Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21256 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. II, 05/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 05/10/2020), n.21256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20294/2019 proposto da:

A.C., rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZINA

SALVATORE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 30/05/2019,

n. cron. 4709/2019, relativo al procedimento R.G.n. 11209/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/07/2020 dal Presidente e Relatore Dott. FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A.C., cittadino (OMISSIS), proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Napoli avverso la decisione della Commissione territoriale di Caserta, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di essersi dovuto allontanare dalla Nigeria, per non dover prendere il posto del padre, deceduto, quale componente della setta degli (OMISSIS).

Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo non coerenti nè credibili le dichiarazioni del richiedente, insussistente una situazione di violenza indiscriminata nella zona di sua provenienza e non verificata alcuna condizione di vulnerabilità ai fini della protezione umanitaria.

La cassazione di detto decreto è chiesta dal richiedente sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo denuncia, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. d), art. 3, comma 3, lett. a) e art. 7, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) e art. 8, perchè il Tribunale non avrebbe approfondito la posizione del richiedente, valorizzando, alla luce di informazioni precise ed aggiornate, la complessiva situazione del Paese di provenienza. Ciò avrebbe senz’altro determinato – si sostiene – il riconoscimento della protezione invocata, anche in considerazione del fatto che le dichiarazioni, seppure non provate, non erano tali da giustificare il giudizio d’inattendibilità superficialmente espresso dal Tribunale.

1.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

In tema di riconoscimento della protezione internazionale, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio e per di più variato nel tempo, non è nulla la sentenza di merito che – come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E., 26 luglio 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza che il giudice abbia proceduto a nuova audizione del richiedente per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione (v. n. 33858/19 e 16925/18).

Di riflesso e nella specie, il Tribunale non era tenuto a riscontrare, tramite l’acquisizione delle COI (acronimo di Country of Origin Information), l’esistenza della dedotta persecuzione, avendo esso escluso, con motivazione non suscettiva di sindacato in questa sede di legittimità, che il richiedente fosse credibile.

Del tutto generica ed apodittica, poi, è l’asserito superficialità dell’accertamento di merito compiuto al riguardo, certamente non indiziato dalla (del tutto legittima) comunanza, rispetto ad altri provvedimenti emessi dal medesimo Tribunale, di parti invariabili delle premesse in diritto o degli accertamenti relativi al Paese o alla regione di provenienza dal richiedente. Nè tanto meno la motivazione in fatto del provvedimento impugnato è censurabile in sede di legittimità, essendo il relativo sindacato limitato al “minimo costituzionale”, secondo i casi esemplificati dalla nota pronuncia n. 8053/14 delle S.U. di questa Corte Suprema.

2. – Col secondo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 14, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè la Nigeria, in generale, e l’Edo State (regione di provenienza del richiedente), in particolare, sono luoghi gravemente insicuri, vuoi a causa dell’attività del gruppo terroristico di (OMISSIS), vuoi per le attività criminali comuni, non segnalate dal rapporto della Farnesina del 13 agosto 2018.

2.1. – Il motivo è infondato.

Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (nn. 18306/19, 9090/19 e 13858/18).

Non basta, pertanto, la generica pericolosità del Paese o della regione di provenienza nè la possibilità che la relativa situazione possa degenerare, dando vita ad una violenza indiscriminata di grado severo nel senso appena detto.

Nello specifico, il Tribunale ha escluso una siffatta situazione sulla base di informazioni qualificate e aggiornate al 13.3.2019, che indicano l’Edo State come non coinvolto dagli attacchi terroristici segnalati in altre zone del Paese. Accertamento di fatto, quest’ultimo, che in quanto tale si sottrae al controllo di questa Corte (v. nn. 32064/18 e 30105/18).

3. – Il terzo motivo espone, in rapporto dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (testo previgente), nonchè la nullità del decreto impugnato, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa motivazione del diniego di protezione umanitaria, di cui ricorrerebbero le condizioni in virtù del concreto inserimento del richiedente nella realtà del Paese d’accoglienza.

3.1. – Il motivo è infondato.

La natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (n. 21123/19).

Va da sè, nella specie, che in difetto di un’autonoma allegazione di fatti diversi da quelli posti a base della domanda di protezione sussidiaria, il Tribunale non dovesse valutare sub specie di protezione umanitaria quegli stessi fatti che aveva appena giudicato non plausibili nella loro allegazione, così restando correttamente assorbito ogni loro esame ulteriore.

Quanto alla mancata considerazione congiunta del percorso d’integrazione del richiedente e del raffronto tra la situazione generale del Paese di provenienza, deve osservarsi che tale comparazione presuppone pur sempre la vulnerabilità del richiedente. Questa ricorre in presenza di alcuna delle condizioni di cui al T.U. n. 286 del 1998, art. 19, ovvero nell’ipotesi della c.d. vulnerabilità di ritorno, quale risultato, cioè, di un raggiunto livello di integrazione nel Paese di accoglienza che, rapportato a quello che il richiedente ritroverebbe nel Paese d’origine, faccia prevedere a carico del richiedente la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (cfr. n. 4455/18). Solo in presenza di elementi di un’effettiva integrazione tale giudizio comparativo ha ragion d’essere.

Nello specifico, il Tribunale non ha omesso la motivazione di diniego, ma ha ritenuto l’irrilevanza, ai fini della concessione della protezione umanitaria, “di quegli elementi fondanti un’assunta integrazione sociale, rappresentati dalla frequentazione di corsi di lingua italiana o di tirocinio formativo”. E poichè tali soli fatti non valgono a dimostrare un già avvenuto inserimento socio-lavorativo, ma solo l’inizio del relativo percorso, deve escludersi che il Tribunale dovesse procedere al successivo giudizio di comparazione.

4. – In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

5. – Nulla per le spese, in quanto il controricorso del Ministero dell’Interno è puramente apparente nelle sue controdeduzioni, sicchè tale atto difensivo non rispetta il minimo esigibile a stregua della previsione dell’art. 370 c.p.c..

6. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

 

 

 

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