Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21248 del 05/10/2020

Cassazione civile sez. II, 05/10/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 05/10/2020), n.21248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21701/2019 proposto da:

O.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato RAFFAELE

MIRAGLIA, ed elettivamente domiciliato a Roma, via Muzio Clementi

51, presso lo studio dell’Avvocato VALERIO SANTAGATA, per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso i cui uffici a Roma, via dei Portoghesi

12, domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA n. 514/2019 della CORTE D’APPELLO DI MILANO,

depositata il 5/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/7/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.S., nato in (OMISSIS), ha proposto appello avverso l’ordinanza con la quale, in data 17/4/2018, il tribunale di Milano ha respinto la domanda di protezione internazionale che lo stesso aveva proposto.

La corte d’appello di Milano, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello.

La corte, in particolare, ha evidenziato che “il quadro emergente dalle dichiarazioni rese” dal richiedente, “valutato nella sua globalità, non sia da ritenersi credibile”: “il suo racconto relativo alle vicende riguardanti le presunte minacce operate dalla stessa degli (OMISSIS), dopo la morte del padre, risulta vago, generico e lacunoso e non vi è alcuna prova dell’aggressione perpetrata ai suoi danni alcuni mesi dopo, non essendo stata prodotta copia della denuncia che la madre avrebbe presentato”, con il conseguente difetto dei presupposti per il riconoscimento della misure di protezione invocate.

La corte, inoltre, ha respinto la domanda di protezione umanitaria proposta dall’appellante ritenendo, innanzitutto, che la sua narrazione è del tutto inattendibile e priva di supporto probatorio, ed, in secondo luogo, che il richiedente, malgrado abbia iniziato a studiare l’italiano, non lo ha praticato e non ha alcun inserimento stabile nel contesto sociale e lavorativo italiano: ed infatti, “non ha prodotto alcunchè, nè un contratto di lavoro, nè buste paga ed ha dichiarato… di non aver svolto alcuna attività lavorativa, ma si esercitare soltanto attività sportiva”.

O.S. ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 11, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7 e 14 e del D.Lgs. n. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e all’art. 6 CEDU, per violazione del principio del contraddittorio e della parità delle armi, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal richiedente ritenendo che le dichiarazioni rese dallo stesso non erano credibili per la mancata produzione di documentazione attestante l’aggressione subita dalla setta degli (OMISSIS), nella quale avrebbe dovuto subentrare al padre.

1.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello, conformandosi alle valutazioni espresse dal tribunale in ordine alle incoerenze presenti nel racconto del ricorrente, non ha considerato che il giudice di prime cure aveva omesso di instaurare sul punto il contraddittorio con lo stesso in sede di esame, in violazione del principio di leale collaborazione e di parità delle armi, tanto più che la presenza dell’interprete poteva fugare ogni dubbio in ordine all’impossibilità di procurarsi la documentazione invocata. Non possono, infatti, essere considerati a motivo del giudizio negativo sulla credibilità del richiedente le affermazioni contraddittorie o le circostanze sulle quali non gli è stato dato modo di interloquire, se non in violazione del suo diritto di difesa.

1.3. La valutazione sulla credibilità del richiedente, ha proseguito il ricorrente, è stata, quindi, condotta in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, poichè la sentenza impugnata, al posto di valutare l’affidabilità complessiva delle dichiarazioni dello straniero, ha ritenuto che la mera genericità delle sue dichiarazioni e l’apparente contraddizione su una circostanza siano in grado di travolgere integralmente la fondatezza della domanda, laddove, al contrario, in base alle disposizioni dell’UNHCR, le autorità sono tenute, tra l’altro, a dare al richiedente la possibilità di chiarire eventuali elementi che farebbero propendere per una valutazione negativa in merito alla sua credibilità.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 5, la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 4 e 5 e art. 4 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, in relazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, commi 3 e 3 bis, art. 19, comma 1 e art. 5, comma 6, del TU sull’immigrazione, art. 10 Cost., commi 1 e 3 e art. 117 Cost., comma 1 e all’art. 3 CEDU, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria sul rilievo che, da un lato, la sua narrazione è del tutto inattendibile e, dall’altro lato, il richiedente non pratica la lingua italiana e non ha dimostrato alcun inserimento stabile nel contesto sociale e lavorativo italiano.

2.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha sminuito il valore delle circostanze che il richiedente aveva riferito in ordine alle violazioni dei diritti umani subite, come l’imposizione di aggregarsi ad una setta cultista, le aggressioni e le minacce seguite al suo rifiuto e la migrazione forzata dalla Libia all’Italia, in conseguenza di un giudizio sulla credibilità dello stesso che è stato operato in violazione della legge.

2.3. La corte d’appello, inoltre, ha proseguito il ricorrente, ha ritenuto che il richiedente non era riuscito a produrre documentazione attestante l’avvenuta denuncia all’autorità giudiziaria nigeriana dell’aggressione subita, laddove lo stesso aveva dichiarato di non essere più in contatto con la sua famiglia dal 2015 e di essere, quindi, nell’impossibilità di reperire le prove richieste.

2.4. La corte d’appello, infine, ha concluso il ricorrente, pur a fronte dell’esibizione delle cicatrici che il ricorrente porta ancora sul corpo, ha del tutto omesso di approfondire l’accertamento in ordine all’origine, evidentemente traumatica, di tali segni, nè ha considerato che lo stesso, in conseguenza di tali visibili traumi, corre il forte rischio in ordine all’incolumità in caso di rientro in Nigeria, caratterizzata da una situazione di conflitto che, seppur non generalizzato a tutti gli Stati confederati, provoca una situazione simile alla violenza indiscriminata, specie per le persone che, come il ricorrente, hanno vissuto la situazione di conflitto in Libia.

3.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono, in parte, inammissibili e, per la residua parte, infondati.

3.2. Il ricorrente, infatti, ha, in sostanza, lamentato, innanzitutto, che la corte d’appello abbia trascurato di rilevare che il tribunale aveva omesso di provocare il contraddittorio con il richiedente in ordine alla mancata produzione di documentazione attestante l’aggressione subita dalla setta degli (OMISSIS), nella quale avrebbe dovuto subentrare al padre.

Si tratta, com’è evidente, di un (presunto) vizio che, nella prospettazione più favorevole al ricorrente, avrebbe determinato la nullità della pronuncia emessa dal tribunale per la dedotta violazione del principio di leale collaborazione e di parità delle armi.

Sennonchè, i vizi sia della sentenza in sè considerata sia degli atti processuali antecedenti si convertono, a norma dell’art. 161 c.p.c., comma 1, in motivi di gravame e debbono essere, come tali, fatti valere nei limiti e secondo le regole proprie dei vari mezzi di impugnazione: in particolare, quando si tratti di pronuncia appellabile, tali vizi devono essere censurati con l’atto d’appello, così che la mancata denuncia di detta nullità in sede di gravame comporta l’impossibilità, per il giudice dell’impugnazione, di rilevarla e, in definitiva, la sua sanatoria.

Nel caso di specie, al contrario, non emerge in alcun modo, nè dalla sentenza impugnata, nè dal ricorso per cassazione, che il richiedente abbia censurato, con l’atto d’appello, l’ordinanza del tribunale facendone valere la nullità in conseguenza del vizio in questione: la quale, pertanto, non può essere, in seguito, fatta valere con il ricorso per cassazione contro la sentenza di secondo grado che abbia pronunciato senza aver rilevato il (dedotto) vizio di nullità della pronuncia appellata.

3.3. In tema di protezione internazionale, inoltre, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente, che ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto che “il quadro emergente dalle dichiarazioni rese” dal richiedente, “valutato nella sua globalità, non sia da ritenersi credibile” e che, in particolare, “il suo racconto relativo alle vicende riguardanti le presunte minacce operate dalla stessa degli (OMISSIS), dopo la morte del padre, risulta vago, generico e lacunoso e non vi è alcuna prova dell’aggressione perpetrata ai suoi danni alcuni mesi dopo, non essendo stata prodotta copia della denuncia che la madre avrebbe presentato”, con il conseguente difetto dei presupposti per il riconoscimento della misure di protezione invocate.

Ed è noto che la valutazione d’inattendibilità costituisca un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatti decisivi, nella specie neppure dedotti con la necessaria specificità.

3.4. I motivi del ricorso per cassazione, peraltro, devono, com’è noto, investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti.

Nel caso in esame, non è dato comprendere se ed in quale misura il ricorrente abbia, nel giudizio d’appello, dedotto la questione – non trattata dalla sentenza impugnata – della sussistenza del diritto alla protezione umanitaria per i fatti che avrebbero investito il richiedente prima dell’approdo in Italia, a partire dalle sofferenze patite nei centri di detenzione libici, e per la situazione di violenza, così come esistente in Nigeria, dalla quale sarebbe investito per il caso di rimpatrio.

Ed è, invece, noto che, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena d’inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità del motivo, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (cfr. Cass. n. 20694 del 2018).

Quanto al resto, la Corte non può che ribadire che la protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017).

I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano, in effetti, accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero – che spetta al giudice di merito accertare in fatto – derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

Nel caso in esame, la corte d’appello, a seguito di un accertamento in fatto non censurato (salvo che i fatti in precedenza esposti) per omesso esame di fatto decisivi, ha ritenuto insussistente una situazione di vulnerabilità personale, meritevole di tutela, in capo al richiedente il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, ritenendo che la sua narrazione fosse del tutto inattendibile e priva di supporto probatorio, in tal modo formulando un giudizio che, in quanto fondato su apprezzamenti di fatto, non è censurabile in questa sede (Cass. n. 2858 del 2018) – se non per il vizio, nella specie neppure invocato, di omesso esame circa fatti decisivi – e che, in quanto tale, costituisce motivo sufficiente per negare anche la protezione umanitaria (Cass. n. 31480 del 2018, in motiv.).

4. Il ricorso, per l’infondatezza di tutti i motivi nei quali risulta articolato, dev’essere, quindi, rigettato.

5. Nulla per le spese di lite per la mancanza di reale e idonea attività difensiva da parte del ministero.

6. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2020

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