Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21252 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. II, 05/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 05/10/2020), n.21252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21132/2019 proposto da:

M.A.K., rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO MEGNA,

e VINCENZO ZAHORA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, la

COMMISSIONE TERRITORIALE per il RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE di CASERTA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, nonchè il PUBBLICO MINISTERO presso la PROCURA di NAPOLI;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 14/06/2019,

relativo al procedimento R.G.n. 6504/2018 n. cronol. 5157/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/07/2020 dal Presidente e Relatore Dott. FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

M.A.K., cittadino del (OMISSIS), ricorreva innanzi al Tribunale di Napoli avverso il diniego da parte della Commissione territoriale di Caserta della protezione internazionale o quella umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di essersi dovuto allontanare dal suo Paese d’origine, in quanto il suo esercizio commerciale era stato distrutto da un incendio provocato dagli avversari politici di un suo zio, alla cui campagna elettorale egli aveva prestato sostegno economico.

Il Tribunale rigettava la domanda con Decreto del 14.6.2019. Riteneva, in particolare, contraddittoria e non credibile la motivazione politica attribuita all’espatrio, cui invece doveva ascriversi una giustificazione puramente economica, e insussistenti le ragioni di vulnerabilità quanto alla protezione umanitaria (applicabile ratione temporis alla fattispecie).

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

l. – Preliminarmente va rilevata la nullità della notificazione del ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno, siccome effettuata all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, invece che a quella generale (sulla relativa qualificazione in termini di nullità la giurisprudenza di questa Corte Suprema è costante: cfr. da ultimo e per tutte, Cass. n. 20890/18).

Tuttavia, non occorre disporre il rinnovo di tale notificazione, atteso che la manifesta infondatezza dei motivi decreta l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, così come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17; e che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (n. 15106/13 e successive conformi; v. anche S.U. n. 6826/10).

2. – Col primo motivo parte ricorrente espone la “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, commi 1 e 2 (art. 360 c.p.c., n. 3)”. Parte ricorrente deduce che il Tribunale, pur riconoscendo le forti tensioni politiche che affliggono il Bangladesh, ha erroneamente ritenuto che tale situazione generale non dovesse essere considerata, ai fini della protezione sussidiaria, per difetto di credibilità della narrazione dei fatti operata dal richiedente. Il Collegio, si sostiene, avrebbe però omesso di considerare che l’imprecisione e la mancanza di dettagli specifici poteva trovare giustificazione nello stato psicologico e nei dedotti problemi di memoria del richiedente. Richiama, quindi, giurisprudenza di merito sul T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e sul testo dell’art. 19, commi 1 e 2, stesso T.U., per poi concludere che la “errata valutazione da parte del Giudice di prime cure in merito alla situazione politico sociale del Bangladesh ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria abbia avuto un impatto pregiudizievole sulla decisione finale”.

3. – Il secondo motivo allega la “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, commi 1 e 2 (art. 360 c.p.c., n. 3) – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5”. Sostiene parte ricorrente che, ai fini della richiesta protezione umanitaria, il Tribunale ha omesso di considerare che la famiglia del richiedente versa in una condizione di estrema povertà, viepiù aggravata dalla distruzione del suo esercizio commerciale ad opera di attivisti dell'(OMISSIS); che la povertà nel Paese d’origine e l’integrazione sociale e lavorativa nel contesto di accoglienza richiede di riconoscere la protezione umanitaria, anche in base all’indirizzo di Cass. n. 4455/18; e che, pertanto, avrebbe dovuto darsi rilievo all’ottimo percorso d’inserimento del richiedente nel tessuto sociale e lavorativo italiano.

4. – I due motivi – da esaminare congiuntamente per la consecuzione logico-giuridica che parte ricorrente vi istituisce – sono manifestamente infondati.

4.1. – Sebbene il collegamento tra condizioni della protezione sussidiaria e condizioni della protezione umanitaria – che sostanzia il primo mezzo – tragga spunto da un passaggio non perfettamente lineare del decreto impugnato (che sembra saldare tra loro la violenza indiscriminata rilevante ai fini dell’una e la vulnerabilità quale condizione dell’altra), le due questioni non hanno una base comune.

Infatti, il nuovo sistema di protezione internazionale dello straniero, instaurato dalle Direttive CE 2004/83 e 2005/85, così come recepite nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251 e 28 gennaio 2008, n. 25, ha introdotto una nuova misura tipica, la protezione sussidiaria, che può essere riconosciuta anche quando sussista il rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti (art. 3 CEDU). Ne consegue che il positivo riscontro di tali condizioni non costituisce più una condizione idonea soltanto al rilascio del permesso di natura umanitaria, già previsto nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, ma dà diritto ad un titolo di soggiorno stabile, triennale ed alla fruizione di un ampio quadro di diritti e facoltà (accesso al lavoro, allo studio, alle prestazioni sanitarie). Tuttavia, tale coincidenza di requisiti, pur essendo riconosciuta espressamente dalla previsione della convertibilità, al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa, dei permessi umanitari preesistenti in protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, non esclude, nell’attuale sistema delle misure di protezione internazionale, la tutela residuale costituita dal rilascio di permessi sostenuti da ragioni umanitarie o diverse da quelle proprie della protezione sussidiaria o correlate a condizioni temporali limitate e circoscritte, come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ai sensi del quale le Commissioni territoriali, quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (evidentemente inidonei ad integrare le condizioni necessarie per la protezione sussidiaria) devono trasmettere gli atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno (così l’ordinanza n. 4139/11; conforme, n. 6879/11). Per tale sua natura residuale, la protezione umanitaria in tanto può essere concessa in quanto non sia applicabile in favore del richiedente la protezione internazionale (sub specie di rifugio o di sussidiaria); tant’è che – di regola – chi invoca tale forma di tutela ha l’onere di allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (cfr. n. 21123/19). Ne deriva che la situazione generale del Paese d’origine può avere rilievo nei limiti in cui debba essere valutata nell’ambito del giudizio di comparazione che, a sua volta, può essere necessario compiere ai fini dell’umanitaria.

4.2. – Ma – e con ciò si passa ad esaminare il secondo motivo – il giudizio di comparazione, che parte ricorrente lamenta essere mancato nel provvedimento del Tribunale nell’escludere la protezione umanitaria, presuppone pur sempre la vulnerabilità del richiedente. Questa ricorre in presenza di alcuna delle condizioni di cui al T.U. n. 286 del 1998, art. 19, ovvero nell’ipotesi della c.d. vulnerabilità di ritorno, quale risultato, cioè, di un raggiunto livello di integrazione nel Paese di accoglienza che, rapportato a quello che il richiedente ritroverebbe nel Paese d’origine, faccia prevedere a carico del richiedente la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (cfr. n. 4455/18). Solo in presenza di elementi di un’effettiva integrazione tale giudizio comparativo ha ragion d’essere, sicchè correttamente il Tribunale, avendo ritenuto, con giudizio di merito non sindacabile in questa sede, che non emergesse nè radicamento nè vulnerabilità, non l’ha operato.

Nè è esatto che il Tribunale abbia escluso la protezione minore per il difetto di credibilità del racconto del richiedente. Al contrario, la protezione minore è stata esclusa sia per difetto delle condizioni di vulnerabilità, non potendo quest’ultima far riferimento a ragioni di natura economica, sia per la non decisività del solo rapporto di lavoro in essere ai fini del radicamento sociale nello Stato di accoglienza (v. pag. 11 del decreto impugnato).

5. – In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

6. – Nulla per le spese, in difetto di difesa del Ministero dell’Interno.

7. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono le condizioni processuali per il raddoppio, a carico della parte ricorrente, del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

 

 

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