Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21241 del 23/07/2021

Cassazione civile sez. I, 23/07/2021, (ud. 26/03/2021, dep. 23/07/2021), n.21241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5346/2017 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Bruno

Buozzi n. 19, presso lo studio dell’avvocato Polano Paola,

rappresentata e difesa dall’avvocato Pinna Giovanni Battista, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Luigi Capuana

207 presso lo studio dell’avvocato Bacci Mario, rappresentato e

difeso dall’avvocato Sotgia Elisabetta, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e sul ricorso successivo:

S.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Luigi Capuana

207 presso lo studio dell’avvocato Bacci Mario, rappresentato e

difeso dall’avvocato Sotgia Elisabetta, giusta procura in calce al

controricorso;

– ricorrente –

contro

C.G.L., C.P., elettivamente

domiciliati in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 19, presso lo studio

dell’avvocato Polano Paola, rappresentati e difesi dall’avvocato

Pinna Giovanni Battista, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

T.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 425/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI –

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 01/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/03/2021 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 1342 del 2012 il Tribunale di Sassari respinse la domanda di risarcimento del danno, proposta ex art. 2476 c.c. da T.G. (socio al 26% e già amministratore) e S.S. (socio al 27% e già amministratore) contro gli amministratori C. e C.G.L., la prima quale a.d., nonché contro l’amministratore di fatto C.P., in relazione a fatti di mala gestio, consistenti nell’avere essi, con il proprio comportamento, cagionato, fra l’altro, la revoca del finanziamento concesso per la realizzazione di uno stabilimento industriale, destinato alla fabbricazione di c.d. leganti idraulici, da Sviluppo Italia s.p.a. alla società amministrata Sarda Leganti s.r.l., che in primo grado partecipò al giudizio in persona del curatore speciale, all’uopo nominato.

Sull’appello proposto da T.G. e S.S., con sentenza del 1 settembre 2016 la Corte d’appello di Cagliari, in parziale riforma della prima decisione, ha condannato la sola C.C. al risarcimento del danno in favore della Sarda Leganti s.r.l., nella misura di Euro 1.031.309,00, oltre rivalutazione ed interessi sulla somma anno per anno rivalutata dal 6 dicembre 2007. La società, del pari, partecipò al giudizio di secondo grado a mezzo del suo curatore speciale.

Avverso questa decisione viene proposto ricorso per cassazione dalla soccombente, sulla base di quattro motivi.

Propone, altresì, ricorso (da reputare incidentale) per due motivi S.S. contro G.L. e C.P., i quali si difendono con controricorso.

C.C. ha anche depositato la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi del ricorso principale di C.C. deducono:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2392 c.c., avendo la corte territoriale sconfinato nel sindacato sul merito della scelta gestoria di concludere il contratto con la Cogecki s.r.l., senza valutare la diligenza dell’amministratrice nel valutare i margini di rischio connessi all’operazione;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 c.c., avendo la corte territoriale ritenuto che l’amministratrice abbia agito in conflitto di interessi con la società, quando invece questo richiede un rapporto di incompatibilità dei rispettivi interessi, che la corte del merito non ha illustrato compiutamente, anche perché ha escluso la situazione con riguardo ad altra società del gruppo C., la Nuova Scac s.r.l., senza spiegare quale fosse la ragione della diversa conclusione;

3) omesso esame di fatto decisivo, ossia l’affidamento dei lavori alla Cogecki s.r.l. nell’accordo di tutti e quattro i soci della Sarda Leganti s.r.l., affidamento deciso perché, quale società legata ai signori C., si ebbero condizioni migliori dalla Cogecki s.r.l. rispetto a quelle reperibili sul mercato, posto che tale controparte non pretese anticipi, né garanzie reali per il pagamento del corrispettivo, a differenza degli altri costruttori; mentre le parti si erano rivolte ad essa, appunto in quanto operante nel settore del calcestruzzo, al fine di affidarle la realizzazione del capannone;

4) violazione dell’art. 1223 c.c., in quanto la corte territoriale non ha chiarito come avrebbe potuto l’A.U. concludere un contratto di appalto per la costruzione di un capannone in ferro, dato che la società non era sufficientemente capitalizzata e non vi era tempo a disposizione per la realizzazione di una simile opera: non è detto che, in soli sette mesi, si sarebbe trovata un’impresa idonea alla costruzione di un capannone in ferro, senza acconti e senza garanzie a rafforzamento dell’obbligo di pagamento del corrispettivo; mentre la ricorrente, nel corso del giudizio di appello, ha dedotto e provato che nessun “fornitore” era disponibile a costruire il capannone senza il pagamento di un acconto.

2. – Con il proprio ricorso incidentale, S.S. deduce:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2476 c.c., avendo la corte territoriale esposto una motivazione contraddittoria, affermando dapprima che C.G.L. rese dichiarazioni inveritiere in assemblea, così impedendo ai soci di adottare opportune decisioni per evitare la revoca del finanziamento, e, poi, che non è provato l’apporto causale del medesimo al danno: senza considerare che egli aveva, in sede di consiglio di amministrazione, artatamente ingenerato negli altri amministratori l’idea che i rapporti con l’ente finanziatore stessero procedendo bene; ed egli era intervenuto in assemblea in nome e per conto della sorella, amministratrice delegata, la quale aveva invece taciuto; in tal modo, C.G.L. non ha provato di essere esente da colpa, ai sensi dell’art. 2476 c.c., comma 1;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto C.P. era l’amministratore di fatto, come i testimoni avrebbero potuto chiarire, onde egli non avrebbe potuto essere mandato esente da responsabilità: non ammettendo la prova testimoniale la corte territoriale, come quello di primo grado, hanno violato le norme predette.

3. – La sentenza impugnata, per quanto ancora rileva, ha ampiamente ricostruito in fatto le vicende societarie, ricordando come i fratelli C. abbiano acquistato le quote sociali nel mese di settembre 2006 e che il progetto industriale approvato da Sviluppo Italia s.p.a. era già in corso, dovendo concludersi entro il mese di dicembre 2007. Per tale progetto, la società aveva ricevuto un contributo in conto gestione di Euro 100.000,00 ed un contributo in conto capitale di Euro 1.031.309,00.

Ha aggiunto, ancora in punto di fatto, come i fratelli C., entrando in società, grazie al loro apporto finanziario abbiano permesso l’acquisto dell’area deputata alla costruzione dello stabilimento industriale e l’ottenimento delle relative autorizzazioni; il progetto approvato prevedeva, inoltre, la realizzazione della struttura in metallo.

Tuttavia, l’amministratore delegato C.C. decise di realizzare una struttura in calcestruzzo, con un maggior volume: ciò comportò un allungamento dei tempi ed un aumento dei costi, in modo che il programma non venne realizzato come previsto, tanto che con lettere del 19 novembre 2007 e 11 marzo 2008 l’ente finanziatore contestò il mancato rispetto dei tempi e comunicò la revoca delle agevolazioni.

La c.t.u., espletata in primo grado, ha accertato come il mutamento del sistema costruttivo e l’aumento volumetrico implicò “lo stravolgimento del progetto originario, unitamente all’incremento dell’importo dei lavori, pari al 54% circa”: onde l’obiettivo imposto, concernente la rendicontazione entro il 6 dicembre 2007 dello stato finale dei lavori a Sviluppo Italia s.p.a., fu “pregiudicato irrimediabilmente” (così p. 12 sentenza impugnata).

In particolare, le opere realizzate erano difformi dalla concessione edilizia, atteso l’aumento di volume pari al 35%; il sistema costruttivo era differente dal dichiarato; il costo superava i limiti imposti nel contratto di finanziamento con la Sviluppo Italia s.p.a., in quanto per le sole opere murarie era previsto, in favore della appaltatrice Colecki s.r.l., un corrispettivo di Euro 1.226.681,50, superiore allo stesso limite finanziato.

Ha osservato, pertanto, la corte territoriale che tali alterazioni del progetto non sono state affatto giustificate dai convenuti, limitandosi questi ad affermare il consenso di tutti i soci, senza però provarlo: anzi, risulta che i soci furono tenuti all’oscuro di una parte della vicenda, onde non avevano motivo di dubitare del buon andamento dei lavori.

Del resto, il c.t.u. ha rilevato come, con opportune lavorazioni a ranghi serrati, rispettando la realizzazione della struttura in acciaio come da progetto e sovrapponendo le varie lavorazioni, il termine avrebbe potuto essere rispettato ed il finanziamento non revocato.

Ha concluso, pertanto, ancora in punto di fatto, che la condotta di mala gestio della sola amministratrice delegata C.C., per avere essa permesso la modificazione del progetto e l’aumento dei relativi costi, ha cagionato la perdita del finanziamento. Ne’ rileva che l’apporto finanziario della famiglia C., entrando in società, abbia permesso di migliorarne la situazione economica, posto che l’ingresso in società risulta piuttosto finalizzato a perseguire l’esclusivo interesse patrimoniale delle società di famiglia incaricate della costruzione dell’opera (che, anche per la parte realizzata, è stata reputata dal c.t.u. non a regola d’arte).

Dunque, la conclusione, da parte dell’amministratrice delegata, del contratto con la Cogecki s.r.l., società di riferimento del gruppo C., a prezzi ingenti e per nuove opere, pur nella consapevolezza della incoerenza con il concesso finanziamento pubblico, costituisce atto di mala gestio, in quanto preordinato a favorire il medesimo gruppo e non la società amministrata, laddove la medesima avrebbe dovuto adoperarsi per la diligente esecuzione del progetto industriale, unico obiettivo dell’impresa sociale.

Infine, la corte territoriale ha escluso che sussista la prova del concorso causale al danno cagionato alla società da parte dell’altro amministratore, C.G.L., e del preteso amministratore di fatto C.P., non essendovi affatto prova di tale qualità; mentre la prova testimoniale, articolata dagli attori in primo grado al riguardo, è generica e verte su circostanze inidonee a provarne l’ingerenza negli affari sociali.

4. – Va pregiudizialmente rilevato come la società Sarda Leganti s.r.l. – che ha partecipato sia al primo, sia al secondo grado del giudizio, in persona del curatore speciale – non sia stata intimata in sede di legittimità né dalla ricorrente principale, né dal ricorrente incidentale. Tale situazione avrebbe implicato, pertanto, la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio.

Peraltro, con la propria memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., la ricorrente ha reso noto che la società è stata cancellata dal registro delle imprese il 26 maggio 2020 dal giudice del registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2490 c.c., u.c., e che il reclamo avverso il medesimo è stato respinto con decreto del Tribunale di Sassari del 4 febbraio 2021.

Com’e’ noto, l’azione di cui all’art. 2476 c.c. mira alla condanna al risarcimento del danno in favore della società, in esito all’azione di responsabilità contro l’amministratore proposta dal socio; con essa, concorre la legittimazione diretta della società stessa, trattandosi di danni cagionati al suo patrimonio, sebbene non espressamente menzionata dalla disposizione, ma come desumibile in base ai principi generali, nonché alla sussistenza di obblighi in capo all’amministratore posti, anzitutto, in favore della società dall’art. 2476 c.c., comma 1.

Nella specie, la società è stata cancellata dal registro delle imprese d’ufficio, ai sensi dell’art. 2490 c.c., per il mancato deposito dei bilanci.

Ne deriva che l’avvenuta cancellazione rende ormai i soci uniche parti del presente giudizio di cassazione, sia in proprio, sia quali successori a titolo universale della società (cfr. Cass. 31 dicembre 2020, n. 30075; Cass. 22 maggio 2020, n. 9464), verificandosi la successione dei soci nei crediti sociali, ivi compreso il diritto al risarcimento del danno ex art. 2476 c.c., azionato nel presente giudizio.

Ne’, giova precisare – ferma l’estinzione a norma dell’art. 2495 c.c. – il credito controverso, esistente al momento della cancellazione, potrebbe ritenersi automaticamente rinunciato, dal momento che la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, mentre la non sopravvivenza delle “mere pretese” è l’eccezione (ancora Cass. 22 maggio 2020, n. 9464): né questa potrebbe comunque ricavarsi da una cancellazione non volontaria, ma ex officio, come quella nella specie disposta.

5. – Ciò posto, tutti i motivi proposti nel ricorso principale sono inammissibili, in quanto essi – ora sotto l’egida del vizio di violazione di legge, ora sotto quello dell’omesso esame di fatto decisivo mirano palesemente a riproporre un accertamento di fatto, inammissibile in questa sede.

Tale è il primo motivo, che – a parte il richiamo ad una norma di legge che non pertiene alle s.r.l. – vorrebbe la rivalutazione della liceità o no: di una scelta gestoria; tale pure il secondo motivo, laddove si chiede di ritornare sulla valutazione di fatto relativa alla sussistenza di un conflitto di interessi tra quello sociale e quello del cd. gruppo C..

Del pari, il terzo motivo denunzia un insussistente omesso esame, al contrario avendo la sentenza impugnata ampiamente valutato le circostanze dedotte dalle parti, epperò disatteso le loro prospettazioni in fatto e le loro tesi in diritto.

Il quarto motivo, infine, pretende di censurare una violazione dell’art. 1223 c.c., senza, tuttavia, articolare nessuna censura iscrivibile nel vizio di errata interpretazione o applicazione di tale disposizione, esaurendosi piuttosto nel tentativo di ottenere da questa Corte una diversa ricostruzione o valutazione dei fatti.

Onde, con i predetti motivi, la ricorrente trascura di considerare che tali circostanze sono state l’oggetto di un apprezzamento discrezionale delle risultanze probatorie introdotte da entrambe le parti in giudizio: il quale costituisce, però, materia ineliminabile della valutazione dei fatti, riservata al giudizio insindacabile del giudice del merito.

I motivi in questione, dunque, mirano a dare una diversa versione dei fatti, a sé favorevole, rispetto alla ricostruzione probatoria sulla quale è basata la sentenza impugnata, prospettando un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti.

Ma tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice, non potendo il motivo di ricorso per cassazione invece risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

6. – Non miglior sorte merita il ricorso incidentale di S.S., il quale ripropone del pari la valutazione del fatto, in entrambi i motivi formulati che, per quanto appena esposto, sono del pari da dichiarare inammissibili.

Quanto, in particolare, al secondo motivo, esso è altresì inammissibile per difetto di autosufficienza, posto che, nel censurare la mancata ammissione della prova testimoniale, omette in toto di riprodurre i capitoli, nonché, ulteriormente, di contrastare la valutazione di genericità ed irrilevanza esposta dalla sentenza impugnata.

7. – Le spese seguono la soccombenza di C.C. nei confronti di S.S., e di S.S. verso G.L. e C.P..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

Condanna C.C. al pagamento, in favore di S.S., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Condanna S.S. al pagamento, in favore solidale di C.G.L. e C.P., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021

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Cassazione civile , sez. I , 23/07/2021 , n. 21241

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