Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21244 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. I, 14/10/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 14/10/2011), n.21244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.U., elettivamente domiciliato in Roma, alla piazza

Cavour. presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione,

unitamente all’avv. MARRA Alfonso Luigi, dal quale è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

p.t.. domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12 presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale è rappresentato e

difeso per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 18

giugno 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

settembre 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CESQUI Elisabetta, la quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 18 giugno 2008, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da V.U. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania. Sede di Napoli, promosso dall’istante nei confronti del Comune di Napoli per la liquidazione dell’indennità di funzione dovuta in relazione alle funzioni dirigenziali ricoperte.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato nell’anno 1997, non si era ancora concluso, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, e, tenuto conto dello stato di disagio causato dal ritardo nella definizione della controversia, in relazione al significato della vicenda giudiziaria nella vita sociale dell’interessato, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in complessivi Euro 7.030,00, pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, condannando il Ministero al pagamento della metà delle spese processuali e dichiarando compensato tra le parti il residuo.

2. – Avverso il predetto decreto il V. propone ricorso per cassazione, articolato in sette motivi. Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi tre motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e degli artt. 1 e 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione del danno non patrimoniale, la Corte d’Appello si è discostata dagli standards europei senza fornire un’adeguata motivazione.

1.1 – I motivi sono infondati.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750.00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009. n. 21840).

Tali criteri sono stati puntualmente rispettati dalla Corte d’Appello, la quale ha anzi riconosciuto all’istante, in relazione all’accertato ritardo di sette anni ed undici giorni nella definizione del giudizio presupposto, un indennizzo superiore, nell’importo unitario (Euro 1.000,00), a quello indicato dalla Corte EDU per i primi tre anni, in considerazione dello stato di disagio derivante dall’eccessiva durata della vicenda giudiziaria e del significato della stessa nella vita sociale dell’interessato.

Il ricorrente contesta tale valutazione, lamentando l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato, senza però spiegare i motivi per cui ritiene che nel ragionamento seguito dalla Corte d’Appello non sia rintracciabile il criterio logico che l’ha condotta alla formazione del proprio convincimento e che le ragioni poste a fondamento della decisione siano tali da elidersi a vicenda e da non consentire quindi l’individuazione della ratio decidendi. Ciò rende evidente che, sotto l’apparenza della denuncia di un vizio di motivazione, egli mira in realtà a sollecitare una revisione dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, non consentito in sede di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto compete la valutazione del danno, nei limiti segnati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 e dai parametri elaborati dalla Corte EDU. 2. – Sono parimenti infondati il quarto ed il quinto motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, rilevando che la Corte d’Appello ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 dovuto in relazione alla natura del giudizio presupposto, avente ad oggetto un credito retribuivo, senza fornire alcuna motivazione.

2.1. – L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali ed assistenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò implichi uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass., Sez. 1^, 3 dicembre 2009, n. 25446; 29 luglio 2009, n. 17684); dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (cfr. Cass., Sez. 1^, 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869).

3. – Sono infine infondati il sesto ed il settimo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’art. 6, par. 1. della CEDU e degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui nonostante l’accoglimento della domanda, ha dichiarato parzialmente compensate tra le parti le spese processuali, senza un’adeguata motivazione.

3.1. – Il giudizio in esame è stato instaurato in data successiva al 1 marzo 2006 ma precedente al 4 luglio 2009, e ad esso si applica pertanto l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), ed anteriore all’ulteriore modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, il quale, nel richiedere l’esplicita indicazione, nella motivazione, dei giusti motivi che, al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, giustificano la compensazione totale o parziale delle spese processuali, non impone l’adozione di motivazioni specificamente riferite a tale provvedimento, purchè le ragioni poste a fondamento dello stesso siano chiaramente e inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (cfr. Cass., Sez. 3^, 30 marzo 2010, n. 7766; Cass., Sez. lav.. 31 luglio 2009, n. 17868).

Nella specie, peraltro, tale operazione ricostruttiva non appare neppure necessaria, in quanto la scelta compiuta attraverso la parziale compensazione delle spese processuali è stata espressamente giustificata dalla Corte d’Appello evidenziando la natura della controversia e la complessa e non univoca elaborazione giurisprudenziale di cui sono state oggetto le questioni affrontate, il riferimento alle quali, traducendosi in una motivazione idonea a sorreggere la decisione ed immune da vizi logico-giuridici, si sottrae al sindacalo di questa Corte.

4. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna V.U. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 900,00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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