Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21251 del 20/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 20/10/2016, (ud. 13/09/2016, dep. 20/10/2016), n.21251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20258/2013 proposto da:

CURATELA FALLIMENTO S.G., (OMISSIS), in persona del

curatore, Avv. T.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DEL GOVERNO VECCHIO 118, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

FABIO, rappresentata e difesa dall’avvocato CRISTINA BONOMONTE,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI

187, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MAGNANO SAN LIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIROLAMO RIZZUTO giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1115/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 19/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE FABIO per delega non scritta;

udito l’Avvocato MARCELLO MAGNANO DI SAN LIO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Palermo, in totale riforma della decisione di prime cure, con sentenza 19.7.2012 n. 1115, ha accolto l’appello proposto da T.R., rigettando la domanda del Fallimento di S.G. (dichiarato con sentenza del Tribunale di Palermo (OMISSIS)) di condanna al rilascio ed al pagamento dell’indennità di occupazione illegittima dell’immobile, sito in (OMISSIS), oggetto della scrittura privata datata (OMISSIS) con la quale lo S., unitamente al coniuge L.C.M., aveva promesso in vendita il bene, con contestuale immissione del promissario acquirente nel possesso dello stesso.

La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile, in quanto formulata tardivamente soltanto con la memoria autorizzata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5, la eccezione di inopponibilità al Fallimento della predetta scrittura priva di data certa, ex art. 2704 c.c., ed ha ritenuto inammissibile, in quanto nuova, la domanda subordinata del curatore volta ad ottenere la risoluzione del contratto ai sensi della L. Fall., art. 72, essendo stata la stessa formulata per la prima volta con la predetta memoria.

La sentenza di appello, non notificata, è stata tempestivamente impugnata per cassazione dalla Curatela con due motivi per errori di diritto.

Resiste con controricorso T.R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di ricorso il Curatore fallimentare ha impugnato entrambe le statuizioni della sentenza di appello, con le quali sono state ritenute inammissibili la eccezione di inopponibilità ex art. 2704 c.c. e la domanda di accertamento dello scioglimento del contratto preliminare, deducendo il vizio di violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5 (nel testo applicabile ratione temporis introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353), nonchè la violazione dell’art. 2704 c.c. (primo motivo) e della L. Fall., art. 72 (secondo motivo).

Il primo motivo deve ritenersi fondato.

Il contrasto giurisprudenziale in ordine alla qualificazione giuridica della mancanza di data certa della scrittura privata, ai fini della inopponibilità dell’atto al terzo ex art. 2704 c.c., è stato risolto, in pendenza del presente giudizio, dalle Sezioni Unite di questa Corte che, pronunciando in merito al procedimento concorsuale ed alla inopponibilità dell’atto privo di data certa al Curatore fallimentare, dopo aver dato atto dei tre diversi orientamenti in contrasto, formatisi nella giurisprudenza di legittimità, che attribuivano alla data certa della scrittura privata, rispettivamente, la natura di 1- elemento costitutivo del diritto di credito legittimante la ammissione allo stato passivo ed alla partecipazione alla distribuzione dell’attivo, della cui prova era onerato il creditore, 2- fatto impeditivo del predetto diritto di credito, opponibile nel processo dal Curatore soltanto attraverso una espressa manifestazione di volontà (eccezione in senso stretto), ed ancora 3- elemento attinente alla fattispecie costitutiva del diritto di credito dedotto in giudizio e ricompreso nell’oggetto dell’accertamento richiesto al Giudice di merito, la cui mancanza era rilevabile ex officio, non essendo ricollegata dalla legge la relativa contestazione ad un interesse specifico rimesso alla iniziativa processuale di una delle parti (mera difesa), hanno aderito a quest’ultima impostazione rilevando che “….questa Corte ha reiteratamente (e ormai costantemente) enunciato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui l’eccezione in senso stretto, che si sostanzia in un controdiritto contrapposto al fatto costitutivo invocato dall’attore e la cui rilevazione è subordinata alla espressa manifestazione di volontà della parte che vi abbia interesse, ha carattere eccezionale, essendo limitata alle ipotesi in cui la legge riserva la relativa iniziativa esclusivamente all’interessato (C. 09/24680, C. 07/14581, C. 05/15661, C. 01/226, C. 98/6272, C. 98/1099). 11 silenzio normativo sul punto (la L. Fall., art. 95, comma 1, non attribuisce infatti al curatore alcun potere di esclusiva in merito) comporta pertanto che l’eccezione oggetto di esame non può essere annoverata fra quelle catalogate in senso stretto…….La carenza di data certa va dunque considerata come fatto impeditivo oggetto di eccezione in senso lato.” (cfr. Corte cAss. Sez. U, Sentenza n. 4213 del 20/02/2013, in motivazione paragr. 9 e 10; conf. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3404 del 20/02/2015).

Inconferente è il richiamo al precedente di questa Corte 3^ sez. n. 6558/2013 che, secondo la errata lettura fattane dalla difesa del resistente, avrebbe, pronunciato in senso difforme dalle SS.UU., riconoscendo che la mancata tempestiva allegazione da parte del curatore fallimentare della posizione di terzo e della inopponibilità dell’atto privo di data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c., incorrerebbe nelle preclusioni di cui agli artt. 180 e 183 c.p.c., nel testo di tali norme vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 35 del 2005, conv. in L. n. 80 del 2005 e succ. mod. della L. n. 263 del 2005.

Indipendentemente dal dirimente rilievo secondo cui – come affermato dalle SS.UU. n. 4213/2013 – in difetto di una norma di legge processuale – sia essa contenuta nella L. Fall. n. 267 del 1942, ovvero nel codice di procedura civile – che riservi espressamente all’iniziativa della parte interessata la introduzione nel giudizio di un fatto diretto alla produzione degli effetti modificativi, estintivi, o impeditivi del diritto controverso, la cognizione del Giudice sugli elementi della fattispecie costitutiva del diritto, non incontra limiti (art. 112 c.p.c.), osserva il Collegio quanto segue.

Le conclusioni cui giungono le sezioni semplici nella sentenza indicata – che, qualora fosse da accreditare la interpretazione del resistente risulterebbe, peraltro, non aderente al disposto dell’art. 374 c.p.c., comma 3 – trovano invece delucidazione nella oggettiva difformità della questione di diritto esaminata. In quel giudizio, infatti, la Curatela non aveva agito in giudizio in sostituzione dei creditori e in rappresentanza della massa, ma aveva esercitato un’azione che competeva al fallito, rinvenuta quindi nel suo patrimonio, perciò assumendo la medesima posizione sostanziale e processuale del fallito: in sostanza il curatore aveva esercitato le stesse azioni che avrebbe potuto svolgere il soggetto fallito – a tutela dei suoi esclusivi interessi – qualora non fosse intervenuta la sentenza dichiarativa del fallimento, ed in particolare aveva agito in giudizio per ottenere l’adempimento di una obbligazione avente titolo in un contratto stipulato anteriormente alla dichiarazione di fallimento. Da tale premessa coerentemente ne è stata tratta la logica conseguenza per cui il curatore non poteva ritenersi “terzo” rispetto al rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, ed a fronte della eccezione di estinzione del credito opposta dal debitore convenuto sul fondamento della stipula di un precedente atto di transazione privo di data cena, non poteva quindi avvalersi della inopponibilità dell’atto di cui all’art. 2704 c.c.: non avendo il curatore in quel caso tempestivamente proposto, nel termine assegnato ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5, domande nuove “in conseguenza” della eccezione del convenuto, volte a destituire di validità od efficacia l’atto transattivo,

rimaneva soccombente sul punto (cfr. Corte Cass. 3^ sez. 14.3.2013 n. 6558 “…il principio di diritto, più volte affermato da questa Corte, per il quale la posizione del curatore fallimentare è differenziata secondo che egli rappresenti gli interessi della collettività dei creditori ovvero eserciti diritti di spettanza del fallito nei confronti dei terzi: nel primo caso egli è terzo, nell’altro subentra nella medesima posizione del fallito, facendone valere i diritti così come in capo a quello esistevano e si configuravano (principio espresso, in tempi più recenti, tra le altre, da Cass. n. 8914/03, con riguardo all’azione per la riscossione di un credito del fallito, e menzionata nella sentenza impugnata; da Cass. n. 8143/98, n. 11904/98, n. 9685/04, n. 18059/04, con riguardo all’azione per l’adempimento di un contratto stipulato dall’imprenditore prima del fallimento; da Cass. n. 3020/08, con riguardo all’azione proposta dal curatore ai sensi dell’art. 1395 c.c., per l’annullamento del contratto concluso in conflitto di interesse dall’imprenditore successivamente fallito; da Cass. n. 6571/97 e n. 27510/08, con riguardo all’azione di ripetizione di indebito). In particolare, con riferimento al caso di specie, va ribadito che il curatore del fallimento che agisca per ottenere l’adempimento di un’obbligazione facente capo ad un soggetto che abbia stipulato un contralto con l’imprenditore successivamente dichiarato fallito, non agisce in sostituzione dei creditori al fine della ricostruzione del patrimonio originario del fallito, e cioè nella veste di terzo, ma esercita un’azione trovata nel patrimonio del fallito medesimo, a tutela di un interesse a lui direttamente riconducibile, perciò ponendosi nella stessa posizione sostanziale e processuale del fallito, quale sarebbe stata anche se il fallimento non fosse stato dichiarato, al fine di far entrare nel suo patrimonio azioni che gli competevano già prima della dichiarazione di fallimento e che sono indipendenti dal dissesto successivamente verificatosi, con la conseguenza che, in tale ipotesi, la controparte può opporre al curatore le stesse eccezioni che avrebbe potuto opporre al fallito, nonchè le prove documentali da quest’ultimo provenienti, senza i limiti di cui all’art. 2704 c.c. (così Cass. n. 8143/98, ma cfr. anche Cass. n. 18059/04, nonchè Cass. n. 27510/08 e, di recente, Cass. n. 23429/12, relativa quest’ultima ad una fattispecie analoga alla presente, essendo in contestazione l’opponibilità di una transazione priva di data certa). Dal momento che la domanda del Fallimento (OMISSIS) s.p.a. è stata proposta per ottenere l’adempimento del contratto di appalto stipulato dall’imprenditore prima del fallimento (in quanto il curatore aveva dedotto l’inadempimento della controparte contrattuale all’obbligo di pagamento del saldo del prezzo, al fine di ottenerne la condanna), il curatore non ha agito in rappresentanza della massa dei creditori, ma ha rappresentato il fallito, nella cui posizione giuridica si è posto, e dei cui diritti ha inteso avvalersi. Ne deriva che, alla stregua del principio affermato dai precedenti conformi sopra richiamati e qui ribadito, bene ha deciso la Corte territoriale nell’escludere che il curatore fosse terzo, e nel ritenere che fosse a lui opponibile la transazione stipulata dall’imprenditore in bonis, pur se priva di data certa”).

La diversa conseguenza che ne trae – erroneamente – il resistente, secondo cui il curatore era rimasto soccombente, non avendo proposto tempestivamente la eccezione di inopponibilità dell’atto di transazione privo di data certa, non trova riscontro nella motivazione della sentenza richiamata nel controricorso e rimane chiaramente smentita dalla diversa fattispecie sulla quale le Sezioni semplici sono state chiamate a pronunciarsi.

Che poi nel presente giudizio il curatore abbia rivestito la stessa posizione del fallito agendo nel suo esclusivo interesse (controricorso, pag. 12), e dunque non dovrebbe essere considerato “terzo”, ma parte del rapporto obbligatorio intrattenuto con il T., avente titolo nel contratto preliminare, è questione – oltre che nuova: non avendo costituito motivo di discussione nei gradi di merito, a quanto risulta dagli atti regolamentari del Collegio – che avrebbe dovuto costituire motivo di autonomo ricorso per cassazione (atteso che il Giudice di appello, decidendo sulla inammissibilità per tardività della eccezione ex art. 2704 c.c., ha implicitamente ritenuto sussistere il presupposto soggettivo della opponibilità della stessa, e cioè la posizione di “terzo” del curatore): senza considerare che la tesi difensiva dell’assenza di terzietà del curatore, prospettata dalla parte resistente, appare comunque smentita, proprio dalle azioni esercitate in giudizio dal curatore il quale (quando anche si ritenesse avere agito in rivendica ex art. 948 c.c.: tale allegazione del resistente non trova riscontro nella sentenza di appello, e non è supportata dalla trascrizione della domanda introduttiva proposta dal curatore) non ha esperito le azioni, spettanti alla parte promittente-alienante, derivanti dal contratto preliminare, ma ha inteso agire, invece, facendo valere la propria posizione di gestore del patrimonio del fallito nell’interesse della massa dei creditori – dunque in qualità di terzo rispetto al contratto stipulato “inter alios” – sia sul presupposto della inefficacia del preliminare, privo di data certa, nei suoi confronti (che lo legittimava a richiedere la condanna al rilascio dell’immobile ed la pagamento della indennità di occupazione illegittima), sia esercitando il diritto potestativo di cui alla L. Fall., art. 72, alla stregua di scelte discrezionali rimesse all’organo fallimentare che prescindono del tutto dalla tutela dei diritti e delle obbligazioni, di esclusiva pertinenza del soggetto poi dichiarato fallito, scaturenti dal contratto preliminare. Risultando altresì irrilevante, quanto alla azione del curatore fondata sulla inopponibilità ex art. 2704 c.c., del contratto, la circostanza che parte contrente del preliminare fosse anche il coniuge del fallito ( L.C.M.), non venendo in questione in detta ipotesi – diversamente da quanto opinato dal resistente – alcuna situazione di litisconsorzio necessario tra i comproprietari dell’immobile promesso in vendita (cfr., con riferimento alla azione di rivendica: Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6697 del 10/05/2002).

La decisione impugnata contrasta con il principio affermato dalle SS.UU. n. 4213/2013 e deve, pertanto, essere cassata in parte qua.

Venendo a trattare del secondo motivo, non trascura il Collegio che il resistente, in relazione a tutte le domande esercitate dal curatore, ha eccepito il difetto di integrità del contraddittorio nei confronti del coniuge del fallito, L.C.M., asserendo essere la stessa comproprietaria pro indiviso dell’immobile promesso in vendita al T.. Tuttavia, indipendentemente dal rilievo per cui l’azione di rivendica ex art. 948 c.c., mira a riacquistare il possesso del bene alla comunione e non è rivolta a contestare il titolo della comproprietaria dell’immobile, non rendendosi necessario l’intervento di questa in giudizio (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6697 del 10/05/2002), ed in disparte la questione concernente i limiti nei quali la possibilità di una azione di condanna del terzo al rilascio dell’immobile in comunione, “pro quota” o per l’intero (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17094 del 27/07/2006, ma vedi Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7197 del 27/03/2014), osserva il Collegio che la verifica della integrità del contraddittorio è veicolata dall’accertamento e dalla prova del titolo comproprietario del coniuge L.C., nonchè dalla esatta individuazione del petitum delle domande proposte dal curatore, entrambe questioni di merito che non vengono all’esame della Corte ai fini del sindacato di legittimità che ha per oggetto esclusivamente la verifica della conformità alle regole dell’attività del processo della statuizione della Corte d’appello con la quale, in limine litis, ha dichiarato che la eccezione di inopponibilità ex art. 2704 c.c. e la domanda di accertamento dello scioglimento del preliminare L. Fall., ex art. 72, non potevano avere accesso allo scrutinio di merito essendo state formulate entrambe, per la prima volta e dunque tardivamente, con la memoria depositata dal curatore nei termini assegnati ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5.

La domanda di accertamento dello scioglimento del contratto preliminare ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 4 (nel testo ante riforma D.Lgs. n. 5 del 2006; attualmente: art. 72, comma 1 e 3) è stata proposta, peraltro, dal curatore soltanto in via subordinata e deve ritenersi alternativamente condizionata al mancato accoglimento della eccezione ex art. 2704 c.c. e della domanda di rivendica ovvero di condanna al rilascio ed al risarcimento danni, attesa la oggettiva incompatibilità del presupposto di fatto sul quale sono fondate: in un caso la inopponibilità al curatore-terzo dei diritti e delle obbligazioni derivanti dal contratto preliminare, stipulato “inter alios”; nell’altro, il preliminare è dato, invece, come valido ed efficace anche nei confronti della curatela, ma se ne chiede la risoluzione del vincolo obbligatorio essendo stato esercitato il diritto potestativo di scioglimento “ex tunc”, riservato ex lege al curatore. Tale relazione di condizionamento alternativo tra domande priva di attualità la esigenza di integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto che eventualmente risulterà essere contitolare della proprietà sul bene immobile (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 239 del 14/04/1999 secondo cui lo scioglimento L. Fall., ex art. 72, esplica un’efficacia di caducazione della promessa di vendita fin dall’origine, facendola venire meno con effetti retroattivi e definitivi, che restano fermi anche nel caso in cui il fallito ritorni in bonis a seguito di una revoca del fallimento; id. Sez. 1, Sentenza n. 17405 del 24/07/2009), che verrà in questione soltanto nella ipotesi in cui il Giudice di merito dovesse ritenere inammissibile od infondata la domanda proposta in via principale sul presupposto della inopponibilità del preliminare, privo di data certa, al curatore fallimentare.

Tanto premesso il motivo è fondato.

Costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità che “la facoltà del curatore fallimentare di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita stipulato dal fallito e non ancora eseguito, ai sensi della L. Fall., art. 72, comma 4, può essere esercitata fino all’avvenuto trasferimento del bene, ossia fino all’esecuzione del contratto preliminare attraverso la stipula di quello definitivo ovvero fino al passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., resa in difetto di adempimento del preliminare, e dunque anche nel giudizio di appello il limite alla proponibilità delle eccezioni in senso proprio, previsto dall’art. 345 c.p.c., non assume infatti rilevanza rispetto al compimento del predetto atto, il quale costituisce esercizio di un diritto potestativo di carattere sostanziale e manifestazione di una scelta discrezionale spettante al curatore, che opera direttamente sul contratto e può essere effettuata mediante dichiarazione nella comparsa di costituzione o in altro scritto difensivo, come la comparsa conclusionale o atto del procuratore, anche non sottoscritto dal curatore e la cui sussistenza è rilevabile d’ufficio ai fini della decisione” (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10436 del 18/05/2005; id. Sez. 1, Sentenza n. 542 del 13/01/2006; id. Sez 1, Sentenza n. 33 del 07/0112008; id. Sez. 1, Sentenza n. 17405 dei 24/07/2009).

La sentenza impugnata che ha dichiarato inammissibile la domanda di scioglimento L. Fall., ex art. 72, proposta dal curatore con le memorie ex art. 183 c.p.c., comma 5, contrasta con i principi enunciati e deve dunque, essere cassata anche in relazione a tale statuizione.

In conclusione il ricorso trova accoglimento in relazione ad entrambi i motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo affmchè attenendosi ai principi di diritto indicati in motivazione proceda all’esame degli altri motivi di gravame proposti dall’appellante, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo affinchè, attenendosi ai principi di diritto indicati, proceda all’esame degli altri motivi di gravame proposti dall’appellante, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2016v

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