Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21250 del 13/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 13/09/2017, (ud. 26/06/2017, dep.13/09/2017),  n. 21250

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15875-2012 proposto da:

STABILIMENTO TIPOGRAFICO D.R. SNC, elettivamente domiciliato in

ROMA C.SO VITTORIO EMANUELE II 287, presso lo studio dell’avvocato

ANTONIO IORIO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

FALCONE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI COSENZA, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DELLE

MILIZIE 138, presso lo studio dell’avvocato TONINO PRESTA,

rappresentato e difeso dagli avvocati NICOLA CAROLILLO, LUCIO

SCONZA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2011 della COMM.TRIB.REG. di CATANZARO,

depositata il 05/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RITENUTO

che la CTR della Calabria, con la sentenza n. 5/3/11, depositata il 5/5/2011, ha respinto l’appello proposto dalla Stabilimento Tipografico s.n.c. di U.D.R. e C. (di seguito società Stabilimento Tipografico D.R.) avverso la sentenza della CTP di Cosenza, che aveva respinto il ricorso, proposto dalla contribuente, avverso cartelle di pagamento per tassa di smaltimento rifiuti (TARSU), relativamente agli anni dal 2002 al 2006, emesse dal Comune di Cosenza, sostenendo, tra l’altro, di aver provveduto a proprie spese allo smaltimento dei rifiuti prodotti, trattandosi di rifiuti speciali nocivi;

che il giudice di appello ha motivato la decisione nel senso che non è necessaria la preventiva notifica dell’avviso di accertamento, essendo pacifica la presentazione della denuncia D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70 da parte della contribuente, in forza della quale il Comune poteva legittimamente iscrivere a ruolo il tributo non versato, e che dalla scheda di rilevazione prodotta in atti dall’ente impositore risulta che “diverse superfici dello stabilimento tipografico sono utilizzate per attività amministrative ovvero per deposito, aree… sicuramente non suscettibili di produrre rifiuti speciali e, quindi, assoggettabili a TARSU”, valendo la generale presunzione di idoneità a produrre rifiuti dei locali occupati o detenuti, e che infine il Comune aveva applicato alla società, fatta eccezione per l’anno 2006 in cui non era stata richiesta, la riduzione del 30%, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 62, comma 3, rispetto alla superficie su cui l’attività dell’impresa viene svolta;

che la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, mentre l’intimato Comune resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, del D.Lgs. n. 22 del 1997, e della L. n. 128 del 1998, art. 17, comma 3, avendo la CTR ritenuto applicabile la disciplina della assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, a norma del regolamento comunale adottato in materia, per tutta la superficie dei locali aziendali, pur in presenza della riduzione operata dal Comune, e nonostante si trattava di rifiuti tossici pericolosi, evidentemente non assimilabili, smaltiti a spese della contribuente per il tramite di ditta specializzata, senza considerare che nella scheda di rilevazione all’uopo richiamata in sentenza si ricava la superficie complessiva dei locali (mq. 599,23), e non anche la destinazione degli stessi, sicchè ai fini del calcolo della TARSU, l’ente impositore ha erroneamente fatto riferimento alla intera superficie, ritenendo prodotti rifiuti speciali assimilabili a quelli urbani;

che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, avendo la CTR fatto riferimento alla scheda di rilevazione, e ritenuto l’intera superficie ivi riportata idonea a produrre rifiuti speciali assimilabili a quelli urbani, circostanza in contrasto con l’applicazione, ad opera dello stesso Comune, della riduzione del 30%, e con quanto reiteratamente sostenuto dalla società contribuente;

che con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, non avendo la CTR tenuto in alcun conto che la società contribuente produce rifiuti tossici pericolosi non assimilabili ai rifiuti urbani, come si ricava dalla planimetria e dalle fotografie dei locali aziendali prodotte in giudizio, che raffigurano i macchinari impiegati per la stampa;

che con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione della sentenza impugnata, avuto riguardo alla ricostruzione degli elementi di fatto costituenti il presupposto di applicazione della disciplina dei rifiuti speciali pericolosi, essendosi il Giudice di appello limitato a vagliare il contenuto della scheda di rilevazione, che riferisce il termine “deposito” ad un locale di mq. 287,68, e che non indica in alcun modo, quanto agli altri ambienti, la ritenuta destinazione amministrativa;

che i motivi di ricorso, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connessi, vanno disattesi per le ragioni di seguito precisate;

che la società Stabilimento Tipografico D.R. si duole, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, della decisione della CTR la quale, in piena continuità con le valutazioni del giudice di prime cure, ha ritenuto non adempiuto, da parte dello Stabilimento Tipografico D.R., l’onere di provare la sussistenza della dedotta causa di esclusione dal pagamento della TARSU, e segnatamente quale fosse la parte dell’immobile, della dichiarata superficie complessiva di mq. 599,23, in cui vengono prodotti i rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani, che pacificamente non possono essere conferiti nel normale circuito di raccolta dei rifiuti, e che si assumono smaltiti direttamente dalla contribuente, e che quindi non potesse essere ridotta la pretesa fiscale in misura superiore al 30%, come già riconosciuto dal Comune di Cosenza, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, sulla base dei dati a sua disposizione;

che l’ordinaria produzione di rifiuti speciali, tossici o nocivi, non comporta che tali categorie di rifiuti siano, di per sè, esenti dalla TARSU, in quanto ad esse si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal richiamato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, disposizione la quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, nell’ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producano rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari, l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali (Cass. n. 5377/2011);

che va al riguardo ribadito “che incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrano alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004, 13086 del 2006, 17599 del 2009, 775 del 2011) ” (Cass. n. 5377/2012); che, pertanto, solo i luoghi specifici di lavorazione industriale, cioè le zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale, possono essere considerate estranee alla superficie da computare per il calcolo della tassa e, nel caso in esame, il Giudice d’appello ha accertato che la contribuente non ha adempiuto al relativo onere probatorio e, conseguentemente, ha confermato la riduzione della pretesa fiscale, nella misura già operata dal Comune, per la parte di imposta riferita ai rifiuti speciali, fermo restando l’obbligo tributario della società per i rifiuti riferiti a “diverse superfici dello stabilimento… utilizzate per attività amministrative ovvero per deposito”, aree che, in quanto non produttive di rifiuti speciali, sono soggette a tassazione secondo il generale disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62,comma 1;

che la ricorrente oppone alle predette – lineari – valutazioni della CTR, basate sulla denuncia, ancorchè risalente nel tempo, della contribuente, ex art. 70, D.Lgs. n. 507 del 1993, cui non ha fatto seguito la comunicazione di sopravvenute variazioni delle condizioni di tassabilità, nonchè sulla scheda di rilevazione prodotta in atti dall’Ente impositore, quelle proprie, basate invece su una planimetria e su fotografie dei locali aziendali occupati da macchinari tipografici, documenti della cui portata probatoria nulla di più specifico è dato di ricavare dai motivi di ricorso per cui può trovare applicazione il principio per cui il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 24434/2006);

che va inoltre ribadito che “con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n. 9097/2017);

che, in conclusione, il ricorso va rigettato, con ogni conseguenza anche in rodine alle spese dei giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2017

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