Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21243 del 20/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 20/10/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 20/10/2016), n.21243

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17348/2015 proposto da:

I.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEULADA 38/A,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MECHELLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO ACUNTO giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.V., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

PATRIZIA ALONGI, VITTORIO ALONGI giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1978/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 04/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato VINCENZO ACUNTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- G.V., già debitrice esecutata nel processo per esecuzione forzata per obblighi di fare intrapreso da I.V., proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Napoli – sezione distaccata di Ischia, depositata il 15 ottobre 2010. con la quale erano state rigettate le opposizioni agli atti esecutivi ed all’esecuzione introdotte dalla debitrice con ricorso depositato il 29 giugno 2009 ed iscritte al ruolo contenzioso col n. 315/09.

In grado d’appello si costituiva I.V., chiedendo che il gravame fosse dichiarato inammissibile.

1.2.- Con la sentenza qui impugnata, pubblicata il 4 maggio 2015, la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l’appello avverso le statuizioni concernenti l’opposizione agli atti esecutivi ed, in parziale accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non eseguibile nei confronti di G.V. la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 686/2004, condannando l’appellata a rifondere le spese dei due gradi di giudizio.

2.- Contro questa sentenza I.V. propone ricorso per cassazione basato su quattro motivi.

G.V. resiste con controricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio del definitivo completamento dell’esecuzione prima dell’incardinamento delle opposizioni in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – mera apparenza, contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione su altri punti decisivi della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La ricorrente sostiene che l’esecuzione per obblighi di fare si sarebbe conclusa in data (OMISSIS) (per come risulterebbe dalla comunicazione del consulente tecnico d’ufficio versata in atti nonchè dalla dichiarazione resa dal medesimo CTU all’udienza del 5/19 ottobre 2009) e quindi sarebbe stata inammissibile l’opposizione all’esecuzione proposta con ricorso depositato il 29 giugno 2009, perchè la chiusura dell’esecuzione rende improponibile qualsiasi opposizione all’esecuzione forzata (come da giurisprudenza richiamata in ricorso).

Ad “integrazione del motivo di ricorso”, la ricorrente deduce la nullità del procedimento seguito nel primo grado di giudizio per violazione degli artt. 615 e 616 c.p.c..

1.1.- Il motivo è inammissibile quanto a quest’ultima censura, sia perchè non trova alcuna corrispondenza nell’epigrafe, con palese violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, sia perchè introduce una questione che non risulta essere stata posta al giudice d’appello.

1.2.- Il motivo è inoltre infondato, dal momento che la conclusione del processo per obblighi di fare non può certo essere attestata dal consulente tecnico d’ufficio, come vorrebbe la ricorrente, essendo necessario quanto meno un verbale dell’ufficiale giudiziario che dia atto dell’avvenuta esecuzione degli obblighi, regolarmente trasmesso al giudice dell’esecuzione (cfr. Cass. n. 23182/14, secondo cui nel processo di esecuzione di obblighi di fare o di non fare, dal principio di irretrattabilità dei risultati del processo esecutivo discende la definitività della constatazione di chiusura della procedura esecutiva, contenuta nel verbale delle operazioni dell’ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all’ordinanza del giudice dell’esecuzione).

Il primo motivo va perciò rigettato.

2.- Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c., art. 2653 c.c., n. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio di essere stato messo in condizione di impugnare il titolo asseritamente inopponibile in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La ricorrente censura la sentenza perchè il giudice non ha tenuto conto del fatto che la sentenza costituente il titolo esecutivo, vale a dire la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 686/2004 del 23 febbraio 2004, munita di formula esecutiva e non passata ancora in giudicato, era stata notificata in uno con il precetto in data 22 dicembre 2004 anche a G.V., la quale, pur potendola impugnare come successore ai sensi dell’art. 111 c.p.c., non vi aveva provveduto. Pertanto, a detta della ricorrente, l’esecutata non avrebbe potuto contestare – così come ha fatto col ricorso in opposizione – l’inopponibilità nei suoi confronti del giudicato formatosi su quella sentenza.

2.1.- Il motivo pone una questione che non è stata affrontata nella sentenza impugnata e che non risulta essere stata posta nei precedenti gradi di giudizio.

Esso è perciò inammissibile in base al principio di diritto per il quale ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 20518/08).

3.- Col terzo motivo si deduce “motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile sul punto decisivo della controversia dell’inequivoca volontà della esecutata di rinunciare a far valere l’inopponibilità del titolo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La ricorrente sostiene di avere evidenziato sin dal primo grado del giudizio due comportamenti della G. dei quali la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto:

l’esecutata aveva già proposto una prima opposizione all’esecuzione basata sugli stessi motivi, che non aveva coltivato, tanto che il procedimento era stato dichiarato estinto;

una volta ripresa l’esecuzione, l’esecutata aveva dichiarato di voler eseguire e di fatto aveva eseguito, sia pure in parte, la sentenza costituente titolo esecutivo.

La Corte territoriale avrebbe errato, secondo la ricorrente, perchè non avrebbe tenuto conto del precedente giudicato formatosi sull’opposizione all’esecuzione e perchè ha escluso che il secondo dei due comportamenti dell’esecutata costituisse acquiescenza, con motivazione affetta da vizi logici e/o giuridici.

3.1.- Il motivo è infondato quanto all’assunto basato sull’esistenza di precedente giudicato, poichè la dichiarazione di estinzione del giudizio non è certo idonea ad acquistare autorità di giudicato sul merito delle questioni oggetto della controversia, nè può precluderne la riproposizione in diverso giudizio.

3.2.- Il motivo è inammissibile quanto alla mancata considerazione da parte del giudice d’appello dell’asserita acquiescenza prestata dalla G. all’attività esecutiva di controparte. La sentenza prende in esame la questione con motivazione congrua. Per di più, la censura di vizio di motivazione, così come formulata in ricorso, non tiene conto della sostituzione del testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, operata con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

A norma dell’art. 54, comma 3, del medesimo decreto, questa disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del predetto decreto (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11 agosto 2012): quindi si applica alla sentenza impugnata, che è stata pubblicata il 4 maggio 2015. La ricorrente avrebbe potuto denunziare soltanto l’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, come previsto dal testo della norma applicabile ratione temporis, ovvero la mancanza assoluta di motivazione, senza che rilevi l’insufficienza di questa nè la mancata od incompleta considerazione di elementi di prova (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14).

Poichè la motivazione non è mancante nè apparente e l’iter logico giuridico seguito dal giudice per pervenire alle conclusioni di cui sopra è manifestamente espresso in sentenza, si conclude nel senso dell’inammissibilità della censura.

4.- Col quarto motivo si deduce violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in ordine al regolamento delle spese in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo non merita di essere accolto, atteso il rigetto dei motivi di ricorso, che rende la sentenza corretta anche quanto alla regolamentazione del regime delle spese secondo il criterio della soccombenza.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le alterne vicende del processo esecutivo, imputabili anche alla condotta, non sempre coerente, della parte esecutata, rendono di giustizia la compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità. Queste vanno compensate per giusti motivi, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis, che, considerata l’epoca di insaturazione del giudizio (con ricorso del 29 giugno 2009) è quello precedente le modifiche apportate con la L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11 (vigente per i giudizi instaurati a decorrere dal 4 luglio 2009) e con leggi successive.

Le ragioni di compensazione delle spese rendono irrilevante la questione posta con la memoria di parte ricorrente concernente l’ammissibilità del controricorso.

Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa interamente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2016

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