Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21253 del 05/10/2020
Cassazione civile sez. II, 05/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 05/10/2020), n.21253
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19469/2019 proposto da:
E.F.E., rappresentato e difeso dall’avvocato
GIUSEPPE NAPOLITANO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 15/05/2019,
n. cronol. 4216/2019 relativo al procedimento R.G.n. 15609/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
23/07/2020 dal Presidente e Relatore Dott. FELICE MANNA.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
E.F.E., cittadino (OMISSIS), proponeva innanzi al Tribunale di Napoli ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale di Caserta, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A base della domanda deduceva di essersi dovuto allontanare dal suo villaggio, vicino a (OMISSIS), per il timore di subire gli effetti letali di riti vodoo, avendo egli rifiutato di prendere il posto del padre, deceduto, come capo villaggio.
Il Tribunale rigettava la domanda con decreto 15.5.2019. Limitatamente a quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, il Tribunale riteneva che il narrato del richiedente fosse fortemente stereotipato e non attendibile; e che, per di più, il timore del richiedente derivasse non da minacce espresse quanto da sue supposizioni. Osservava, inoltre, che le informazioni dell’EASO (Ufficio Europeo di sostegno per l’asilo) aggiornate all’agosto del 2017 riferivano che la successione negli incarichi di guida religiosa o di capo villaggio era ambita e che non risultavano violenze nel caso di rifiuto di accettarli; e che le autorità di polizia nigeriane non avevano alcun atteggiamento tollerante nei confronti di pratiche connesse alle fedi indigene.
Per la cassazione di tale provvedimento il richiedente propone ricorso, affidato a tre motivi.
Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1. c.p.c..
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Col primo motivo è eccepita l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., art. 6 CEDU e paragrafo art. 46 direttiva UE 32/2013, nella parte in cui detta norma stabilisce che il decreto del Tribunale non è reclamabile, impedendone così un successivo controllo di merito.
1.1. – La questione è manifestamente infondata.
Questa Corte ha già avuto modo di osservare e di ribadire che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (nn. 27700/18 e 28119/18).
2. – Il secondo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5, 6 e 14, nonchè la carenza o mera apparenza della motivazione del provvedimento impugnato. Parte ricorrente contesta il giudizio di non credibilità espresso dal giudice di merito, a stregua dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e ne trae che le minacce di morte subite dal richiedente, avendo rilievo anche se provenienti da soggetti privati, oneravano il giudice di merito di accertare se le autorità nigeriane sono in grado di offrire adeguata tutela.
2.1. – Il motivo è infondato.
Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (n. 21142/19).
L’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio e per di più variato nel tempo, non è nulla la sentenza di merito che – come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E., 26 luglio 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza che il giudice abbia proceduto a nuova audizione del richiedente per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione (v. nn. 33858/19 e 16925/18).
Nè per inficiare il giudizio di fatto operato dal giudice di merito è sufficiente affermare che esso è soggetto ai criteri legali indicati da detta norma, se – come nella specie – il ricorrente non specifica in qual modo tale valutazione se ne sarebbe discostata. Infatti, secondo il costante indirizzo di questa Corte violazione o falsa applicazione di legge non derivano dall’erronea ricostruzione dei fatti, e che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (giurisprudenza costante di questa Corte: v. per tutte, n. 635/15);
3. – In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.
5. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.
6. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020