Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21240 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. II, 09/08/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 09/08/2019), n.21240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4105-2015 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA

PINCIANA 6, presso lo studio dell’avvocato GUIDO PARLATO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE APRILE, rappresentato e difeso dall’avvocato

PROSPERO PIZZOLLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2789/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/03/2019 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO, che ha concluso per la parziale inammissibilità e

per il rigetto per i restanti motivi del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Napoli accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo proposto da P.C. nei confronti del (OMISSIS), che aveva chiesto e ottenuto, nei confronti del condomino, l’ingiunzione per il pagamento di oneri condominiali per i lavori di cui alla Delib. 6 settembre 2006.

Il tribunale, in particolare, riteneva che la Delib. 6 settembre 2006, fosse stata modificata dalla successiva Delib. 28 settembre 2006, che aveva ridotto il debito a carico dell’opponente.

In forza della sentenza il P. intimava al Condominio precetto per la restituzione di quanto ricevuto a seguito della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo concessa in corso di causa.

Il Condominio di (OMISSIS) proponeva opposizione al precetto, che il tribunale rigettava.

Le due sentenze del tribunale erano impugnate dal Condominio davanti alla Corte d’appello di Napoli.

Instauratosi il contraddittorio la corte, disposta la riunione delle impugnazioni, le accoglieva in forza dei seguenti rilievi.

Essa osservava che la deduzione circa l’avvenuta modifica della Delib. 6 settembre 2006, posta a fondamento dell’ingiunzione, era stata inammissibilmente introdotta dopo la scadenza dei termini ex art. 183 c.p.c., comma 6.

In ogni caso, secondo la corte, la delibera non provava la riduzione del credito.

In relazione agli originari motivi di opposizione al decreto ingiuntivo, proposti come motivi di appello, la corte di merito osservava: a) che la pendenza del giudizio di impugnativa della Delib. posta a fondamento della pretesa del condominio non interferiva con la causa di opposizione al decreto ingiuntivo, richiesto e ottenuto in forza della stessa Delib.; b) che la mancata approvazione del riparto non autorizzava il giudice dell’opposizione a dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo, dovendosi riconoscere la facoltà dell’ingiungente di dare la prova la prova del nel giudizio ordinario di opposizione; c) che il condomino non aveva formulato contestazioni in ordine all’esattezza del riparto della spesa deliberata e ciò consentiva di ritenere che il riparto fosse stato correttamente eseguito.

La corte accoglieva inoltre l’appello del Condominio nella causa di opposizione a precetto argomentano in base al venir meno del titolo esecutivo in forza del quale era stata prospettata l’esecuzione.

Condannava perciò in P. alla restituzione di quanto ricevuto a seguito della notificazione del precetto, oltre al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio, compensando per un terzo quelle relative alla causa di opposizione al precetto.

Contro la sentenza il P. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi, cui il Condominio ha resistito con controricorso.

Gli altri intimati cui è stato notificato il ricorso sono rimasti tali.

Le parti costituite hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, e dell’art. 1137 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la deduzione, operata nel giudizio di primo grado, della parziale estinzione del credito per effetto della Delib. 28 settembre 2006, che aveva parzialmente revocato la Delib. 6 settembre 2006, posta a fondamento della pretesa.

Tale produzione era invece pienamente ammissibile, in quanto diretta a provare un fatto che aveva determinato la cessazione della materia del contendere.

Il motivo è inammissibile.

La corte di merito non si è posta il problema dell’ammissibilità della produzione documentale, riconoscendo anzi che il documento si era formato dopo la scadenza del termine ex art. 183 c.p.c., comma 6.

Essa ha fatto una considerazione diversa, e cioè che il tribunale avrebbe dovuto negare la rilevanza della Delib. 28 settembre 2006, in quanto “esibita per documentare una circostanza non più allegata e non più deducibile”.

Tale considerazione esaurisce la ratio decidendi su questo aspetto. Essa è impugnata con il secondo motivo.

2. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 183, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La deduzione circa l’avvenuta estinzione del credito era ammissibile, perchè con essa non si modificava l’ambito della decisione. La domanda rimaneva pur sempre diretta a ottenere la revoca del decreto ingiuntivo a causa della inesistenza del credito.

Il terzo motivo, coordinato con il precedente, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.

Era onere del condominio, attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, fornire la prova del credito.

Ciò avrebbe comportato l’onere del Condominio di provare la perdurante efficacia della Delib. 6 novembre 2006, la inesistenza di impedimenti processuali connessi al giudizio di impugnazione della predetta Delib. ancora pendente dinanzi al tribunale di Napoli, oltre alla sussistenza dell’approvazione dello stato di riparto delle spese deliberate.

2.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo tale sindacato riservato al giudice davanti al quale dette delibere sono state impugnate (Cass. n. 4672/2017; n. 26629/2009).

Consegue da ciò che, dovendosi identificare nella Delib. 6 novembre 2006 il fatto giustificativo del credito, la Delib. 28 settembre 2006, con la quale la prima sarebbe stata modificata, si atteggiava a fatto estintivo o modificativo della pretesa, che l’opponente avrebbe dovuto dedurre entro il termine di preclusione previsto per le attività di parte (Cass. n. 14581/2007).

Ad ogni modo si deve aggiungere che la corte di merito ha esaminato il contenuto del documento, ritenendo che esso o non fornisse prova della riduzione del credito, così rigettando l’eccezione dell’opponente.

Ebbene in tale decisione non è ravvisabile alcuna violazione del criterio di riparto dell’onere della prova. Non gravava sul Condominio l’onere di provare la perdurante efficacia della Delib. condominiale posta a fondamento della domanda, essendo piuttosto onere del condomino provare il fatto contrario, proprio in conformità al principio posto dall’art. 2697 c.c.

2.2. A maggior ragione nessuna violazione della norma è ravvisabili in ordine agli ulteriori profili di censura proposti con il motivo in esame, che non colgono neanche appieno la ratio decidendi.

La contemporanea pendenza della causa di impugnativa della Delib. 6 settembre 2006, non poneva un problema di onere della prova del credito, ma semmai di interferenza fra tale giudizio e la causa di opposizione a decreto ingiuntivo concesso sulla base della Delib. impugnata.

La corte ha escluso che vi fosse tale interferenza e la relativa statuizione, che non ha costituito oggetto di censura, è in linea con la giurisprudenza di questa Corte: “Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, non assume rilevanza l’avvenuta impugnazione, in separato giudizio, della deliberazione assembleare posta a fondamento della domanda monitoria, atteso che il giudice dell’opposizione deve limitarsi a verificarne la perdurante esistenza ed efficacia, senza poterne sindacare, incidentalmente, la validità, dovendo accogliere l’opposizione solo quando la Delib. condominiale abbia perduto la sua efficacia per esserne stata sospesa l’esecuzione dal giudice dell’impugnazione o per essere stata da questi annullata con sentenza anche non passata in giudicato” (Cass. n. 7741/2017; n. 19938/2012).

Analoga considerazione deve farsi in ordine a quanto rilevato dalla corte napoletana in ordine alla mancata approvazione dello stato di riparto.

Essa ha ritenuto che la circostanza non potesse comportare, di per sè, la definizione del giudizio in senso favorevole per l’opponente, rimanendo comunque aperta la possibilità del creditore di fornire la prova del credito nel giudizio di opposizione.

Il rilievo è giuridicamente corretto.

“In tema di riscossione degli oneri condominiali, non costituisce motivo di revoca dell’ingiunzione, ottenuta sulla base della delibera di approvazione di una spesa, la mancata approvazione del relativo stato di riparto, atteso che le spese deliberate dall’assemblea si ripartiscono tra i condomini secondo le tabelle millesimali, ai sensi dell’art. 1123 c.c., cosicchè ricorrono le condizioni di liquidità ed esigibilità del credito che consentono al condominio di richiederne il pagamento con procedura monitoria nei confronti del singolo condomino” (Cass. n. 4672/2017).

In ordine al quantum della pretesa, la corte di merito ha ritenuto che l’opponente avesse proposto una esclusivamente obiezione formale, senza contestare l’esattezza del riparto.

Secondo il ricorrente tale illazione della corte non è giustificata, ma in proposito la relativa censura non soddisfa il requisito di specificità imposto a colui che intenda sollevare in cassazione l’erronea applicazione del principio di non contestazione.

Si precisa che, in tal caso, il ricorrente “non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova” (Cass. n. 20637/2016).

L’attuale ricorrente P. ha invece denunciato il supposto errore dei giudici in termini generici e senza neanche chiarire in che cosa sia consistito l’errore del giudice nell’intendere le deduzioni di parte.

3. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1123 c.c.

Il motivo propone le seguenti censure.

La Delib. assembleare che non contenga il riparto della spesa deve ritenersi nulla, perchè impedisce la verifica del credito.

Ciò, nel caso in esame, appariva tanto più vero, perchè la spesa non riguardava tutti i condomini, in guisa che a maggior ragione si richiedeva che fosse stabilito il criterio di riparto, non essendosi la corte di merito avveduta che il condominio era composta di due autonomi fabbricati, di cui uno solo si sarebbe servito dei lavori.

Si rimprovera inoltre alla corte di non avere tenuto conto di una memoria depositata in primo grado con la quale l’attuale ricorrente aveva richiesto che la ripartizione avvenisse nel rispetto dell’art. 1123 c.c.

3.1. La prima censura riprende argomenti già compiutamente esaminati e disattesi nell’esame del precedente motivo.

E’ stato già chiarito che il rilievo della sentenza, secondo cui la mancata approvazione del piano di riparto non comportava l’infondatezza della pretesa del Condominio, nè gli impediva di fornire diversamente la prova del credito e della esattezza del riparto attuato con la Delib. 6 settembre 2006, è immune da censure.

3.2. Analogamente è stato già confutata la censura circa l’aspetto riguardante la mancanza di contestazioni.

La seconda censura (quella relativa alla violazione dell’art. 1123 c.c.) attiene a un aspetto nient’affatto considerato nella sentenza, il che imponeva al ricorrente di precisare se e in che termini la questione fosse stata sottoposta all’attenzione della corte di merito.

Il ricorrente non ha adempiuto a tale onere, conseguendone da ciò l’inammissibilità della censura, in base al principio secondo cui “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appe101o, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (Cass. n. 20694/2018; n. 15430/2018).

3.3. Lo stesso dicasi per la terza censura.

Si lamenta la mancata considerazione di una memoria depositata in primo grado, ma ancora una volta non si precisa se la relativa deduzione fu sottoposta al giudice d’appello.

4. L’ultimo motivo denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c.

La corte di merito ha accolto l’opposizione a precetto del condominio in base al semplice rilievo della caducazione della sentenza costituente il titolo esecutivo in base alla quale il P. aveva inteso ripetere le somma pagate a seguito della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, non in relazione a una positiva valutazione delle ragioni di opposizioni proposte contro il precetto.

Con il motivo in esame il ricorrente si duole inoltre perchè la corte d’appello ha emesso una condanna eccessiva in rapporto al valore della causa, in violazione del D.M. n. 55 del 2014.

4.1. Il primo profilo di censura è infondato. Nonostante qualche oscillazione nella recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 30857/2018; n. 31955/2018), deve confermarsi il principio che l’esecuzione diviene ingiusta, se, durante lo svolgimento del processo esecutivo, venga cassata la sentenza posta in esecuzione. La sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo – che può essere rilevata anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo – importa l’accoglimento dell’opposizione alla esecuzione (Cass. n. 28/1970; n. 1245/1973).

Ed invero “l’accertamento dell’idoneità del titolo a legittimare l’azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione. Pertanto, dichiarata cessata la materia del contendere per effetto del preliminare rilievo dell’avvenuta caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione, per qualunque motivo sia stata proposta, l’opposizione deve ritenersi fondata, e in tale situazione il giudice dell’opposizione non può, in violazione del principio di soccombenza, condannare l’opponente al pagamento delle spese processuali, sulla base della disamina dei motivi proposti, risultando detti motivi assorbiti dal rilievo dell’avvenuta caducazione del titolo con conseguente illegittimità ex tunc dell’esecuzione” (Cass. 3977/2012; n. 20868/2018).

4.2. Il secondo profilo di censura cui al motivo in esame è inammissibile.

In sede di ricorso per cassazione, la determinazione, del giudice di merito, relativa alla liquidazione delle spese processuali può essere censurata solo attraverso la specificazione delle voci in ordine alle quali lo stesso giudice sarebbe incorso in errore, sicchè è generico il mero riferimento a prestazioni, che sarebbero state riconosciute in violazione della tariffa massima, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto liquidate dal giudice, con derivante inammissibilità dell’inerente motivo (Cass. n. 10409/2016; n. 20904/2005).

In contrasto con tale insegnamenti il ricorrente ha formulato una contestazione del tutto generica, mediante indicazione degli importi globali e senza in alcun modo argomentare analiticamente sulla violazione in cui sarebbe incorsa la sentenza. L’errore si dovrebbe evincere “dalla mera consultazione del medesimo D.M. n. 55 del 2014”.

5. In conclusione il ricorso è rigettato con addebito di spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti per versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.700,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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