Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21246 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. I, 14/10/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 14/10/2011), n.21246

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in Roma, alla piazza

Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione,

unitamente all’avv. MARRA ALFONSO LUIGI, dal quale è rappresentalo e

difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t.

domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale è rappresentato e

difeso per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 3

luglio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

settembre 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CESQUI Elisabetta, la quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 3 luglio 2008, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da F. M. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Napoli per il riconoscimento della qualifica corrispondente alle funzioni in concreto esercitate.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1994, non si era ancora concluso, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, in considerazione della materia e delle questioni sottoposte all’esame del giudice, e, tenuto conto della natura della controversia, della complessità del caso e del patema d’animo causato dalla pendenza della causa, nonchè della mancata proposizione dell’istanza di prelievo, ha liquidato il danno non patrimoniale in complessivi Euro 8.446,66, pari ad Euro 800,00 per ogni anno di ritardo.

2. – Avverso il predetto decreto il M. propone ricorso per cassazione, articolato in dieci motivi. Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi tre motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha immotivatamente riconosciuto l’indennizzo soltanto per il periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, anzichè per l’intera durata del giudizio presupposto, astenendosi dal disapplicare le norme interne contrastanti con la Convenzione e contravvenendo ai principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

1.1. – I motivi sono infondati.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), infatti, l’indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo non dev’essere correlato alla durata dell’intero processo, ma al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole. Tale criterio di calcolo appare non solo conforme al principio enunciato dall’art. 111 Cost., il quale prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturala alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, ma, come riconosciuto dalla stessa Corte EDU nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, non si pone neppure in contrasto con l’art. 6, par. 1 della CEDU, in quanto non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione (clr. Cass., Sez. 1^, 23 novembre 2010, n. 23654; 14 febbraio 2008, n. 3716).

2. – Sono parimenti infondati il quarto ed il quinto motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e dei principi enunciati dalla Corte EDU, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha liquidato il danno non patrimoniale in misura inferiore agli standards europei.

2.1. – Questa Corte, intatti, ha ripetutamente affermato che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli.

E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali criteri sono stati sostanzialmente rispettati dalla Corte d’Appello, la quale, in relazione all’accertato ritardo di dieci anni e sette mesi nella definizione del giudizio presupposto, ha ritenuto peraltro opportuno il riconoscimento di un indennizzo inferiore, nell’importo unitario (Euro 800,00), a quello indicato dalla Corte EDU per gli anni successivi al terzo, in considerazione della natura della controversia, della complessità del caso e del patema d’animo derivante dall’eccessiva durata della causa, nonchè dello scarso interesse alla definizione della stessa, manifestato dal ricorrente attraverso la mancata adozione di iniziative volte a sollecitarne la decisione.

La motivazione in esame appare in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la quale, in riferimento alla disciplina (applicabile razione temporis) vigente in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha subordinato all’avvenuta presentazione dell’istanza di prelievo la proponibilità della domanda di riparazione del danno derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata di un processo amministrativo, ha chiarito che la mancata proposizione della predetta istanza, pur non comportando il trasferimento a carico del ricorrente della responsabilità per il superamento del termine in questione, può incidere sulla valutazione del pregiudizio lamentato, ove il comportamento della parte appaia sintomatico di uno scarso interesse alla sollecita definizione del giudizio (cfr. Cass., Sez. 1^, 16 novembre 2006, n. 24438; Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28507).

Il ricorrente contesta tale valutazione, lamentando l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato, senza però spiegare i motivi per cui ritiene che nel ragionamento seguito dalla Corte d’Appello non sia rintracciabile il criterio logico che l’ha condotta alla formazione del proprio convincimento e che le ragioni poste a fondamento della decisione siano tali da elidersi a vicenda e da non consentire quindi l’individuazione della ratio decidendi. Ciò rende evidente che, sotto l’apparenza della denuncia di un vizio di motivazione, egli mira in realtà a sollecitare una revisione dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, non consentito in sede di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto compete la valutazione del danno nei limiti segnati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 e dai parametri elaborati dalla Corte EDU. 3. – Sono altresì infondati il settimo e l’ottavo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, rilevando che la Corte d’Appello ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 dovuto in relazione alla natura del giudizio presupposto, avente ad oggetto una controversia in materia di pubblico impiego, senza fornire alcuna motivazione.

3.1. – L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali ed assistenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa infatti che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò implichi uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass.. Sez. 1^, 3 dicembre 2009, n. 25446: 29 luglio 2009, n. 17684); dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamale (cfr. Cass., Sez. 1^, 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869).

4. – Sono infine inammissibili, per difetto di auto sufficienza, il nono ed il decimo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24 e dell’art. 91 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione delle spese processuali, la Corte d’Appello si è discostata dalla nota specifica da lui depositata, senza fornire alcuna motivazione.

4.1. – Il ricorrente, infatti, pur dolendosi del mancato riconoscimento delle prestazioni indicate nella nota specifica asseritamente depositata ne giudizio dinanzi alla Corte d’Appello, si è astenuto dal riportarne il contenuto nel ricorso, limitandosi ad includervi alcune tabelle estratte dalla tariffa professionale, la cui trascrizione non appare sufficiente a consentire a questa Corte la necessaria verifica in ordine alla denunciata violazione, in mancanza di una specifica indicazione delle voci e degl’importi di cui si contesta l’omessa liquidazione (cfr. Cass. Sez. 3^, 19 aprile 2006, n. 9082: Cass., Sez. 1^, 16 marzo 2000, n. 3040).

5. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna M.F. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 1.200,00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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