Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2125 del 27/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/01/2017, (ud. 23/11/2016, dep.27/01/2017),  n. 2125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18514/2015 proposto da:

GERMED PHARMA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G B TIEPOLO

4, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI SMARGIASSI, rappresentata

e difesa dall’avvocato ANTONINO GIUFFRIDA, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

BIOPHARMA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6,

presso lo studio dell’avvocato ADOLFO DI MAJO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato EMANUELE SQUARCIA, in virtù di

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2171/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Antonino Giuffrida per la ricorrente e l’Avvocato

Emanuele Squarcia per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CarmeloM che ha concluso per l’accoglimento dei primi quattro

motivi di ricorso, ed il rigetto degli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 24.05.2007 la Biopharma s.r.l. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, La Germed Pliva Pharma s.p.a. (già Pliva Pharma s.p.a.), poi divenuta Germed Pharma S.p.A., chiedendo, previo accertamento dell’inadempimento della società convenuta in ordine ai contratti indicati in citazione, di dichiarare la risoluzione dei contratti medesimi e, per l’effetto, di condannare la società convenuta al risarcimento dei danni subiti, oltre gli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002, o in subordine legali, dalla data dei singoli inadempimenti al saldo.

In particolare l’attrice esponeva che:

a) in relazione al contratto avente ad oggetto il dossier ed AIC (Autorizzazione Immissione in Commercio) inerenti l’Amoxicillina + Clavulanico, i danni erano da liquidarsi in Euro 1.480.000,00;

b) in relazione al contratto di produzione inerente, l’Amoxicillina + Clavulanico. i danni erano da liquidarsi nella misura di Euro 1.000.000,00, ovvero nella misura pari al quantitativo di prodotto commesso alla D&G s.r.l. dal mese di settembre 2007, per un biennio, moltiplicato per l’importo di Euro 0,50, o nella diversa somma accertata;

c) in relazione al contratto inerente il Ceftriaxone, i danni erano da liquidarsi nella misura di Euro 584.039,00 o, in parziale subordine. nella somma di Euro 133.013.00, o nella diversa somma accertata;

d) in relazione al contratto inerente il Ceftrazidime, i danni erano da liquidarsi nella misura di Euro 1.289.426,00, o, in parziale subordine, nella somma di Euro 383.634.00. o nella diversa somma accertata:

e) in relazione al contratto inerente l’Amoxicillina, i danni erano da liquidarsi nella misura di Euro 51.736,00, o, in parziale subordine, nella somma di Euro 28.908,00, o nella diversa somma accertata;

e in relazione al contratto inerente le Benzilpenicilline, i danni erano da liquidarsi nella misura di Euro 584.039,00 o nella diversa somma accertata;

g) per la mancata commessa delle produzioni minori, i danni erano da liquidarsi nella misura di Euro 300.000,00 o nella diversa somma accertata;

h) per il danno all’immagine, i danni erano da liquidarsi nella misura di Euro 2.000.000,00 o nella diversa somma accertata.

La Germed Pharma S.p.A. si costituiva in giudizio chiedendo:

in via principale. di rigettare le domande di risoluzione dei contratti in discussione relativi ai prodotti Amoxicillina, Ceftriaxone, Ceftazidima e Benzilpennicillina in quanto infondate, nonchè le domande risarcitorie avanzate dalla parte attrice; in via riconvenzionale, con esclusivo riferimento al contratto avente ad oggetto lo cessione del dossier e dell’AIC inerenti l’Amoxicillina + Clavulanico, di dare atto dell’intervenuta risoluzione di diritto del contratto del (OMISSIS) e, per l’effetto, di condannare la società Biopharma alla restituzione della somma di Euro 40.000.00, versata al momento della sottoscrizione del predetto contratto, oltre gli interessi legali dal 30.1.2006 al saldo; in subordine, di dichiarare la risoluzione del contratto predetto e, per l’effetto, di condannare la società Biopharma alla restituzione della somma di Euro 40.000,00, versata al momento della sottoscrizione del predetto contratto oltre gli interessi legali dal 30.1.2006 al saldo; in via ulteriormente subordinata, con esclusivo riferimento al suddetto contratto, in caso di mancato accoglimento delle domande di risoluzione, di determinare il minor prezzo dovuto nella somma di Euro 150.000,00 oltre I.V.A. e, per l’effetto, dato atto dell’intervenuto pagamento di Euro 40.000,00, di accertare il residuo debito nella limitata somma di Euro 110.000,00, ovvero, di accertare il diverso minor prezzo di cessione e il conseguente residuo debito in capo a Pliva o la condanna della società Biopharma a restituire l’eventuale differenza tra il valore accertato e quanto già versato da essa convenuta.

Nel corso dell’istruttoria acquisita documentazione, espletato l’interrogatorio formale delle parti ed esaminati i testi, l’adito Tribunale decideva la causa con sentenza in data 7.12.2012 che così disponeva: “dichiara la risoluzione del contratto stipulato in data (OMISSIS) tra la Biopharma s.r.l. e la Germed Pharma s.p.a., già Germed Pliva Pharma s.p.a. e già Pliva Pharma s.p.a. per l’inadempimento di quest’ultima società; quale effetto restitutorio del predetto scioglimento, condanna la Biopharma al pagamento alla società convenuta della somma di Euro 40.000,00, oltre gli interessi legali dal 30.1.2006 al saldo; rigetta le residue domande avanzate dalla parte attrice e dalla parte convenuta, ritenendo assorbita la domanda avanzata dalla società convenuta in estremo subordine; compensa tra le parti le spese di lite”.

Con citazione notificata in data 5.02.2013 la Biopharma s.r.l. ha proposto appello chiedendo la riforma della impugnata sentenza con accoglimento delle sue domande proposte in 1^ grado, per vedere accertato l’inadempimento della convenuta a tutti i contratti di produzione conclusi inter partes e condanna della stessa parte al pagamento del prezzo di vendita e del risarcimento del danno; vinte le spese dei due gradi del giudizio.

Si è costituita la Germed Pharma S.p.A. che ha chiesto il rigetto dell’impugnazione (ed in subordine perchè venisse accertato, in caso di accoglimento dell’appello, il minor prezzo dovuto per il contratto di cessione dossier e AIC relativi a Amoxicillina + Clavulanico); con il favore delle spese del grado.

La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 2171 dell’8 aprile 2015, ha accolto l’appello ed in riforma della sentenza gravata, ha dichiarato risolti per inadempimento tutti i contratti stipulati ed indicati in citazione, condannando l’appellata al pagamento della somma di Euro 3.345.881,09, oltre interessi al tasso legale a far data dalla sentenza al saldo, nonchè al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Germed Pharma S.p.A. sulla base di sei motivi.

Biopharma S.p.A. ha resistito con controricorso.

Tutte le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 112 c.p.c., ovvero per la violazione del principio della domanda da intendersi quale qualificazione della domanda con riferimento alla richiesta di adempimento del contratto di cessione di dossier Amoxicillina – Clavulanico.

Si deduce che con il primo motivo di appello la controparte aveva denunziato l’errore commesso dal Tribunale nell’interpretare la propria domanda relativamente a tale contratto, posto che per un mero refuso, la richiesta di risoluzione, anzichè essere limitata ai soli contratti di produzione, aventi ad oggetto gli altri farmaci di cui all’atto introduttivo del giudizio, era stata estesa anche al contratto di cessione dei dossier, in merito al quale l’effettiva richiesta era invece di condannare la Germed all’adempimento, e cioè al pagamento del corrispettivo pattuito.

Ma a fronte di tale motivo, la sentenza gravata, con una evidente distorsione nella lettura del motivo medesimo, lo ha accolto, finendo con il pronunziarsi su di una domanda diametralmente opposta rispetto a quella che la stessa attrice dichiarava di avere proposto. Infatti, la Corte distrettuale pur dichiarando di reputare fondato il motivo di gravame, il che avrebbe dovuto portarla a delibare sulla domanda di adempimento, ha confermato la correttezza della pronuncia di risoluzione, ritenendo che peraltro l’entità del danno subito da parte della contraente adempiente, ben poteva essere commisurata al corrispettivo che sarebbe stato conseguito ove il contratto avesse avuto regolare esecuzione.

Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per ultrapetizione ovvero extrapetizione, con riferimento alla richiesta di adempimento del contratto di cessione dossier Amoxicillina – Clavulanico.

Infatti, nell’accogliere il primo motivo di appello, la Corte romana avrebbe ulteriormente errato in quanto, sebbene Biopharma avesse richiesto l’adempimento del contratto, nel confermare la risoluzione dello stesso, con la condanna della Germed a titolo risarcitorio per una somma pari al prezzo pattuito, ha attribuito un bene della vita diverso da quello richiesto.

Il terzo motivo denunzia la violazione di legge consistita nell’errata interpretazione ed applicazione dell’art. 1453 c.c..

In effetti, una volta ribadita la risoluzione del contratto di cessione dei dossier, ha condannato la ricorrente al pagamento a titolo risarcitorio di una somma corrispondente al prezzo concordato (ed al netto degli acconti già ricevuti dalla controparte), reputando che fosse stata offerta la prova della corrispondenza del danno patito dalla contraente adempiente al mancato guadagno, non potendosi opporre che il contratto non aveva avuto esecuzione.

Infatti, a detta della Corte distrettuale, poichè emergeva la prova che l’appellante aveva fatto fronte ai propri impegni, l’appellata era tenuta a risarcire il danno ex art. 1223 c.c., considerando nello stesso la perdita subita ed il mancato guadagno, danno che era corrispondente al mancato prezzo versato, che ristorava quindi sia la perdita subita che il mancato guadagno.

Ritiene la ricorrente che il ragionamento non possa essere condiviso, in quanto frutto di una distorta applicazione dei principi in tema di causalità ed in tema di risarcimento del danno contrattuale.

Se la finalità del risarcimento del danno è quella di porre la parte adempiente nelle medesima situazione nella quale si sarebbe venuta a trovare ove la controparte avesse a sua volta adempiuto agli obblighi derivanti dal contratto, la sentenza non ha tenuto conto del fatto che a seguito della risoluzione, il contraente adempiente “recupera” la prestazione che avrebbe dovuto eseguire, sicchè il danno non può consistere nel prezzo che sarebbe stato pagato, quanto nella differenza tra il prezzo ed il valore della prestazione recuperata.

Il quarto motivo denunzia la violazione di legge, con riferimento all’errata applicazione dei canoni di ermeneutica contrattuale ed in particolare degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., con la conseguente violazione degli artt. 1218 e 1223 c.c..

Infatti, la Corte romana dopo avere confermato la risoluzione del contratto di cessione dei dossier e del collegato contratto di fornitura in esclusiva, aveva accolto la domanda risarcitoria anche in relazione a questo secondo contratto.

Ma tale soluzione era frutto di un’erronea interpretazione dell’accordo negoziale, che aveva indotto i giudici di merito a ritenere che la ricorrente si fosse obbligata a far produrre detti medicinali secondo dei quantitativi minimi. In realtà, sostiene Germed, alla luce del tenore letterale delle previsioni contrattuali, l’obbligo di far produrre dei quantitativi minimi di farmaci non era in alcun modo evincibile dai contratti in atti, con la conseguenza che è stato accordato un risarcimento a ristoro di un diritto in realtà non scaturente dal contratto.

Il quinto motivo di ricorso, ripropone le medesime censure circa la corretta interpretazione della volontà delle parti, in merito ai diversi contratti di produzione dei farmaci Ceftriaxone e Ceftazidina, posto che anche in tal caso la conclusione della Corte distrettuale circa l’esistenza di un obbligo a carico della ricorrente di far produrre alla Biopharma dei quantitativi minimi di fatinaci, era contrastata dal tenore letterale dei contratti.

Infine il sesto motivo di ricorso denunzia l’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 1453 c.c., relativamente alla vicenda contrattuale concernente la produzione delle benzilpenicilline, nonchè l’errata interpretazione ed applicazione dell’art. 2697 c.c..

Infatti, la Corte di merito ha ritenuto che fosse stata offerta la prova che, allorquando la ricorrente aveva richiesto di ridurre la produzione di tali farmaci, in realtà Biopharma aveva già prodotto tutto l’ordinativo di 90.000 pezzi, sicchè aveva il diritto a percepire, sotto forma di risarcimento del danno, il prezzo che sarebbe stato corrisposto anche per i farmaci non ritirati.

La sentenza in parte qua aveva riconosciuto un danno che in realtà non risultava provato. Inoltre, come anche sostenuto nel terzo motivo di ricorso, una volta prodottasi la risoluzione del contratto, il danno non poteva essere riconosciuto in maniera pari al prezzo pattuito, occorrendo invece tenere conto di quanto l’attrice aveva recuperato in conseguenza della stessa risoluzione. Quindi anche in questo caso il danno doveva essere determinato in base alla differenza di valore tra le due prestazioni dedotte in contratto.

2. Attesa la stretta connessione delle questioni proposte, i primi due motivi di ricorso devono esser congiuntamente esaminati.

Effettivamente, come si ricava dalla lettura dei motivi di appello così come riportati nel ricorso, e come confermato dalla difesa anche della controricorrente, Biopharma, a fronte della pronuncia del Tribunale, che aveva ritenuto estesa la richiesta di risoluzione a tutti i contratti riportati in citazione, e quindi anche a quello del 20 luglio 2004 avente ad oggetto la cessione alla ricorrente del dossier Amoxicillina Clavulanico, sicchè avendo ritenuto sussistere l’inadempimento dell’acquirente, era pervenuta a pronunziare la risoluzione del contratto, però escludendo che potesse liquidarsi il danno nella somma richiesta dalla attrice (e cioè in misura pari al prezzo pattuito), aveva dedotto che in realtà non vi era domanda di risoluzione anche per tale contratto.

Ha, infatti, sostenuto che per un mero refuso, nelle conclusioni della citazione, la richiesta di risoluzione era stata estesa a tutti i contratti, ivi incluso quello qui in esame, relativamente al quale però l’effettivo tenore della domanda era quello di condanna della controparte all’adempimento.

In ogni caso, con il secondo motivo di appello proposto in via logicamente subordinata rispetto al primo, Biopharma deduceva che, anche laddove si fosse ritenuto che la domanda proposta era quella di risoluzione, aveva errato il Tribunale nel non riconoscere il danno nella misura richiesta, anche quale conseguenza dell’intervenuta risoluzione del contratto.

La sentenza gravata, pur avendo in premessa dato atto di quale era l’effettivo tenore del primo motivo di appello, ha però ritenuto fondato lo stesso sia in rito che nel merito.

Ha affermato che quando una parte contrattuale chiede al giudice di accertare i gravi inadempimenti della controparte in ordine a tutti i contratti e chieda la loro risoluzione per fatto e colpa della stessa controparte, con sua condanna al risarcimento del danno, non vi è dubbio che quella parte abbia inteso ottenere una pronuncia che consenta di rivalersi di quanto non ottenuto in via di esatto e puntuale adempimento contrattuale; e se il danno subito viene indicato come corrispondente al mancato incasso del prezzo pattuito in contratto, non si verte in una “situazione/domanda” nuova ed inammissibile ma semplicemente, nella allegazione del danno subito per il fatto dell’altrui inadempimento.

Quindi dopo avere altresì ricordato che la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, ha affermato che correttamente l’appellante aveva chiesto la risoluzione del contratto e la condanna della convenuta a risarcirle i danni cagionati equivalenti al corrispettivo del contratto non adempiuto (che è cosa del tutto diversa dalla domanda di adempimento del contratto che coinvolge tutte le prestazioni previste nel contratto).

Per l’effetto doveva altresì escludersi che fosse stata fatta confusione tra concetto di “danno” e prezzo, posto che ove la parte non inadempiente chieda che, a titolo di danno, le venga riconosciuto il mancato guadagno (il lucro cessante) pari al prezzo pattuito e non versato dalla controparte inadempiente, non pretende il riconoscimento automatico del pagamento di una somma a titolo di corrispettivo in assenza del contratto ma chiede di essere ristorata di un danno conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento ex artt. 1218 e 1223 c.c..

Quindi dopo avere richiamato gli argomenti del Tribunale, in merito all’accertamento del grave inadempimento della Germed, ha reputato di dover riformare la decisione appellata circa le conseguenze dell’accertato inadempimento della società appellata alle obbligazioni assunte con il contratto di vendita e produzione in data (OMISSIS); conseguenze che, in termini risarcitori, consistono nella perdita dei vantaggi che l’adempimento del contratto avrebbe portato alla società appellante.

Ha infatti ritenuto che secondo la Cassazione da tempo può ritenersi che il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, e deve pertanto escludersi per i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte: giudizio probabilistico, questo, che, in considerazione della particolare pretesa, ben può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno subito. Per l’effetto poteva ritenersi che il pregiudizio subito dalla appellante consisteva nel mancato accrescimento patrimoniale che sarebbe conseguito all’esatto e completo adempimento delle obbligazioni gravanti sulla appellata (pagamento del corrispettivo della cessione dei due dossier tecnici pari a Euro 1.400.000,00 oltre iva).

Il danno, immediato, subito dalla appellante era quindi costituito dal mancato versamento del prezzo previsto nel contratto quale perdita subita ed al tempo stesso, mancato guadagno dell’intrapresa contrattuale pattuita con la appellata.

Effettivamente la risposta data dalla Corte distrettuale al primo motivo di appello non corrisponde a quelle che erano le richieste dell’appellante, che mirava ad ottenere una condanna all’adempimento del contratto, sicchè non vi sarebbe perfetta corrispondenza tra la richiesta ed il contenuto della sentenza, che invece ha confermato la pronuncia di risoluzione per inadempimento.

Inoltre con riferimento al secondo motivo di appello, con il quale si intendeva contestare, nell’ottica della intervenuta risoluzione del contratto, e nell’ipotesi di rigetto del primo motivo di appello, la correttezza della decisione circa l’impossibilità di poter riconoscere il danno nella misura richiesta dall’attrice, la Corte romana è pervenuta ad una declaratoria di assorbimento.

I motivi sono infondati, posto che, sebbene emerga in maniera evidente l’errore nel quale è incorsa la Corte di merito laddove pur dichiarando di accogliere il primo motivo di appello, lo ha nei fatti rigettato, tuttavia la sostanza della decisione si risolve in un accoglimento del secondo motivo di appello.

La contraddizione palesata dalla dichiarazione di formale accoglimento del primo motivo, a fronte di una decisione che si risolve in un suo rigetto, ma che al contempo vale come accoglimento del secondo motivo di appello, ben può essere sanata mediante la mera correzione della motivazione della sentenza impugnata, e ciò tenuto anche conto del fatto che la parte appellante che a suo tempo aveva contestato la decisione del Tribunale di pronunziare la risoluzione di tutti i contratti dedotti in giudizio, ivi incluso quello relativo alla cessione del dossier Amoxicillina – Clavulanico, non ha inteso contestare oltre la correttezza dell’interpretazione della domanda così come fornita dai giudici di merito, mostrandosi quindi soddisfatta della pronuncia di risoluzione.

In tale prospettiva appare quindi possibile affermare che il reale contenuto della sentenza, quale emerge in maniera evidente dalle conclusioni raggiunte, sia nel senso che il primo motivo di appello sia stato rigettato e che invece il secondo sia stato accolto, e ciò conformemente a quelle che comunque erano le richieste formulate dall’appellante.

Ne discende quindi che i primi due motivi devono essere disattesi.

3. Il terzo motivo merita invece accoglimento.

Il giudice di appello ha infatti riconosciuto il danno derivante dall’inadempimento della ricorrente e che ha portato alla risoluzione del contratto di cessione del dossier, in misura del tutto corrispondente al prezzo non pagato, affermazione questa di per sè non irragionevole, ma si denunzia che in tal modo ha trascurato del tutto l’effetto della risoluzione che consente al creditore adempiente, proprio in ragione del venir meno della causa delle reciproche attribuzioni, di rientrare nella piena titolarità del bene che era oggetto del contratto di cessione.

A tal fine la stessa controricorrente riconosce che effettivamente ha riacquistato la disponibilità giuridica dei dossier ceduti, ma assume che gli stessi oggi non conserverebbero più alcun valore, non solo per la stessa parte, ma anche per eventuali terzi, non essendo più un bene commercialmente appetibile.

Reputa il Collegio che in tal modo la decisione si sia posta in contrasto con i principi che il giudice di legittimità ha reiteratamente affermato in materia.

In tale ottica, si è infatti ribadito che (cfr. Cass. n. 12966/2014) ai sensi dell’art. 1453 c.c., la domanda proposta per la risoluzione di un rapporto contrattuale, in relazione all’inadempimento della controparte, non preclude alla parte non inadempiente il diritto a ottenere il risarcimento dei danni, commisurato, ex art. 1223 c.c., all’incremento patrimoniale netto che avrebbe conseguito mediante la realizzazione del contratto, escluso il pregiudizio che lo stesso danneggiato avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza e che peraltro (cfr. Cass. n. 3598/2004), sebbene la domanda proposta per la risoluzione di un rapporto contrattuale, in relazione all’inadempimento della controparte, non precluda alla parte non inadempiente il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni, che va però commisurato, ex art. 1223 c.c., all’incremento patrimoniale netto che avrebbe conseguito mediante la realizzazione del contratto. In termini si veda anche Cass. n. 4473/2001 che ha ribadito che in caso di risoluzione del contratto di vendita per inadempimento del compratore, il danno va commisurato all’incremento patrimoniale netto che il venditore avrebbe conseguito mediante la realizzazione del contratto (conf. ex multis Cass. n. 3750/1994 nella quale si precisa che a seguito della pronuncia di risoluzione di una compravendita immobiliare in ragione del mancato pagamento del prezzo da parte del compratore, il venditore adempiente, consegue con la restituzione del bene solo in parte la riparazione del pregiudizio subito).

Una volta posti tali principi, deve ritenersi sussistente la dedotta violazione di legge n alternativa si potrebbe ritenere che vi sia diretta violazione di le quanto ai criteri che devono presiedere alla liquidazione del danno, in quanto dando seguito alla soluzione alla quale è pervenuto il giudice di merito, e sebbene l’effetto della risoluzione abbia determinato il riacquisto e la disponibilità giuridica in capo alla venditrice del dossier oggetto di causa (con la conseguente possibilità di poterne nuovamente disporre), il contraente adempiente non è stato posto in una posizione di sostanziale indifferenza rispetto all’ipotesi di adempimento della prestazione (alla quale mira per equivalente il risarcimento del danno), ma in una condizione di maggior favore, venendo quindi a locupletare dall’altrui inadempimento, ritrovandosi pertanto sia con la prestazione che sarebbe stata adempiuta ove il contratto avesse ricevuto puntuale esecuzione, che con il bene che era oggetto di cessione, e del quale avrebbe perso la titolarità ove il contratto fosse stato adempiuto.

Nè la decisione di merito ha argomentato specificamente in ordine alla ritenuta assenza di valore dei dossier alla data della sua pronuncia, di guisa che la decisione impugnata, lungi dal risolversi, come sostenuto dalla società attrice, in un’erronea valutazione in fatto, si manifesta come una violazione dei criteri di legge che devono presiedere alla valutazione del danno, e che impongono, al fine di accertare il pregiudizio effettivo subito dal contraete adempiente, che lo stesso debba essere valutato al netto di quanto conseguito per effetto dell’inefficacia scaturente dall’effetto risolutorio, anche in punto di prestazioni eseguite in favore della controparte.

La sentenza deve pertanto essere cassata in accoglimento del motivo in esame, dovendo i giudici di merito in sede di rinvio provvedere all’accertamento del danno conformemente ai principi esposti.

4. Il quarto ed il quinto motivo possono essere congiuntamente esaminati attesa la quasi totale identità delle questioni giuridiche che gli stessi sollevano.

La Corte d’Appello, una volta dichiarata la risoluzione del contratto di cessione dei dossier per il farmaco Amoxicillina – Clavulanico, si è occupata anche della richiesta di risoluzione e risarcimento danni del collegato contratto di produzione, ritenendola, in riforma della decisione del Tribunale, fondata.

Infatti le parti avevano concordato, a seguito della cessione, che la Germed avrebbe fatto produrre in esclusiva i farmaci dalla società cedente, prevedendosi in particolare che parte del prezzo della cessione sarebbe stato corrisposto mediante un sovrapprezzo pari ad 0,50 sulla produzione del primo milione di astucci.

Secondo la sentenza gravata la Germed non aveva fatto fronte agli impegni assunti, non ordinando il quantitativo pattuito, avendo anche violato l’obbligo di far produrre i farmaci in oggetto in esclusiva alla controricorrente non avendo altresì rispettato il quantitativo minimo di un milione di astucci sui quali praticare il sovraprezzo al fine di assicurare anche il pagamento di parte del prezzo della cessione.

Analogamente, nell’esaminare la violazione delle prestazioni scaturenti dai contratti di produzione relativi ai farmaci Ceftriaxone e Ceftazidina, la sentenza gravata ha ritenuto che gli stessi prevedessero, diversamente da quanto invece opinato dal Tribunale l’obbligo di ordinare dei quantitativi minimi.

Il Giudice di primo grado, nell’esaminare il contratto di produzione sottoscritto in data 27.6.2003, ove si diceva che la Germed “intende produrre, nei quantitativi minimi in seguito descritti” entrambe le specialità medicinali in oggetto presso la società Biopharma, precisando che i termini e modalità di produzione sarebbero stati fissati in un separato accordo produttivo, ha evidenziato che, in sede di disciplina delle “condizioni di produzione” la ricorrente si impegnava a formalizzare un ordine annuale denominato “forecast” che sarebbe poi stato suddiviso in ordini parziali. Inoltre i contratti prevedevano, altresì, che “nel caso in cui gli ordini di produzione fossero inferiori rispetto a quelli previsti nel forecast annuale…” e, quindi, prevedeva che nel caso fossero minori al minimo annuale indicato dalle parti, “… la Committente si impegna a rimborsare al Produttore il costo dei materiali acquistati in giacenza”.

Secondo la Corte d’Appello, invece tali previsioni andavano correttamente interpretate nel senso che bisognava partire da quelle del contratto di vendita e produzione, e precisamente dall’impegno di cui al punto 1, con il quale la Pliva (oggi Germed) dichiarava che intendeva produrre nei quantitativi minimi in seguito descritti, ambo le specialità medicinali presso BIOPHARMA, per la successiva vendita in Italia. Tale previsione non poteva avere altro significato se non quello di aver fissato – a vantaggio del produttore Biopharma – un minimo annuo garantito, derogabile, in aumento (ma non in diminuzione), sulla base di previsioni (il cd. forecast) di maggior produzione da comunicare al produttore onde consentire di adeguare ed organizzare le sue linee produttive, già programmate per la produzione del “minimo” fissato in contratto.

In nessuna clausola del contratto di produzione, e del successivo disciplinare tecnico, era stata prevista, e pattuita, una derogabilità dei quantitativi minimi a discrezione della committenza, potendosi solo procedere ad aumenti di produzione ove comunicati alla produttrice in base alle previsioni future (il forecast) le quali, una volta comunicate al produttore (90 giorni prima dell’inizio della produzione) e da questo poste in effettiva produzione nelle nuove quantità, avrebbero determinato il diverso meccanismo del rimborso di cui al 1 punto 4.4. del contratto di fornitura (“nel caso in cui gli ordini di produzione fossero inferiori rispetto a quelli previsti nel forecast annuale, la Committente si impegna a rimborsare al Produttore il costo dei materiali acquistati in giacenza”), con il rimborso alla Biopharma dei materiali acquistati per poter procedere alla maggior produzione richiesta con il programma di produzione di cui al punto 3.5. (“la Committente formalizzerà un ordine annuale di produzione compilando l’allegato H. Il forecast annuale sarà suddiviso in ordini parziali emessi dalla Committente 90 giorni prima dell’inizio della produzione come riportato nell’allegato L”). Inoltre tale interpretazione (basata secondo la Corte d’Appello, sulla letterale volontà manifestata dalle parti nel testo contrattuale) trovava riscontro e conferma anche nell’intenzione dei contraenti al momento della stipula, desunta dalla natura stessa dei rapporti di interesse sottesi ai contratti in parola, essendo l’interesse della Biopharma quello di ottenere, dopo la cessione alla Germed dei dossier tecnici e dell’AIC dei due farmaci in esame (rientranti nella categoria dei c.d. farmaci equivalenti), l’esclusiva di produzione di quei fatinaci in un quantitativo tale (il minimo annuo) da poter essere remunerativo dell’investimento fatto per acquisire i diritti di produzione di quei farmaci che, non potendo vendere direttamente sul mercato, doveva produrre per conto di una azienda farmaceutica. A tal fine era necessario prevedere dei minimi garantiti (cioè non derogabili) di prodotto onde impedire al Committente (che avrebbe venduto i farmaci sul mercato) di fissare soglie di prodotto non adeguatamente remunerative sia delle spese che degli investimenti fatti per acquisire i dossier tecnici e la successiva A.I.C..

I motivi di ricorso sono infondati e devono essere rigettati.

Ed, invero, a fronte di una logica ed argomentata ricostruzione della volontà contrattuale fondata sia sulla necessaria valorizzazione delle espressioni letterali utilizzate al fine di determinare la reale intenzione dei contraenti, sia sulla valenza sistematica delle varie clausole, in attuazione di quanto disposto dall’art. 1363 c.c., la ricorrente, con una censura incentrata sulla sola violazione di legge (e quindi senza dedurre altresì, sia pure nel più limitato spazio che oggi offre la legge, la violazione della diversa previsione di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5) si limita a denunziare in maniera assolutamente generica la violazione delle regole legali di interpretazione del contratto, essendosi a ben vedere limitata solo a riprodurre il testo dei contratti, ma senza individuare in dettaglio quale sia stato l’errore commesso dal giudice di merito ed in che modo vi sia difformità tra l’attività interpretativa compiuta da quest’ultimo ed i parametri imposti dal legislatore.

La doglianza a ben vedere si traduce in una surrettizia richiesta di rivalutazione dei fatti di causa, occorrendo a tal fine richiamare il tradizionale orientamento di questa Corte per il quale l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicchè, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009).

Nel caso di specie, e ribadita la assoluta logicità e congruenza argomentativa della sentenza impugnata quanto alla giustificazione della propria attività interpretativa, anche la lettura del testo contrattuale, così come riportato in ricorso, non appare tale da imporre una conclusione a rime obbligate e conforme a quella che è la soluzione proposta da parte ricorrente, posto che non si palesa come implausibile (ma piuttosto come conforme a quella che era la ragionevole aspettativa delle parti alla data della stipula dei contratti) la tesi secondo cui la previsione del forecast lungi dal consentire di derogare a quelli che erano individuati come ordinativi minimi, così come appunto sottolineato dall’art. 1 del contratto dei prodotti Cefttriaxone e Ceftazidina, mirava più semplicemente a fornire alla produttrice le indicazioni in base alle quali poter programmare la propria attività, anche in vista dell’acquisto delle materie prime necessarie, e ciò soprattutto, come appunto opinato dalla Corte distrettuale, nell’ipotesi in cui gli ordinativi si fossero rivelati superiori ai minimi concordati.

Sempre in tale prospettiva appare del tutto giustificata la previsione di cui al punto 4.4. dei due contratti di fornitura, dovendosi ritenere che l’obbligo di rimborso del costo delle materie prime acquistate dal produttore sulla base delle indicazioni del forecast, laddove gli ordini di produzione si fossero rivelati inferiori alle prime, valeva solo per quegli ordinativi che eccedevano i minimi così come fissati nel contratto di vendita e produzione.

Peraltro, e con specifico riferimento alla vicenda della produzione del farmaco Amoxicillina – Clavulanico, come giustamente rimarcato dalla difesa della controricorrente, l’inadempimento agli obblighi in capo alla ricorrente, quali scaturenti dal contratto di produzione, è stata affermata, non tanto e non solo per non avere provveduto ad ordinare i quantitativi previsti, ma altresì per avere violato il patto di esclusiva, pure pacificamente emergente dalle previsioni contrattuali, atteso che la Germed si sarebbe dovuta rivolgere esclusivamente a Biopharma per la produzione dei farmaci in esame.

Al riguardo la sentenza gravata, a pag. 9, ha chiaramente affermato che la riprova dell’inadempimento si fondava anche sulla circostanza che l’appellata aveva fatto produrre in seguito il farmaco da altra officina, violando il patto di esclusiva. Trattasi quindi di una argomentazione dotata di sua autonomia, che, in assenza di critiche che la investano direttamente, ben giustifica la condanna al risarcimento danni, anche laddove (il che non è per quanto sopra esposto) volesse ritenersi che non vi era in relazione a tale contratto una precisa volontà delle parti diretta a fissare anche un quantitativo minimo di farmaci da ordinare.

5. Quanto, infine al sesto motivo, concernente l’ordinativo delle benzilpenicelline, la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., in merito all’affermazione secondo cui non vi sarebbe prova del danno, si traduce in una chiara istanza volta, in maniera inammissibile, a sollecitare una nuova valutazione dei fatti di causa ad opera di questa Corte, posto che il giudice del merito, nell’ambito dei poteri di sua esclusiva spettanza, ha provveduto ad una puntuale ed argomentata valutazione delle risultanze istruttorie, pervenendo alla conclusione che alla data in cui la ricorrente chiese di sospendere la produzione, in realtà Biopharma aveva già interamente prodotto l’intero quantitativo preventivato.

Tuttavia appare meritevole di accoglimento nella parte in cui, analogamente a quanto già visto in occasione della disamina del terzo motivo di ricorso, la decisione gravata non tiene conto dell’effetto risolutorio della pronuncia, riconoscendo il danno in maniera pari al prezzo pattuito, senza tenere in debita considerazione il riacquisto della proprietà dei beni venduti.

Anche a tal riguardo la sentenza deve essere cassata dovendo il giudice del rinvio attenersi, nella determinazione del danno al criterio secondo cui lo stesso deve corrispondere al pregiudizio subito dalla parte adempiente al netto di quanto conseguito in conseguenza dell’effetto ripristinatorio scaturente dalla pronuncia di risoluzione.

7. Il giudice del rinvio che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Roma, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il terzo ed il sesto motivo come precisato in motivazione, rigetta gli altri motivi, e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

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