Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21258 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. II, 05/10/2020, (ud. 13/12/2019, dep. 05/10/2020), n.21258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22688/2016 proposto da:

CONSORZIO AGRARIO DI SARDEGNA COOP RL, rappresentato e difeso

dall’avvocato FABIO SERRA;

– ricorrente –

contro

CIO COVATOIO ITALO OLANDESE SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 316,

presso lo studio dell’avvocato PIERO FRANCESCHI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MASSIMO LEDDA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

sul ricorso 26663/2018 proposto da:

CIO COVATOIO ITALO OLANDESE SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 316,

presso lo studio dell’avvocato PIERO FRANCESCHI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MASSIMO LEDDA;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO AGRARIO DI SARDEGNA, rappresentato e difeso dall’avvocato

FABIO SERRA;

– controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 601/2016 della CORTE D’APPELLO

di CAGLIARI depositata il 27/07/2016, nonchè avverso la sentenza

definitiva n. 134/2018 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI, depositata

il 19/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito l’Avvocato Vincenzo Pompa, con delega depositata in udienza

dall’avvocato Fabio Serra, difensore del Consorzio Agrario di

Sardegna, che si è riportato agli atti depositati ed ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 28 dicembre 2002 la società Covatoio Italo Olandese s.r.l. (di seguito “Covatoio”) proponeva opposizione avverso il decreto n. 2198/2001 con cui il Tribunale di Cagliari le aveva ingiunto il pagamento della somma di lire 201.405.817 in favore del Consorzio Agrario di Sardegna s.c.a.r.l. (di seguito “Consorzio”), a titolo di pagamento delle forniture di mangime per galline ovaiole per il periodo compreso tra il 27 ottobre 2000 e il 24 agosto 2001. A sostegno dell’opposizione la società esponeva che dal gennaio 2001 si era verificato un consistente calo della ovodeposizione delle galline causato dalla composizione del mangime; campioni del mangime erano stati sottoposti, di comune accordo, ad analisi di laboratorio presso l’Università di Parma; era emerso che i risultati dell’analisi dei campioni, che avevano certificato che tutti i valori erano nella norma, erano stati in realtà alterati da chi aveva reso il referto (prof. B.). L’opponente faceva altresì valere domanda riconvenzionale, chiedendo la condanna del Consorzio al risarcimento del danno subito per la minore produzione di uova (la produzione di circa 100.000 pulcini al mese era scesa a meno di 30.000) e per la perdita di quote di mercato, avviamento commerciale e credibilità aziendale. In corso di causa, il Covatoio produceva l’atto di rinvio a giudizio di B. e di M., tecnico del Consorzio, per il reato di frode in commercio, con riferimento ai risultati delle analisi e poi la sentenza del Tribunale di Cagliari, confermata in appello, che “aveva accertato la responsabilità penale” degli imputati, riqualificando i fatti contestati a B. come falsità in scrittura privata, e altri atti del processo penale di primo e di secondo grado.

Il Tribunale, con sentenza n. 2198/2013, rigettava sia l’opposizione che la domanda riconvenzionale del Covatoio e confermava il decreto ingiuntivo.

2. La sentenza era appellata dal Covatoio, che lamentava come il Tribunale, pur avendo riconosciuto che almeno una delle forniture non presentava la qualità promessa, avesse poi confermato il decreto ingiuntivo, senza comunque debitamente valutare le prove acquisite nel processo e la documentazione prodotta (in particolare le certificazioni della veterinaria dell’ASL, confermate dalle perizie di parte).

Con sentenza non definitiva 27 luglio 2016, n. 601, la Corte d’appello di Cagliari, considerato provato che il mangime fornito nei due/tre mesi precedenti il gennaio 2001 non era conforme alla qualità richiesta e che il calo della produzione, che riprese nel marzo 2001, era da imputarsi alla cattiva qualità del mangime, accoglieva parzialmente il gravame, revocando il decreto opposto e condannando la società opponente al pagamento delle forniture successive al 29 dicembre 2000, pari ad Euro 70.099,88; disponeva inoltre la prosecuzione del giudizio “al fine di determinare la misura” del danno subito dal Covatoio a causa del calo della produzione, essendo necessari accertamenti tecnici.

3. Con ordinanza il giudice d’appello disponeva consulenza tecnica “perchè, sulla base della documentazione in atti, il consulente quantifichi la misura dei danni conseguenti al calo della produzione”.

Con sentenza definitiva 19 febbraio 2018 n. 134, la Corte d’appello rigettava la domanda di risarcimento del danno.

4. Contro la sentenza non definitiva ha ricorso per cassazione il Consorzio Agrario. Ha resistito con controricorso il Covatoio, che ha proposto altresì ricorso incidentale.

Il ricorrente principale ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.

5. Contro la sentenza definitiva ha ricorso per cassazione il Covatoio. Ha resistito con controricorso il Consorzio Agrario.

Il Covatoio ha proposto memoria in relazione alla impugnazione della non definitiva e a quella della definitiva.

6. Entrambe la parti hanno chiesto che le impugnazioni avverso la sentenza non definitiva e avverso la sentenza definitiva siano riunite.

Alla pubblica udienza la Corte, sentito anche il parere favorevole del Procuratore Generale, ha disposto la riunione del procedimento di impugnazione della sentenza definitiva n. 26663/2018 al procedimento di impugnazione della sentenza non definitiva n. 22688/2016.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

I. La sentenza non definitiva è impugnata con ricorso principale del Consorzio Agrario e con ricorso incidentale del Covatoio.

1. Il ricorso principale è articolato in sei motivi:

a) Il primo motivo lamenta, “in via principale, nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) per omessa e/o apparente motivazione della sentenza e in relazione all’art. 132 c.p.c., in ragione dell’omessa valutazione di prove acquisite al processo” circa l’affermazione della Corte d’appello secondo cui “deve ritenersi provato, attese le risultanze del giudizio penale, che effettivamente i mangimi analizzati (forniture nn. (OMISSIS) e (OMISSIS)) non fossero conformi alla qualità richiesta”; “in via subordinata e/o alternativa, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” circa la medesima affermazione.

b) Il secondo motivo denuncia, “in via principale, violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)” e, “in via subordinata e/o autonoma, violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c.” a proposito del passo in cui la Corte d’appello ha affermato che la riformulazione del mangime a marzo del 2001 aveva determinato una ripresa della produzione, circostanza che sarebbe stata allegata dallo stesso Consorzio e “dalla quale ha poi tratto la congettura” che era il mangime venduto dal Consorzio la causa del calo produttivo delle galline del Covatoio, e questo nonostante l’esponente avesse allegato l’esatto contrario, ossia che il calo produttivo rimase inalterato nonostante la riformulazione del mangime, e la circostanza fosse stata solo allegata, ma non provata dal Covatoio.

c) Il terzo motivo riporta “nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) per omessa e/o apparente motivazione della sentenza e in relazione all’art. 132 c.p.c., in ragione dell’omessa valutazione di prove acquisite al processo” circa l’affermazione del giudice d’appello secondo cui “le risultanze istruttorie consentono, infatti, di escludere che gli animali fossero portatori di alcuna patologia, per cui le anomalie verificatesi non possono che ricondursi all’alimentazione”; nonchè “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” circa la stessa affermazione.

d) Il quarto motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 115 c.p.c.”, nonchè “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c.”, nella misura in cui la Corte d’appello, “dall’assunto secondo cui, essendo stata provata la non corrispondenza ai parametri di legge” delle due forniture oggetto di controllo (forniture nn. (OMISSIS) e (OMISSIS)), ha ricavato senza alcun riscontro probatorio che anche le altre forniture presentassero le medesime carenze, non potendo il calo della produzione, in assenza di ipotesi alternative, che essere ricondotto alla cattiva qualità del mangime, ragionamento “che non ha alcun pregio logico.. nè soprattutto alcun riscontro tecnico-scientifico”.

e) Il quinto motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al principio di diritto del parametro del “più probabile che non’ utilizzato dalla Corte d’appello per affermare che a presentare proteine e grassi in misura inferiore alle norme di settore fosse non solo il mangime venduto e consegnato il 18 dicembre 2000 e il 2 gennaio 2001, ma tutto quello venduto nei due mesi antecedenti il gennaio 2001. Il parametro troverebbe infatti applicazione solo “a livello di nesso di causalità”, ma non “per provare il fatto dannoso”.

f) Il sesto motivo riporta “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3)” in relazione all’art. 115 c.p.c. e in relazione all’art. 132 c.p.c., nella misura in cui “il riconoscimento da parte della Corte d’appello di Cagliari del diritto al risarcimento del danno subito dal Covatoio, quanto meno limitatamente al calo produttivo” avrebbe dovuto poggiare non su documenti aventi una mera finalità fiscale (i bilanci societari), ma su elementi probatori acquisiti al processo comprovanti l’entità del calo e solo su quelli disporre un’eventuale consulenza tecnica d’ufficio.

I sei motivi, che denunciano omessa e/o apparente motivazione, ovvero violazione o falsa applicazione dell’art. 115 e del “principio di diritto del più probabile che non”, sono inammissibili. Essi attaccano infatti tutti la valutazione degli elementi di prova iraccolti in questo processo e in quello penale, operata dalla Corte d’appello, valutazione che è argomentata in modo sufficiente (va ricordato che il sindacato sulla motivazione, a seguito della novella che ha modificato dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è ridotto al minimo costituzionale, con la conseguenza che risulta “denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali”, Cass., sez. un. 8038/2018) ed è pertanto insindacabile da questa Corte.

In particolare, questo vale per il primo motivo, in cui la società ricorrente sostiene che la Corte d’appello, nel ritenere provato che il mangime analizzato non era conforme alla qualità richiesta, abbia recepito “passivamente le risultanze del processo penale”, senza in alcun modo valutare la deposizione del teste R., escusso nel primo grado del giudizio penale, e gli esiti degli esami di laboratorio ripetuti dall’Università di Piacenza; per il secondo motivo, ove non si considera che il giudice d’appello ha valorizzato al riguardo, indipendentemente dalla allegazione del Consorzio, le dichiarazioni rese dalla veterinaria dell’ASL (p. 6 della sentenza impugnata); per il terzo motivo nel quale la società ricorrente sostiene che la Corte d’appello, dando rilievo solo ed esclusivamente a quanto riferito dal veterinario dell’ASL all’epoca dei fatti, non abbia debitamente considerato le risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio penale e segnatamente quanto riportato dal Dott. S., dal Dott. Ma. e quanto contenuto nel registro dei medicinali dello stesso Covatoio, da cui la Corte avrebbe dovuto ricavare l’esistenza di patologie a carico delle galline; per il quarto motivo in cui si contesta il ragionamento presuntivo operato dalla Corte; per il sesto motivo in cui si contesta la valorizzazione di un mezzo di prova (i bilanci).

Nel quinto motivo, infine, si denuncia l’applicazione del criterio del ‘più probabile che non’ (che la ricorrente eleva a principio di diritto), criterio che potrebbe trovare applicazione solo in relazione alla prova del nesso causale: il ricorrente non considera che il criterio, se ha trovato significative applicazioni nel settore della responsabilità civile e della prova del nesso di causalità, è criterio generalmente valido per individuare la soglia del necessario convincimento del giudice nel processo civile, in contrapposizione al criterio dell’oltre ragionevole dubbiò del processo penale.

Il ricorso principale va quindi dichiarato inammissibile.

2. Il ricorso incidentale del Covatoio è articolato in due motivi:

a) Il primo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione di norme e principi sull’onere della prova ex art. 2697 e dell’art. 1494 c.c. (vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3)”: la Corte d’appello non avrebbe “pienamente applicato i principi che regolano il regime dell’onere probatorio”. In applicazione della pronuncia delle sezioni unite n. 13533/2001, era sufficiente per il Covatoio, convenuto per l’adempimento del pagamento delle forniture di mangime, allegare l’inesattezza dell’adempimento del Consorzio, che doveva dimostrare di aver usato la diligenza normalmente dovuta in riferimento alla natura della sua attività, con la conseguenza che, non essendo tale dimostrazione stata data, il giudice d’appello doveva dichiarare che nulla era dovuto dal Covatoio.

Il motivo è inammissibile. Il ragionamento del ricorrente presuppone infatti che il giudice d’appello, a fronte del mancato raggiungimento del proprio convincimento, abbia deciso la causa applicando la regola di giudizio dell’onere della prova. Nel caso in esame, invece, non è stato applicato il principio dell’onere della prova, essendosi accertata in fatto la difettosità parziale del prodotto, per essere la produzione tornata normale nel marzo 2001. Circa poi il richiamo operato dal ricorrente alla pronuncia delle sezioni unite n. 13533/2001, va rilevato che le sezioni unite, con la sentenza n. 11748/2019, hanno precisato che “in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c., è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi”.

b) Il secondo motivo denuncia “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”. Il ricorrente, dopo avere precisato che è stato il Covatoio e non il Consorzio ad allegare la ripresa della produzione a marzo 2001 (sul punto v. anche la precisazione del Consorzio, supra 1, b), contesta che il giudice d’appello abbia omesso di ricollegare a tale data anche la cessazione delle irregolarità delle forniture.

Il motivo è inammissibile. Con accertamento in fatto insindacabile di fronte a questa Corte di legittimità, il giudice d’appello ha stabilito (pp. 6 e 8 della sentenza impugnata) che “furono necessari circa due mesi, febbraio/marzo, perchè la produzione riprendesse dopo la modifica della composizione dei mangimi”, così che da gennaio le forniture dovevano ritenersi tornate regolari.

Il ricorso incidentale va pertanto dichiarato inammissibile.

II. La sentenza definitiva è impugnata con ricorso del Covatoio, articolato in cinque motivi.

a) Il primo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”: il consulente tecnico d’ufficio è pervenuto a quantificare il danno derivante dal calo della produzione fra Euro 57.062 ed Euro 60.673, ma secondo la Corte d’appello la quantificazione si baserebbe su dati forniti dal Covatoio privi di qualunque elemento obiettivo di riscontro, così trascurando che il documento utilizzato dal consulente tecnico d’ufficio (la lettera del ricorrente datata 14 marzo 2001, con indicazione dell’entità del calo produttivo dettagliata nei singoli mesi e divisa per i diversi capannoni) avrebbe “pieno valore di prova, non essendo stato tempestivamente contestato dalla controparte”.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello ha accertato nella sentenza non definitiva il verificarsi di un calo produttivo, il tema – nel prosieguo del giudizio definito dalla sentenza impugnata è quello della quantificazione di tale calo e delle prove del medesimo, così che il principio di non contestazione (che ha ad oggetto i fatti e non la loro prova) non entra in gioco; senza contare che il motivo è generico laddove non riporta che ridotti passaggi delle difese di controparte, così da non consentire il vaglio di questa Corte al riguardo dell’asserita non contestazione.

b) Il secondo motivo denuncia “violazione dell’art. 2697 c.c., dei principi che regolano il regime dell’onere probatorio e dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”: la Corte d’appello avrebbe anche errato nel ritenere che “sulla scorta delle risultanze peritali” nessuna prova sia stata raggiunta relativamente ai danni da calo della produzione, errore che sarebbe stato dovuto al fatto che la sentenza impugnata ha dedicato attenzione solo ai commenti contenuti nelle note integrative ai bilanci, trascurando i bilanci stessi.

Il motivo non può essere accolto, attenendo – come riconosce lo stesso ricorrente a p. 15 del ricorso – al “governo del regime delle prove”, ossia al potere discrezionale del giudice di merito di valutare gli elementi di prova, senza che entri in gioco la regola dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., ma il raggiungimento del convincimento del giudice.

c) Il terzo e il quarto motivo sono tra loro strettamente connessi:

– il terzo riporta “nullità della sentenza e del procedimento, violazione del principio ne bis in idem” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4; la Corte d’appello ha emesso una sentenza non definitiva con la quale ha separato il giudizio sull’an da quello sul quantum debeatur, accertando che vi era stato un danno derivato dal calo di produzione, disponendo gli accertamenti tecnici per determinarne la misura, ma con la sentenza definitiva la stessa Corte ha pronunciato negando in radice il risarcimento, così pronunciando in contrasto con la sentenza non definitiva;

– il quarto motivo lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. e di norme e principi sull’onere della prova ex art. 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”; la Corte d’appello, una volta ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, avrebbe almeno dovuto liquidare il danno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c..

I due motivi sono fondati. Nella sentenza non definitiva il giudice d’appello ha accertato che c’era stato un “notevole calo produttivo” “nei mesi da gennaio a marzo 2001” (p. 6 del provvedimento, v. anche p. 7 ove si fa riferimento al “calo nella produzione delle uova”); per determinare “la misura di tali danni” relativamente al calo della produzione, circa il quale erano state fornite prove, ha ritenuto necessario che fossero disposti accertamenti tecnici e per questo ha disposto la prosecuzione del processo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in sede di sentenza definitiva, “il giudice resta vincolato dalla sentenza non definitiva (anche se non passata in giudicato), sia in ordine alle questioni definite, sia per quelle che ne costituiscano il presupposto logico necessario, senza poter più risolvere le stesse questioni in senso diverso e, ove lo faccia, il giudice di legittimità può rilevare d’ufficio tale violazione” (Cass. 6689/2012). Pertanto, nella prosecuzione del processo, che atteneva (p. 7 della sentenza definitiva) “alla liquidazione del danno conseguente al calo della produzione” il giudice d’appello, se certamente non era vincolato dalla quantificazione operata dal consulente tecnico d’ufficio, non poteva però fermarsi alla constatazione che non vi erano prove – affermazione in contrasto con quella resa in sede di sentenza non definitiva dell’esistenza di prove del danno causato dal calo della produzione – visto che i dati forniti dal Covatoio erano privi di elementi obiettivi di riscontro. A fronte della difficoltà di prova (considerato anche il comportamento del Consorzio che si era opposto all’acquisizione di ulteriore documentazione da parte del consulente tecnico d’ufficio, v. p. 7 della sentenza definitiva), doveva esercitare il proprio potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva o integrativa (sui presupposti per l’esercizio di questo potere del giudice v., da ultimo, Cass. 4310/2018).

d) L’accoglimento del terzo e del quarto motivo comporta l’assorbimento del quinto, che denuncia “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, per non avere la Corte di appello adeguatamente motivato la propria decisione di discostarsi dalle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, trascurando di considerare sia i documenti prodotti dalla società ricorrente, sia quelli reperiti dal consulente presso le Camere di commercio di Piacenza e Treviso.

III. Segue all’accoglimento del quarto e del terzo motivo di ricorso la cassazione della sentenza definitiva nei limiti dei motivi accolti; la causa va pertanto rinviata alla Corte d’appello di Cagliari, che provvederà alla determinazione della misura dei danni subiti dal Covatoio con riferimento al calo della produzione alla luce del principio di diritto sopra ricordato; il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale avverso la sentenza non definitiva n. 601/2016, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale avverso la sentenza non definitiva n. 601/2016; accoglie il terzo e quarto motivo, rigettati il primo e il secondo ed assorbito il quinto motivo del ricorso avverso la sentenza definitiva n. 134/2018, cassa la sentenza definitiva nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, a diversa sezione della Corte d’appello di Cagliari.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale avverso la sentenza non definitiva n. 601/2016, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della Sezione Seconda Civile, il 13 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

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