Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21240 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. I, 14/10/2011, (ud. 20/07/2011, dep. 14/10/2011), n.21240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COSTRUZIONI SIINO S.R.L. (C.F. (OMISSIS)), in persona

dell’Amministratore Unico pro tempore (anche nella qualità di

Amministratore giudiziario dei beni confiscati a Si.An.),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G. BELLI 27, presso

l’avvocato GENTILE GIAN MICHELE, rappresentata e difesa dall’avvocato

CAPPELLANO SEMINARA GAETANO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO GE.CO.EN. S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), in persona del

Curatore Avv. A.M., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA TACITO 74, presso l’avvocato PERSICO MARIA TERESA, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3363/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del marzo 2001^ il Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta dalla s.r.l. Costruzioni Siino in amministrazione giudiziaria, in persona dell’Amministratore giudiziario A. S. nominato dal Tribunale di Palermo ai sensi delle disposizioni della L. n. 575 del 1965 e successive modifiche, per l’ammissione al passivo del fallimento della s.p.a. Ge.Co.En. di un credito di L. 867.651.247. Interponeva appello la società, insistendo nella domanda di ammissione. La Curatela del fallimento si costituiva in giudizio, contestando il gravame e, preliminarmente, rilevando la carenza di legittimazione processuale dello S. per mancata integrazione dei suoi poteri da parte dell’organo competente ad autorizzare la instaurazione della causa, cioè dell’Agenzia del Demanio di Palermo. La Corte, assegnato alla parte appellante termine per produrre documentazione attestante la propria legittimazione, e rimessa successivamente la causa in decisione, dichiarava inammissibile l’appello, per difetto di prova della autorizzazione suddetta a norma della L. n. 575 del 1965, artt. 2 septies e 2 nonies. Avverso tale sentenza, resa pubblica il 19 luglio 2004, la s.r.l. Costruzioni Siino s.r.l., in persona del medesimo S. nella duplice qualità di Amministratore Unico e Amministratore Giudiziario, ha, con atto notificato il 15 luglio 2005, proposto ricorso a questa Corte formulando unico motivo.

Resiste il Fallimento Ge.Co.En. s.p.a. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La società ricorrente denuncia la falsa applicazione alla fattispecie in esame della normativa posta dalla L. n. 575 del 1965, artt. 2 septies e 2 nonies. Sostiene che l’appello era stato proposto dalla società per la tutela di un proprio diritto e di una propria posizione giuridica e non dall’Amministratore Giudiziario per la tutela di un bene affidato alla sua custodia e gestione, anche se lo S. aveva ad abundantiam esternato anche la qualità rivestita di Amministratore Giudiziario; e che i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione spettanti all’amministratore unico a norma degli artt. 2475 e 2475 bis cod. civ. non possono nella specie considerarsi limitati dal provvedimento di confisca disposto dal Tribunale di Palermo, avente ad oggetto esclusivamente la partecipazione sociale nella società spettante alla persona fisica soggetta alla misura di prevenzione, Si.An..

Quest’ultimo assunto, specificamente e motivatamente contestato dal Fallimento Ge.Co.En. nel proprio controricorso, deve essere verificato – attenendo il vizio denunciato ad un error in procedendo in sede di verifica della legittimazione processuale – mediante l’esame dei documenti in atti. E, in effetti, dal verbale della assemblea ordinaria della Costruzioni Siino s.r.l. tenutasi in data 25 maggio 2000 risulta, attraverso la dettagliata informativa resa all’assemblea dal presidente, che la confisca, disposta dal Tribunale di Palermo con decreto del 18 luglio 1994 e dalla Corte d’appello di Palermo con decreto del 1 giugno 1999, ha avuto ad oggetto non solo la quota (pari al 98,99%) del capitale sociale della Costruzioni Siino s.r.l. della quale era titolare Si.Gi., ma anche, ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 3 quinquies del patrimonio della società stessa, comprensivo dei beni immobili e mobili di sua pertinenza, tra i quali deve evidentemente considerarsi il diritto di credito azionato con l’istanza qui controversa di ammissione al passivo fallimentare, diritto qualificabile bene mobile alla stregua del disposto dell’art. 812 c.p.c., comma 3.

Risulta quindi erroneo il presupposto sul quale si fonda il ricorso:

a seguito del suddetto provvedimento ablativo, la custodia, conservazione ed amministrazione dei beni facenti parte del patrimonio sociale della Siino Costruzioni s.r.l. competono all’amministratore giudiziario. Il quale, a prescindere evidentemente dalla circostanza che egli nella specie ricopre anche il ruolo di amministratore unico della società stessa, deve svolgere la funzione pubblica attribuitagli secondo la disciplina dettata al riguardo dalla L. n. 575 del 1965 e successive modifiche. Egli dunque, a norma dell’art. 2 septies della stessa legge (introdotto con D.L. n. 230 del 1989), non può “stare in giudizio”, in una controversia riguardante un bene confiscato, senza l’autorizzazione dell’organo cui la legge (art. 2 nonies, introdotto dalla L. n. 109 del 1996) attribuisce il controllo sullo svolgimento delle funzioni proprie dell’amministratore stesso. Autorizzazione che la corte di merito ha accertato non essere stata prodotta in giudizio, senza ricevere sul punto specifica censura.

Il rigetto del ricorso ne deriva dunque di necessità, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, che determina in Euro 5.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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