erano obbligati a rifare il tetto a loro cura e spese, avrebbero, tuttavia, dovuto munirsi dell’autorizzazione assembleare per trasformare lo stesso nei tre terrazzini, atteso che, in difetto di tale autorizzazione, non soltanto non potevano conseguire il rimborso delle spese sostenute, ma dovevano pure “ricondurre la sagoma del tetto alla sua originaria conformazione”; hanno ritenuto antiestetica, aderendo alle conclusioni del CTU, l’apposizione di “tegole marsigliesi”, pregiudizievoli per il decoro architettonico dell’edificio, e ne hanno perciò ordinato la sostituzione con tegole del tipo “piani e contropiani”.

Quanto all’appello incidentale formulato dal Condominio (OMISSIS), la Corte di Napoli ha negato, sempre richiamando gli accertamenti peritali, che le costruzioni realizzate da C.N. ed S.A. avessero determinato un incremento della quota di colmo del tetto, come anche un pregiudizio per le condizioni di sicurezza del fabbricato.

Venne rinviata l’udienza pubblica inizialmente fissata per il giorno 12 maggio 2020.

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso di C.N. ed S.A. denuncia la violazione dell’art. 1102 c.c.. La censura evidenzia come, prima ancora dell’esecuzione delle opere per cui è causa, il tetto dell’edificio condominiale fosse andato totalmente distrutto, il che indurrebbe a negare l’operatività riguardo ad esso dell’art. 1102 c.c.. Avendo i condomini ricorrenti proceduto a loro cura e spese alla parziale ricostruzione del tetto precedentemente crollato, essi non potevano intendersi obbligati a ricostruirlo per l’intero.

Il secondo motivo del ricorso di C.N. ed S.A. deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1102 c.c.. Si espone che il Condominio (OMISSIS) avesse domandato la condanna dei convenuti al “ripristino del preesistente stato dei luoghi”, mentre i giudici di appello, al pari del Tribunale, hanno pronunciato una condanna al “rifacimento del tetto anche in corrispondenza dei tre terrazzini”, nonchè alla “ricostruzione per intero delle falde del tetto”.

Il terzo del ricorso di C.N. ed S.A. censura il contrasto tra dispositivo e motivazione, che porterebbe alla nullità della sentenza impugnata, sostenendosi nuovamente che la motivazione della decisione non poteva giustificare la condanna dei ricorrenti principali a completare le opere di ricostruzione.

Il quarto motivo del ricorso principale deduce ancora la nullità della sentenza della Corte di Napoli per motivazione apodittica, nella parte cui si è argomentato che la mancanza di autorizzazione assembleare avrebbe comportato l’obbligo di ricostruire per intero l’originario tetto già crollato.

Anche il quinto motivo del ricorso principale denuncia la nullità della sentenza impugnata per motivazione apodittica, avendo affermato che la parziale ricostruzione del tetto aveva consentito ai ricorrenti di appropriarsi di beni condominiali e che le opere realizzate avevano alterato la destinazione delle medesime parti comuni.

2. L’unico motivo del ricorso incidentale proposto dal Condominio (OMISSIS), nonchè dai singoli condomini D.I., V.L. e L.G., deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102,1120,1122 e 2697 c.c., artt. 115,116 e 191 c.p.c., in relazione alla L. n. 64 del 1975 ed al D.M. n. LL. PP. 24 gennaio 1986, ed ancora l’omessa valutazione circa un fatto decisivo, avendo la Corte d’appello rigettato la domanda volta alla dichiarazione di illegittimità delle opere realizzate da C.N. ed S.A. sotto il profilo della normativa antisismica, del pregiudizio alla statica dell’intero edificio e dell’incidenza sulle parti comuni, attenendosi alle considerazioni svolte alle pagine 23, 26, 27 della relazione di CTU.

2.1. E’ priva di fondamento l’eccezione svolta dai ricorrenti principali sulla inammissibilità del ricorso incidentale dei singoli condomini D.I., V.L. e L.G., giacchè soggetti che non avevano “preso parte al giudizio di merito”. Cass. Sez. U, 18/04/2019, n. 10934, ha chiarito che nelle controversie condominiali che investono i diritti reali dei singoli condomini sulle parti comuni, quale quella in esame, ciascun condomino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale – concorrente con quello dell’amministratore – di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”. E’ perciò ammissibile il ricorso incidentale dei condomini che, pur non avendo svolto difese nei precedenti gradi di merito, intendono evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio.

3. Sono fondati il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso di C.N. ed S.A., esaminabili congiuntamente perchè connessi, mentre è infondato il quinto motivo del medesimo ricorso. L’accoglimento, nei limiti indicati di seguito, delle prime tre censure assorbe il quarto motivo del ricorso principale, il quali perde di immediata rilevanza decisoria.

3.1. Occorre considerare che, allorquando si sia verificato non il perimento dell’intero edificio condominiale, o di parte che rappresenti comunque i tre quarti del suo valore (casi nei quali vien meno lo stesso condominio e permane soltanto la comunione pro indiviso tra gli ex condomini sull’area di risulta), ma la distruzione di minor parte di esso (come si assume avvenuto nella specie, per effetto del crollo del tetto), ciascun condomino può esigere, ai sensi dell’art. 1128 c.c., che le parti comuni crollate siano ricostruite, rivolgendosi all’assemblea perchè provveda, con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma 4, a deliberare la ricostruzione della parte comune, dettando altresì le modalità di esecuzione tecniche, statiche ed estetiche dell’intervento (cfr. Cass. Sez. 2, 02/08/1968, n. 2767).

Nel medesimo caso in cui l’edificio condominiale sia perito per meno di tre quarti del suo valore, la mancanza della delibera assembleare di ricostruzione delle parti comuni prevista dall’art. 1128 c.c., comma 2 (o, addirittura, l’esistenza di una eventuale delibera contraria) non impedisce ai singoli condomini di ricostruire le loro unità immobiliari di proprietà esclusiva parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie a ripristinare l’esistenza ed il godimento di esse (come qui si reputa avvenuto, appunto, per iniziativa dei condomini C.N. ed S.A., in assenza di deliberazione dell’assemblea), non potendosi negare a chi aveva il diritto di mantenere la sua costruzione sul suolo (quale comproprietario dello stesso ex art. 1117 c.c., ovvero, in caso di diversa previsione del titolo, quale titolare di un diritto di superficie) il potere di riedificarla ai sensi dell’art. 1102 c.c., salvi il rispetto delle caratteristiche statico-tecniche preesistenti, in maniera da non impedire agli altri condomini di usare parimenti delle parti comuni secondo il proprio persistente diritto di condominio, e il divieto di attuare innovazioni, per le quali è indispensabile la delibera assembleare ai sensi degli artt. 1120 e 1136 c.c. (Cass. Sez. 2, 25/10/1980, n. 5762; Cass. Sez. 2, 14/06/1976, n. 2206; cfr. anche Cass. Sez. 6 – 2, 14/09/2012, n. 15482).

Conseguentemente, avendo i condomini C.N. ed S.A., nell’eseguire la ristrutturazione dei sottotetti di loro proprietà individuale, ricostruito altresì parte del tetto condominiale andato distrutto, realizzando tre terrazzi in corrispondenza dei medesimi sottotetti, va riconosciuto il diritto dei restanti condomini di opporsi a quelle opere edilizie che, ripristinando con difformità o varianti le precedenti strutture edilizie, portino concreto pregiudizio ai loro diritti di proprietà esclusiva o condominiale, nonchè il diritto degli stessi ulteriori condomini a conservare la proprietà condominiale sulle parti ricostruite dai condomini autori dell’intervento edilizio in conformità alla situazione preesistente al parziale perimento dell’edificio; in particolare, ove le opere realizzate dai condomini ricorrenti abbiano annesso alla proprietà esclusiva porzione del tetto comune ricostruito, deve intendersi fondata la pretesa del condominio volta alla riduzione in pristino relativamente al bene comune illegittimamente occupato (si vedano ancora Cass. Sez. 2, 05/03/1979, n. 1375; Cass. Sez. 2, 21/10/1974, n. 2988).

Va ancora evidenziato come l’intervento di parziale ricostruzione del tetto comune eseguito, nella specie, dai condomini C.N. ed S.A., è riconducibile non alla nozione di innovazione ex art. 1120 c.c., ma a quello di modificazione ex art. 1102 c.c.. Invero, le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712).

Non è, peraltro, fondata l’eccezione posta nel controricorso, secondo cui sulla “illegittimità dell’innovazione che ha riguardato il tetto” la Corte d’appello avrebbe accertato la “sussistenza di un giudicato”, evincibile dalla constatazione, espressa nella sentenza impugnata, in base alla quale il punto non era stato “oggetto di specifica censura”. La difformità delle opere realizzate dai condomini C.N. ed S.A. rispetto alle regole dettate dall’art. 1102 c.c., per sottrazione di parte del tetto comune alla fruizione collettiva e per alterazione della funzione di copertura, costituiva, invero, affermazione contenuta nella sentenza di primo grado costituente non capo autonomo ed indipendente della pronuncia, tale da poter dare luogo alla formazione del giudicato interno, quanto argomentazione e valutazione sui presupposti necessari di fatto concorrenti alla unitaria decisione sulla domanda di illegittimità delle opere e di condanna alla riduzione in pristino. Il riesame della legittimità delle opere alla stregua dell’art. 1102 c.c., non era, dunque, precluso in secondo grado, essendo piuttosto implicato dal primo motivo dell’appello principale ai giudici di appello, sul quale, d’altro canto, la Corte di Napoli ha poi pronunciato con argomenti attinenti proprio al merito della questione.

Tuttavia, a confutazione del quinto motivo del ricorso principale, deve sottolinearsi come la più recente interpretazione di questa Corte afferma che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali (Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14107; si vedano anche Cass. Sez. 6 – 2, 04/02/2013, n. 2500; Cass. Sez- 6-2, 25/01/2018, n. 1850; Cass. Sez. 6-2, 21/02/2018, n. 4256). La Corte d’appello di Napoli ha tuttavia accertato in fatto che l’intervento di ricostruzione del tetto crollato, eseguito da C.N. ed S.A., aveva lasciato “scoperte” tre piccole zone dello stesso per annetterne l’utilizzo a vantaggio della mansarda-sottotetto di proprietà individuale. E’ evidente come l’accertamento circa la significatività del taglio del tetto praticato per innestarvi terrazze di uso esclusivo e circa l’adeguatezza delle opere eseguite per salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto è riservato al giudice di merito e, come tale, è censurabile in sede di legittimità non per violazione dell’art. 1102 c.c., ma soltanto nei limiti di cui all’art. 360 c.c., comma 1, n. 5.

Come ogni forma di uso particolare o più intenso del bene comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., la legittimità della trasformazione di parte del tetto condominiale in terrazza postula altresì che non ne risulti arrecato pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.

Nella specie, sempre per quanto accertato in fatto, si ha riguardo ad un intervento di trasformazione di parte del tetto comune, con realizzazione di “tre terrazzini a trincea”, che hanno annesso le rispettive zone del tetto alla mansarda-sottotetto di proprietà C.- S.. La illegittimità del mutamento dello stato dei luoghi è stata argomentata dai giudici di secondo grado con riguardo alla “modifica dell’originaria conformazione del bene, essendo la copertura non più interamente a falde ma in parte a falde e in parte piana, in corrispondenza dei tre terrazzini a tasca”, il che avrebbe “alterato la funzione di copertura dell’edificio”. Inoltre, la Corte d’appello ha ravvisato una lesione del decoro architettonico, avendo i condomini C.N. ed S.A. utilizzato tegole “marsigliesi”, difformi da quelle del tipo “piani e contropiani” già presenti nel fabbricato e peraltro prescritte dalla Sopraintendenza.

L’acclarata inadeguatezza delle opere eseguite da C.N. ed S.A., al fine di salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto, e il ravvisato pregiudizio arrecato al decoro architettonico dell’edificio condominiale convalidano la fondatezza della pretesa di natura reale del condominio, basata sull’art. 1102 c.c., avente, tuttavia, per fine il mero ripristino della cosa comune illegittimamente alterata dai ricorrenti principali, ed in ciò sta la fondatezza delle prime tre censure. Ne deriva che la conseguente condanna giudiziale deve consistere unicamente nella eliminazione della situazione provocata dall’illecito utilizzo del bene condominiale e nella riproduzione della situazione dei luoghi modificata o alterata, ovvero anche nell’esecuzione di un quid novi, ma solo qualora il rifacimento pure e semplice sia inidoneo a conseguire il ripristino dello status quo ante, avuto riguardo alla utilità recata dalla res prima della contestata modificazione (arg. da Cass. Sez. 2, 29/01/2020, n. 2002; Cass. Sez. 2, 13/08/2018, n. 20726; Cass. Sez. 2, 28/02/2017, n. 5196; Cass. Sez. 2, 05/08/2005, n. 16496; Cass. Sez. 2, 13/11/1997, n. 11227). La Corte d’appello di Napoli, viceversa, ha confermato l’ordine, già impartito in primo grado ai condomini C.N. ed S.A., di “rifare il tetto in corrispondenza dei tre terrazzini in modo da renderlo conforme alla sagome originaria” e di sostituire le “tegole marsigliesi” con tegole del tipo “piani e contropiani”, così eccedendo rispetto al ricordato limite della condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi abusivamente modificati.

4. L’unico motivo del ricorso incidentale proposto dal Condominio (OMISSIS), nonchè dai singoli condomini D.I., V.L. e L.G., rivela profili di inammissibilità ed è comunque infondato.

La Corte d’appello di Napoli ha esaminato la questione della “sicurezza del fabbricato”, ritenendo parziale il richiamo operato dal Condominio alle risultanze della CTU, la quale, alle pagine 27 e 29 della relazione del 25 febbraio 2004, aveva ritenuto mancante l’incidenza delle opere di causa sulle condizioni di sicurezza.

Per contrastare questa motivazione, i ricorrenti incidentali richiamano, invece, quanto l’ausiliare aveva scritto a pagina 23 della medesima relazione tecnica, limitandosi poi a riportare, delle pagine 26 e 27 di CTU, le considerazioni sul contenuto del mandato, che non avrebbe consentito accertamenti più approfonditi in ordine alla condizione statica globale dell’intero edificio.

Le censure dei ricorrenti incidentali, sub specie della denuncia di violazione di norme sostanziali, nonchè dell’art. 115 c.p.c., (normapuò essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti), dell’art. 116 c.p.c. (norma che invece sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) e dell’art. 191 c.p.c. (che riguarda la nomina del consulente tecnico), consistono, in realtà, non nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle disposizioni asseritamente contravvenute, quanto nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta dovuta alla inesatta valutazione del materiale istruttorio, operazione che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito ed è sottratta al sindacato di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Quanto alle doglianze sul mancato rinnovo della CTU, rientra notoriamente nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e l’esercizio di un tale potere (così come il mancato esercizio) non è censurabile in sede di legittimità.

L’accertamento dei giudice del merito che le modifiche delle parti comuni (delle quali, peraltro, è stata comunque disposta la riduzione in pristino per la ragioni già considerate a proposito dei motivi del ricorso principale), ai sensi dell’art. 1102 c.c., non avessero arrecato pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La censura volta ad evidenziare le considerazioni del CTU sul “mancato miglioramento” del fabbricato sotto il profilo del rischio sismico non si avvede che la pretesa del condominio avente, quale fine, il ripristino dello “status quo ante” di una cosa comune illegittimamente alterata si fonda sul disposto di cui all’art. 1102 c.c., diversamente dalla pretesa, fondata sul disposto di cui al successivo art. 1108, di attuare innovazioni intese, appunto, al miglioramento della cosa comune (Cass. Sez. 2, 13/11/1997, n. 11227).

D’altro canto, il ricorso incidentale, invoca erroneamente a sostegno della censura esposta l’orientamento di questa Corte circa la “presunzione di pericolosità” correlata alla inosservanza delle cautele tecniche prescritte dalle leggi antisismiche (da ultimo, Cass. Sez. 2, 29/01/2020, n. 2000), orientamento che, però, inerisce propriamente alla diversa fattispecie implicata dal divieto di sopraelevazione per inidoneità delle condizioni statiche dell’edificio, previsto dall’art. 1127 c.c., comma 2. Tale diversa fattispecie suppone, dunque, che sia stata realizzata una nuova costruzione comportante un maggior peso per le strutture dell’edificio, le quali potrebbero perciò non sopportare più l’urto di forze in movimento quali le sollecitazioni di origine sismica.

Circa il riferimento al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’interpretazione di questa Corte ha inoltre chiarito come la riformulazione di tale norma, operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

E’ peraltro inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo alle conclusioni del CTU sul “mancato miglioramento” del fabbricato. Spetta al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Tale valutazione è compiutamente esplicitata nella sentenza della Corte d’appello e non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di cassazione, come auspica il ricorrente, un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione inferenziale dei risultati dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.

5. Devono pertanto accogliersi, nei limiti di cui in motivazione, il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, rimanendo assorbito il quarto motivo dello stesso, mentre deve rigettarsi il quinto motivo del ricorso principale, così come va rigettato il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata viene cassata, in ragione delle censure accolte, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, la quale terrà conto dei rilievi svolti e si uniformerà agli enunciati principi, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il quarto motivo e rigetta il quinto motivo del ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2021

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