Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21256 del 20/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 21256 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA
sul

ricorso 11358-2010 proposto da:

GIUNTA

ROSSANA

GNTRSN64149F2068,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– . ricorrente contro

2015
3302

POSTE ITALIANE S.P.A. C.E. 97103880585;
– intimata –

Nonché da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.E. 97103880585, in persona del

Data pubblicazione: 20/10/2015

I

legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

GIUNTA

ROSSANA

GNTRSN64149F206B,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 5994/2009 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 25/11/2009 r.g.n. 6883/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/07/2015 dal Consigliere Dott. NICOLA DE
MARINIS;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione ricorso
principale, rigetto del ricorso incidentale.

contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 25 novembre 2009, la Corte d’Appello di Roma in parziale riforma della
decisione resa dal Tribunale di Roma, nell’accogliere la domanda proposta da Rossana
Giunta nei confronti di Poste Italiane S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria della nullità
dell’apposizione del termine al contratto stipulato tra le parti per il periodo dal 6.10.2000 al
31.1.2001 in relazione a “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e

di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione
del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane” ai sensi della
previsione di cui all’art. 8 del CCNL 26.11.1994 come integrato dall’accordo aziendale del
25.9.1997, limitava il risarcimento del danno al pagamento delle somme maturate dal 14.3
al 31.5.2002
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata la proposta
eccezione circa l’intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso in relazione alla
ricorrenza nella specie degli elementi da ritenersi in tal senso significativi alla stregua dei
consolidati orientamenti giurisprudenziali sul punto, illegittima l’apposizione del termine
essendo stato superato il termine massimo di vigenza dell’autorizzazione sindacale previsto
dall’accordo del 16.1.1998 e, viceversa, erronea la quantificazione del danno dovendo
questo essere limitato al triennio e ridotto in relazione all’aliunde perceptum e comunque
all’aliunde percipiendum.
Per la cassazione di tale decisione ricorre Rossana Giunta, affidando l’impugnazione a
tredici, poi illustrati con memoria, motivi cui resiste, con controricorso Poste Italiane
S.p.A., la quale, a sua volta, propone ricorso incidentale articolato su due motivi, cui
resiste, con controricorso la Giunta.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’impugnazione proposta dalla ricorrente principale, pur articolata su ben tredici motivi, è
essenzialmente volta a censurare le statuizioni della Corte territoriale in ordine alle
conseguenze risarcitorie della dichiarata illegittimità dell’apposizione del termine al
contratto in questione stipulato ai sensi dell’art. 8, CCNL per il personale dipendente da
Poste Italiane S.p.A. del 1994 come integrato dall’accordo del 25.9.1997, laddove, con il
proposto ricorso incidentale, di cui viene disposta la riunione al primo, la Società ricorrente
si volge ad impugnare proprio quella statuizione, articolando a riguardo due motivi di
censura, incentrati, il primo, sul vizio di motivazione in ordine al rigetto dell’eccezione
relativa all’intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso ed il secondo

rimodulazione degli assetti occupazionali in corso ed in ragione della graduale introduzione

-

sull’erronea interpretazione della disciplina di legge (artt. 1 e 2 1. n. 230/1962 e 23, 1. n.
56/1987) e dell’invocata clausola del contratto collettivo e dei successivi accordi integrativi
anche con riferimento alla ritenuta fissazione di un termine finale di efficacia.
Prendendo le mosse dal ricorso incidentale della Società, in ragione della priorità logica
dell’impugnazione proposta, si deve rilevare l’infondatezza di tutti i formulati motivi alla
luce degli arresti giurisprudenziali consolidatisi in relazione ad entrambe le questioni
oggetto di censura.

Quanto al profilo della nullità della causale, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è
stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56
del 1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti
dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame
congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i
lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della
predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli
impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare
ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente
limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a •
tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass.
7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in
bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo
questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla
legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062,
Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto
dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre
Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui
ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale
del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il
successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto
di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione

2

giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli
assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue
che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998,
per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della
trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge
18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n.
28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Quanto al profilo della rilevabilità dell’intervenuta risoluzione per mutuo consenso, questa
Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa
configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata
— sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a
termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 289-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319,
Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la
scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-1 1-20 10 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale
risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e
certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 212-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n.
23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321 c.c., va ribadito
anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato
in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto,
idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla
risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo
e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo,
infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il “piano
oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione sociale “tipica” (v. Cass. 6-7-2007 n.
15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209), prescinde del tutto dal presupposto che la

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risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale,
t

anche se tacita.

,

Orbene nella fattispecie la Corte di merito, dopo aver ritenuto irrilevante di per sé il tempo
trascorso, ha congruamente motivato in relazione all’inconfigurabilità nella specie di
un’inerzia espressiva di una volontà dismissiva del rapporto derivandone l’inconsistenza
della tesi della risoluzione per mutuo consenso tacito.

osservarsi la manifesta fondatezza della doglianza relativa al vizio di motivazione della
sentenza impugnata (terzo motivo), risultando in effetti del tutto apodittica l’affermazione
secondo cui solo limitatamente al triennio dalla data di cessazione del contratto dovrebbero
essere considerate etiologicamente derivanti dall’illegittimo comportamento della parte
datoriale le conseguenze risarcitorie.
Inoltre, con riferimento al dodicesimo motivo, che investe la questione della
determinazione del danno risarcibile, deve essere ritenuta l’applicabilità alla fattispecie
dello ius superveniens (1. n. 183/2010, art. 32) alla luce della sentenza della Corte
costituzionale n. 303/2011, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità
costituzionale del citato art. 32 1. n. 183/2010, sollevate con riferimento agli arti. 3, 4, 11,
24, 101, 102, 11 e 117, commal, Cost., rilevando in particolare l’applicabilità della novella
“a tutti i giudizi in corso, tanto nel merito, quanto in sede di legittimità”.
Al che consegue l’assorbimento di tutti gli altri motivi proposti dalla ricorrente principale.
In conclusione, deve rigettarsi il ricorso incidentale della Società ed accogliersi in relazione
al terzo e dodicesimo motivo, assorbiti gli altri, il ricorso principale, cassando la sentenza
impugnata con rinvio al Giudice designato in dispositivo che dovrà pronunziare in ordine
alle conseguenze risarcitorie dell’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto de
quo in conformità allo ius superveniens, disponendo altresì per le spese del presente
giudizio di legittimità
PER QUESTI MOTIVI
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale della Società, accoglie nei limiti di
cui in motivazione il ricorso della lavoratrice, cassa la sentenza impugnata in relazione al
ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa
composizione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 luglio 2015
r

Di contro, con riferimento al ricorso principale proposto dalla lavoratrice deve anzitutto

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