Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21249 del 13/09/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 13/09/2017, (ud. 26/06/2017, dep.13/09/2017),  n. 21249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15379/20125 proposto da:

COMUNE DI LUCCA, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI

134, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA CIPOLLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO LOGOZZO;

– ricorrente –

contro

A.G. E FIGLI DI P. E D.A. SNC,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA VALLISNERI 11, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO PACIFICI, rappresentato e difeso dagli

avvocati ELIDO GUERRINI, ALESSANDRO BERUTTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 208/2011 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 02/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/06/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RITENUTO

che la A.G. e Figli di P. e D.A. s.n.c., esercente attività di falegnameria, impugnava l’avviso di accertamento, relativo agli anni dal 1996 al 2000, per omesso pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), notificato dal Comune di Lucca, e ne chiedeva l’annullamento per carenza di motivazione, nonchè per assenza di rifiuti, in quanto i residui della lavorazione erano venduti, come materia prima, a industrie che li impiegano nella lavorazione di pannelli, truciolati e compensati;

che l’adita CTP di Lucca, con la sentenza n. 127/08/03, ritenendo la documentazione prodotta dalla contribuente inidonea a dimostrare l’esistenza dei presupposti per l’applicazione dell’esenzione richiesta, rigettava il ricorso della predetta società, la quale proponeva appello avverso tale decisione, dinanzi alla CTR della Toscana, e chiedeva, in via subordinata, l’annullamento parziale dell’impugnato avviso di accertamento, sulla base del ricalcolo della superficie tassabile;

che la CTR, con la sentenza n. 67/32/05, depositata il 25 ottobre 2005, in riforma di quella di primo grado, accoglieva il gravame, sul presupposto che la documentazione presentata dalla ricorrente dimostra obiettivamente la mancata produzione di rifiuti nei locali della falegnameria, ma la decisione, su ricorso del Comune di Lucca, veniva cassata con rinvio da questa Corte, con la sentenza n. 23839/2009, e la medesima CTR, quale giudice di rinvio, con la sentenza n. 208/1/11, depositata il 2/5/2011, accoglieva il gravame della contribuente, rilevando che la società ha fornito la prova sia dello smaltimento diretto dei propri rifiuti, costituenti materia prima per lavorazioni del legname, sia della relativa dichiarazione presentata all’ente impositore;

che il Comune di Lucca propone ricorso per Cassazione, sorretto da due motivi, illustrati con memoria, cui l’intimata società resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e/o insufficiente motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la CTR non ha esplicitato le ragioni sottese all’accoglimento dell’appello della contribuente, così reiterando il medesimo vizio per il quale la Corte di Cassazione aveva disposto il nuovo giudizio;

che con il secondo motivo di impugnazione deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62 e 70, giacchè la non debenza della TARSU, da parte della contribuente, si fonda sull’affermazione della CTR secondo cui la società A.G. e Figli di P. e D.A. provvede a propria cura allo smaltimento dei “rifiuti” prodotti, in quanto materiale destinato a successive lavorazioni, mediante cessione ad imprese terze, affermazione che tuttavia non tiene conto che la vendita degli scarti di lavorazione derivanti dall’attività di falegnameria non esaurisce i rifiuti che si presumono prodotti, in relazione alle superfici occupate dall’impresa e rilevanti per la tassazione, laddove il Comune, come nel caso in esame, fornisce il servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti;

che i suesposti motivi, scrutinabili congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono fondati e vanno accolti per le ragioni di seguito precisate;

che, in generale, giova ricordare che ” in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest’ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati” (Cass. n. 13719/2006; n. 23335/2016);

che, invero, le ragioni per cui la sentenza n. 67/32/05 della CTR della Toscana è stata cassata da questa Corte risiedono nell’intervenuto accoglimento del motivo d’impugnazione con cui il Comune, allora ricorrente, aveva lamentato “omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, in quanto l’ente impositore assumeva essere incomprensibile a quale documentazione la Commissione intendesse fare riferimento, per suffragare la decisione favorevole alla contribuente, non essendo stato prodotto alcun documento idoneo ad assolvere l’onere probatorio richiesto dalla legge, nè specificato in quale categoria, tra quelle di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2, si dovesse sussumere la fattispecie in questione, avendo la sentenza del giudice di appello attribuito rilevo assorbente alla circostanza che il materiale di scarto prodotto dall’impresa venisse rivenduto a terzi, trascurando di considerare la occupazione o detenzione di superfici potenzialmente idonee a produrre-rifiuti e, quindi, soggette a generale presunzione di tassabilità;

che, in relazione agli evidenziati specifici punti di carenza motivazionale, la CTR della Toscana, quale giudice di rinvio, ritiene che “la società contribuente abbia fornito la prova sia di provvedere direttamente allo smaltimento dei propri rifiuti (che del resto costituiscono materia prima di lavorazioni del legname), sia di aver segnalato tempestivamente la circostanza alla Amministrazione comunale”;

che, invero, la società A.G. e Figli di P. e D.A. ha sempre sostenuto la tesi di non essere tenuta al pagamento della TARSU per locali ed aree che non sono produttive di rifiuti, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2, disposizione la quale recita: “Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perchè risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione”;

che la contribuente assume la non riconducibilità alla nozione di rifiuto degli scarti di lavorazione del legno, trattandosi di materiale che può essere utilizzato in altro ciclo produttivo, previa cessione a soggetti terzi, in quanto reimpiegabile come materia prima “per la lavorazione di pannelli, truciolati e compensati”, che a tal fine viene introdotto in un “macinatore per scarti”, per poi essere stoccato in un “silos”, in attesa della vendita, attrezzature queste ultime presenti nell’azienda, come documentalmente provato in atti, per cui mancherebbe in radice il presupposto dell’imposta;

che a sostegno di quanto esposto richiama la nozione di rifiuto accolta dalla allora vigente normativa, alla luce anche della disciplina comunitaria, nel cui ambito si inserisce il provvedimento legislativo sulla interpretazione autentica della definizione di rifiuto varata con del D.L. n. n. 138 del 2002, art. 14, convertito dalla L. n. 178 del 2002 (l’articolo è stato poi abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 3 2006, n. 152 del 2006), il quale stabilisce che non sono più rifiuti i residui di produzione o consumo che vengono riutilizzati senza passare dalle operazioni di recupero previste dal c.d. decreto Ronchi;

che soggetti passivi dell’obbligazione tributaria, in materia di TARSU, sono tutti coloro che occupano o detengono i locali o le aree soggette a tassazione, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, che recita: “La tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa nei modi previsti dagli artt. 58 e 59, fermo restando quanto stabilito dall’art. 59, comma 4)” e, nel caso di specie, non è contestata la obiettiva possibilità per la società contribuente di utilizzo del servizio di privativa comunale;

che, dunque, attesa la previsione, da parte della legge, di una presunzione relativa di idoneità alla produzione di rifiuti, la prova contraria, atta a dimostrare la inidoneità del bene a produrre rifiuti, resta ad esclusivo carico del contribuente, il quale deve fornire all’Amministrazione tutti gli elementi all’uopo necessari, in quanto ciò che rileva, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, è la idoneità del bene occupato o detenuto a produrre rifiuti, e soltanto la prova positiva della inidoneità alla produzione di rifiuti solidi urbani può legittimare l’esenzione dal pagamento della TARSU;

che, inoltre, appare utile richiamare il principio, affermato da questa Corte, secondo cui “incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile” (Cass. n. 10787/2016);

che, infatti, per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale, pur operando il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (n. 22223/2016; n. 775/2011; n. 17599/2009; n. 13086/2006; n. 4766/2004; n. 17703/2004);

che la motivazione della sentenza impugnata, oltremodo sintetica, non dà conto della concreta applicazione dei principi innanzi esposti, ai quali la sentenza n. 23839/2009 della Corte ha inteso fare riferimento, atteso che l’esenzione dall’imposta è fatta discendere dalla qualificazione, riferita agli scarti di lavorazione del legno, di “non rifiuto”, avuto riguardo a sostanze o materiali residuali di produzione o consumo riutilizzabili nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza essere sottoposti a trattamenti preventivi e senza recare pregiudizio per l’ambiente; che le conclusioni del giudice di rinvio risultano del tutto avulse dall’effettivo accertamento dell’estensione delle superfici tassabili (presenza di uffici, depositi, locali vendita ecc. ecc.), dando per scontato il superamento della presunzione di tassabilità per tutte le superfici detenute, senza alcuna distinzione di sorta, e poggiando sulla apodittica affermazione circa l’idoneità dei documenti (fatture di vendita dei residui e di acquisto della materia prima, fatture di acquisto del “macinatore di scarti” e del “silos”, dichiarazione resa al Comune di Lucca), prodotti in giudizio dalla società contribuente, unitamente ad una non meglio precisata segnalazione della medesima alla Amministrazione comunale, a comprovare tale attività di recupero;

che, tuttavia, della valenza probatoria documenti in questione nulla è dato sapere, e siffatta carenza motivazionale appare tanto più grave ove si consideri l’ampio arco temporale (anni dal 1996 al 2000) interessato dall’avviso di accertamento, e la domanda, proposta in via subordinata dalla stessa società, di annullamento parziale dell’atto impositivo e di ricalcolo della superficie tassabile;

che, in conclusione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese, alla medesima CTR, in diversa composizione.

PQM

 

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 13settembre 2017

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