Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2124 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. I, 30/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 30/01/2020), n.2124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34690/2018 proposto da:

S.I., elettivamente domiciliato in Roma Via Giuseppe Marcora

18/20 presso lo studio dell’avvocato Guido Faggiani e rappresentato

e difeso dall’avvocato Roberto Dalla Bona in forza di procura

speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione

Internazionale Milano;

– intimato –

e contro

Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 08/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 depositato il 27/10/2017 S.I., cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Milano – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, nato in (OMISSIS) a (OMISSIS), di religione (OMISSIS) e di etnia (OMISSIS), aveva riferito di aver fatto l’agricoltore per i terreni del capo villaggio; che il padre e il fratello maggiore vivevano ancora in (OMISSIS), mentre la madre e la sorella erano morte; che il padre si era risposato; di essere stato fidanzato sin dall’età di 9 anni, con una ragazza che era incinta ma di non sapere se ella avesse partorito; di aver lasciato il (OMISSIS) nell’ottobre del 2015; di aver appunto avuto una relazione con una ragazza di fede (OMISSIS) per 15 anni che era rimasta incinta; di aver voluto sposarla ma che la famiglia di lei si era opposta al matrimonio, tanto da minacciarlo di morte e picchiare la ragazza tutti i giorni; che il padre della ragazza lo aveva denunciato, dicendo, falsamente, che la ragazza era minorenne e corrompendo anche la polizia; di essere fuggito, avvertito dal capo villaggio e dalla ragazza che la polizia lo stava cercando.

Il Tribunale con decreto del 8/10/2018 ha rigettato le domande dell’attore, non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto del 8/10/2018, comunicato il 12/10/2018 ha proposto ricorso S.I., con atto notificato il 10/11/2018, svolgendo sette motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno ha notificato controricorso il 20/12/2018, chiedendo dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria in del 3/10/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione dell’art. 111 Cost., nonchè del D.Lgs. n.25 del 2008, artt. 35,35 bis e art. 32, comma 3.

1.1. Il ricorrente, dopo un’ampia prolusione circa la disciplina convenzionale e nazionale degli istituti di protezione ed asilo vigenti nel nostro ordinamento, lamenta che il Tribunale di Milano, si sia ritenuto erroneamente competente anche in materia di protezione umanitaria, che era stata cumulata nello stesso ricorso ai temi tipici della protezione internazionale e sussidiaria tutelabili con il procedimento D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis abbia deciso con rito camerale anche la domanda di protezione umanitaria, soggetta al rito ordinario di cognizione.

Sarebbe stato così arrecato un vulnus irrimediabile al diritto di difesa del ricorrente e si sarebbe omesso di procedere all’adempimento del dovere di cooperazione officiosa che avrebbe imposto di dichiarare inammissibile la domanda di protezione umanitaria e/o separarla dal giudizio di opposizione, aveva provveduto sul punto, così provocando in modo abnorme la perdita di un grado di giudizio di merito in danno del ricorrente.

1.2. Giova ricordare che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, prima delle modifiche apportate dal D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, che ha tipizzato i casi di rilascio di permesso di soggiorno per “protezione speciale” – prevedeva che la Commissione territoriale, nei casi in cui non avesse accolto la domanda di protezione internazionale e ricorressero i necessari presupposti, trasmettesse gli atti al questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Quanto alla disciplina transitoria, tuttavia, questa Corte, con sentenza del 23/1/2019 n. 4890, recentemente avallata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 29460 del 13/11/2019 ha precisato che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali devono essere scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione.

1.3. Per la miglior comprensione delle argomentazioni del ricorrente si rende necessaria una preliminare ricognizione normativa.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 1, prevede la possibilità di ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria e avverso la decisione della Commissione in tema di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria.

L’art. 35 bis stesso decreto (nel testo vigente al momento del ricorso introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, prima delle modifiche ulteriormente introdotte dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132) stabiliva che le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti dall’art. 35 fossero regolate dalle disposizioni di cui agli artt. 737 c.p.c. e ss., ossia dal cosiddetto “rito camerale”, ove non diversamente disposto.

Lo stesso D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, nel testo originario, indicando le materie attribuite alla competenza delle sezioni specializzate, distingueva tra “le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35”, incluse sub lett. c), e “le controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 6”, di cui alla lett. d).

Ilo citato art. 3, comma 4 introdotto dalla Legge Di Conversione n. 46 del 2017, stabilisce che sono soggette al rito camerale speciale (caratterizzato da decisione in forma collegiale, udienza solo eventuale, esclusione dell’appello, impugnabilità solo con ricorso per cassazione) solo le controversie di cui all’art. 3, comma 1, lett. c); pertanto per le controversie di cui alla lett. d) il rito applicabile è quello ordinario ex art. 281 bis c.p.c., con decisione assunta dal Tribunale in composizione monocratica, soggetta ad appello, oltre che a ricorso per cassazione.

La formulazione normativa così ricostruita ha pertanto creato una distinzione tra le azioni volte al riconoscimento della protezione internazionale (finalizzate al riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria) e le azioni volte al riconoscimento della (sola) protezione umanitaria; il legislatore, pur avendo attribuito per tutte tali controversie la competenza alle sezioni specializzate, ha tuttavia scelto riti diversi, ossia per il giudizio di protezione internazionale, uno speciale rito camerale, e per il giudizio relativo alla protezione umanitaria, il rito ordinario dinanzi al Tribunale in composizione monocratica.

Pertanto in caso di proposizione di ricorso riguardante soltanto la protezione umanitaria, il rito applicabile è quello ordinario di cognizione o, a scelta del ricorrente, il rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c.

1.4. Se è vero, poi, che il D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, lett. d), convertito nella L. n. 46 del 2017, fa riferimento alle controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, è anche vero che il predetto art. 32, comma 3 (beninteso: nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1, comma 2, lett. a) convertito con modificazioni nella L. 1 dicembre 2018, n. 132) prevedeva la trasmissione degli atti da parte della Commissione al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

In altre parole, l’art. 32 non prevedeva un particolare tipo di permesso di soggiorno umanitario diverso da quello di cui all’art. 5, comma 6, ma soltanto una particolare procedura per il rilascio di tale permesso di soggiorno, sicchè le controversie previste dall’art. 3, comma 1, lett. d), attraverso il richiamo al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 si identificavano con quelle aventi ad oggetto comunque il rilascio del permesso di soggiorno umanitario D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6.

1.5. Pertanto, prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni nella L. n. 132 del 2018 – che, introducendo nel D.Lgs. n. 150 del 2011 l’art. 19 ter, ha stabilito che le controversie di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, lett. d) e d- bis), convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017 sono regolate dal rito sommario di cognizione da proporsi davanti al Tribunale, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, che giudica in composizione collegiale e pronuncia con ordinanza non appellabile, ma ricorribile per cassazione – qualora sia stata proposta in giudizio la sola domanda di protezione umanitaria, la competenza per materia, ai sensi del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, lett. d) e comma 4, è della sezione specializzata del Tribunale in composizione monocratica, che giudica secondo il rito ordinario di cui agli artt. 281-bis c.p.c. e segg. o, ricorrendone i presupposti, secondo il procedimento sommario di cognizione, di cui agli artt. 702-bis c.p.c. e segg. e pronuncia con provvedimento (sentenza o ordinanza) impugnabile in appello.

1.6. Le censure, con cui il ricorrente sostanzialmente si duole del fatto che il Giudice da lui adito abbia esaminato nel merito la sua domanda, anzichè dichiararla inammissibile, o separarne l’esame, appaiono per un verso inammissibili, come già ritenuto da questa Corte con le decisioni della Sez.1, 5/4/2019 n. 9658 e 19/6/2019 n. 16458, che le hanno ritenute pure infondate nel merito.

In tali pronunce è stato infatti ritenuto che qualora le azioni dirette ad ottenere le protezioni internazionali tipiche (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e le azioni volte al riconoscimento di quella atipica (protezione umanitaria) siano state contestualmente proposte con un unico ricorso, per libera e autonoma scelta processuale del ricorrente, trova comunque applicazione per tutte le domande connesse e riunite il rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis davanti alla sezione specializzata del Tribunale in composizione collegiale, in ragione della profonda connessione, soggettiva ed oggettiva, esistente tra le predette domande e della prevalenza della composizione collegiale del Tribunale in forza del disposto dell’art. 281 nonies c.p.c.; ciò tenendo conto, nella stessa prospettiva, di alcuni fondamentali principi e valori come il carattere unitario dell’accertamento dei presupposti dei vari tipi di tutela, che normalmente richiede l’indagine officiosa circa le medesime realtà socio-politiche del Paese di origine; la fondamentale esigenza di evitare contrasto di giudicati, in considerazione del rapporto di sussidiarietà e conseguente relativa residualità reciproca che connota le tre forme graduate di protezione che attuano ed esauriscono nel nostro ordinamento il diritto di asilo costituzionale ex art. 10 Cost., comma 3, e il principio della ragionevole durata del processo, che impone una soluzione interpretativa che eviti le duplicazione di accertamenti processuali e i ritardi connessi alle inevitabili relazioni di pregiudizialità tra i processi celebrati separatamente.

1.7. Secondo il Collegio, tuttavia, la ragione più liquida (intesa come ragione più evidente, più pronta, più piana: cfr. ex multis Sez.Un. 12/12/2014 n. 26243) che milita contro l’accoglimento delle argomentazioni del ricorrente va rinvenuta nel principio di auto-responsabilità e nel divieto di venire contra factum proprium che trova nel processo civile espressione nella fondamentale regola di cui all’art. 157 c.p.c., comma 3, secondo il quale la nullità non può mai essere opposta dalla parte che vi ha dato causa.

Nella fattispecie è stato proprio l’attore a cumulare le domande, peraltro strettamente connesse, in unico atto introduttivo e a sottoporle congiuntamente all’esame della sezione specializzata del Tribunale milanese, senza chiederne la separazione. Non può quindi dolersi delle conseguenze che ne sono derivate.

Il ricorrente infatti denuncia la mancata adozione del rito ordinario o sommario di cognizione con riferimento alla domanda di protezione umanitaria dopo avere egli stesso instaurato il giudizio di merito mediante la proposizione di un atto unico e unitario ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis avente ad oggetto la richiesta di ogni forma di protezione, per giunta senza eccepire in alcun modo nel giudizio camerale la mancata adozione – da lui stesso provocata-del rito ordinario per la domanda di protezione umanitaria, previa richiesta di separazione dei giudizi da lui congiuntamente instaurati.

E’ poi del tutto paradossale che il ricorrente lamenti, nel ventaglio alternativo delle decisioni corrette che ipotizza, la mancata dichiarazione di inammissibilità della domanda da lui formulata, ovvero la mancata adozione di un provvedimento, ovviamente meramente ordinatorio, di separazione delle domande che egli stesso ha proposto cumulativamente, chiedendo il simultaneus processus.

E’ appena il caso di notare incidentalmente che il dovere di cooperazione officiosa che grava sul giudice del procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale riguarda il profilo istruttorio e l’assunzione di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine del richiedente e non certo le forme e le modalità di introduzione della domanda giudiziale, laddove il richiedente fruisce, eventualmente anche attraverso il patrocinio a spese dello Stato, di congrua assistenza tecnica.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 della Direttiva 2004/83/CE, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 35 bis.

2.1. Compito del Giudice, secondo il ricorrente, non è valutare la genericità e/o credibilità e/o inattendibilità del richiedente asilo, bensì verificare se si sia o meno formata la prova in base ai requisiti prescritti dalla normativa speciale del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Non era compito del Tribunale interrogarsi circa la dinamica della vicenda o indagare sui comportamenti, mentre il ricorrente aveva fatto il possibile per dettagliare il più possibile i fatti; non era stato eseguito il controllo officioso sulla coerenza esterna; sarebbe occorso poi verificare se in (OMISSIS) le strutture statuali preposte all’ordine pubblico erano in grado di garantire effettivamente l’incolumità dei cittadini.

Il Tribunale aveva applicato erroneamente l’art. 2697 c.c. in luogo della specifica regola probatoria, valida per i giudizi in tema di riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

2.2. Certamente la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente asilo non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez.6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di credibilità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez.6, 27/06/2018, n. 16925; Sez.6, 10/4/2015 n. 7333; Sez.6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez.6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez.6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (Sez.1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

2.3. Nella specie, lungi dall’introdurre una censura motivazionale conforme all’attuale canone dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in termini di omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti, il ricorrente denuncia, fra l’altro in gran parte in modo non pertinente, una insussistente violazione di legge per sollecitare inammissibilmente questa Corte ad una rivalutazione del materiale probatorio difforme da quella effettuata dal Giudice di merito e ampiamente motivata a pagina 4 sia con riferimento alla mancanza di spiegazioni circa i motivi dell’ostilità al matrimonio del padre della ragazza, che il ricorrente addirittura ha detto di ignorare e di non aver neppure chiesto alla fidanzata, sia all’improbabilità di una discriminazione a base religiosa posta in essere da un (OMISSIS), il padre della ragazza, in un Paese a maggioranza (OMISSIS).

Diversamente da quanto lamentato, il Tribunale ha valutato le dichiarazioni del ricorrente alla luce del contesto socio culturale del Paese di origine, ritenendole proprio alla luce del contesto, inverosimili.

Inoltre il Tribunale ha rimarcato che non poteva neppure ipotizzarsi una discriminazione a base religiosa visto che il ricorrente diceva di non sapere i motivi per cui il matrimonio era stato avversato.

3. Con il terzo, erroneamente rubricato come quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e alla Direttiva 2004/83/CE, avendo il Tribunale mancato di verificare se alla situazione di violenza diffusa nel paese fosse stato contrapposto un efficace e concreto intervento ad opera delle autorità statuali.

La censura è infondata poichè il Tribunale, alle pagine 5 e 6, ha valutato specificamente la situazione della sicurezza del (OMISSIS) e l’esistenza di un conflitto armato interno, negando espressamente la sussistenza di un quadro di violenza indiscriminata tali da determinare un rischio grave per l’intera popolazione civile, citando espressamente le fonti consultate ed escludendo un rischio apprezzabile in caso di rimpatrio nella zona di provenienza del ricorrente.

4. Con il quarto (erroneamente indicato come quinto) motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, della Direttiva 2004/83/CE, dell’art. 2 Cost. e art. 8 CEDU.

4.1. La valutazione circa la concessione della protezione umanitaria prescinde dall’assenza o meno di prove o principi di prova, va condotta d’ufficio e si deve fondare su di una valutazione comparativa volta a verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio di diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile. Era mancata la corretta valutazione dei rischi in caso di rimpatrio e la debita valutazione comparativa alla luce del mutamento della vita dei ricorrente in considerazione del suo inserimento lavorativo e sociale dopo l’espatrio.

Il Tribunale a tal proposito aveva omesso di esperire le doverose indagini officiose in ordine alla situazione del Paese di origine.

4.2. Giova ricordare che secondo la recentissima sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che avalla l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, Rv. 652684 – 01, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali previsto dall’art. 1, comma 9 suddetto D.L..

Inoltre la stessa sentenza n. 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito aderisce al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.

4.3. La censura è inammissibile e neppur si confronta con l’approfondita valutazione espressa dal Tribunale a pagina 7 circa l’assenza di una situazione di vulnerabilità soggettiva meritevole di tutela, attraverso il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non ravvisabile in relazione al racconto personale, ritenuto non credibile, e in difetto di un particolare livello di integrazione sociale nel nostro Pese, non desumibile dal solo svolgimento di attività formative, culturali e lavorative nel quadro del sistema di accoglienza di cui al D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142.

5. Con il quinto (erroneamente indicato sesto) motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3, il ricorrente denuncia error in procedendo e violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 111 Cost., all’art. 6 CEDU, all’art. 101 c.p.c., al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, al D.Lgs. n. 25 del 2008, all’art. 35 bis, commi 8 e 9.

5.1. Le informazioni aggiornate sul Paese di origine (COI) sono elementi di prova che non possono essere considerati fatti notori e non sono quindi utilizzabili dal giudice in difetto di preventiva sottoposizione al contraddittorio.

Nella specie gli elementi utilizzati dal Tribunale erano in gran parte ignoti al richiedente e hanno fatto ingresso in giudizio con valore di prova senza la necessaria preventiva sottoposizione al contraddittorio.

5.2. Il Collegio intende assicurare continuità all’orientamento espresso dalla recente ordinanza della Sez. 1 del 11/11/2019 n. 29056.

In tale pronuncia la Corte, partendo dal principio che la ricerca delle COI (country origin informations) è attività di “integrazione istruttoria” svolta in cooperazione con la parte interessata (Sez. 6 – 1, n. 16411 del 19/06/2019, Rv. 654716 – 01) e non di totale sostituzione del giudice alla parte nei suoi doveri di offrire, nei limiti delle possibilità date dalla sua peculiare condizione, fatti, riscontri ed elementi di prova, ha precisato che H predetto dovere deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro riferirsi a circostanze non dedotte, mentre, nel caso in cui si affievolisca l’importanza del riscontro individuale, entro i limiti rigorosi indicati dalla CGUE nelle sentenze del 17/2/2009 (Elgafaji, C-465/07) e del 30/1/2014, (Diakitè C- 285/12) e cioè quando la violenza indiscriminata sul territorio raggiunge livello talmente elevato da far ritenere che un civile correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il potere dovere di acquisire le COI discende direttamente dalla allegazione della provenienza dalla zona interessata dal conflitto (Sez. 6 – 1, n. 17069 del 28/06/2018, Rv. 649647 – 01).

Il problema sollevato dal ricorrente attiene al dovere del giudice di sottoporre preventivamente al contraddittorio le COI che egli intende utilizzare ai fini della decisione e se, in difetto, si configuri una violazione dell’art. 101 c.p.c. ovvero, più in generale, del diritto alla difesa e del principio del giusto processo (artt. 111 e 24 Cost., art. 6 CEDU).

In tale prospettiva assume rilievo l’onere del richiedente asilo di allegare e circostanziare tutti i fatti rilevanti che lo riguardano e di rendere un racconto per quanto possibile completo e specifico, poichè il dovere di cooperazione del giudice non si estende alla ricerca dei fatti storici, intesi come vicende personali che hanno interessato il richiedente asilo. L’audizione è il momento centrale dell’intero procedimento, in cui la Commissione, o eventualmente il giudice di merito, consente al richiedente di rendere un racconto completo delle sue vicende, il che definisce il thema decidendum che il giudice non può e non deve modificare, essendo chiamato piuttosto a verificare l’attendibilità del racconto sia in base agli ordinari criteri di valutazione delle dichiarazioni rese dalla parte (coerenza, specificità), sia in base ad un crHierio extra ordinem espressamente imposto dalla legge, e cioè la compatibilità con le COI, che sono peraltro necessarie anche al fine di valutare il rischio al momento della decisione; per questa ragione, se la parte ha offerto in visione le COI al momento in cui introduce la domanda, e tra essa e il momento della decisione trascorre del tempo o accadono eventi rilevanti, il giudice deve integrarle con COI più aggiornate (Sez. 1, n. 28990 del 12/11/2018, Rv. 651579 – 01).

La circostanza che il giudice non possa modificare i fatti posti a fondamento della domanda, il cui onere di allegazione grava sul richiedente, già di per sè esclude in radice che possa prospettarsi, per il solo fatto della assunzione officiosa delle COI, una c.d. “sentenza della terza via”, inteso nel senso di una pronuncia che modifichi o ampli il thema decidendum, con conseguente violazione dell’art. 101 c.p.c.

Le COI devono infatti essere pertinenti e dirette a far luce sui fatti già dedotti dal ricorrente, ed il concetto stesso di pertinenza va necessariamente coniugato con duello della loro attualità.

Inoltre la denuncia di vizi fondati sulla violazione di norme processuali non deve essere vista in funzione meramente autoreferenziale e di tutela dell’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma in un’ottica funzionale volta a garantire l’eliminazione del pregiudizio coi icretamente sofferto dal diritto di difesa della parte (Sez. 3, n. 18635 del 12/09/2011, Rv. 619534 01; Sez. 3, n. 1201 del 27/01/2012, Rv. 621381 – 01; Sez. 5, n. 26831 del 18/12/2014, Rv. 634236 – 01; Sez. L, n. 6330 del 19/03/2014, Rv. 630071 – 01; 1, n. 15037 del 08/06/2018, Rv. 649558 – 01; Sez. U, n. 20935 del 30/09/2009, Rv. 610517 – 01).

In altre parole, la parte che lamenti la violazione del diritto di difesa e del giusto processo deve specificare in cosa consiste il concreto pregiudizio subito, e non semplicemente dedurre la violazione della norma procedurale o genericamente riferirsi alla lesione dei diritto di difesa.

Applicando questi principi alla questione delle COI, deve concludersi che, qualora la rade non abbia offerto alcuna informazione precisa, pertinente e aggiornata sulle condizioni del paese di origine, e cioè informazioni idonee a supportare la valutazione di credibilità e la valutazione del rischio, l’acquisizione d’ufficio delle COI costituisce attività integrativa che sana la sua inerzia, e quindi non diminuisce le garanzie processuali del soggetto, anzi le amplia, nè lede in alcun modo i suoi diritti.

Nessun vulnus concreto al diritto di difesa si può in questo caso prospettare se il giudice non sottopone preventivamente le COI assunte d’ufficio al contraddittorio, purchè renda palese nella motivazione a quali COI ha fatto riferimento, onde consentire, eventualmente, la critica in fase di impugnazione.

Diverso è il caso in cui la parte abbia esplicitamente indicato COI, aggiornate e pertinenti, specificamente riferite al rischio che è stato dedotto, indicandone la fonte e la data e prendendo posizione sulle condizioni del paese di origine, sulla loro incidenza nella posizione individuale del richiedente, e su come le COI indicate consentano di ritenere il racconto attendibile, nonchè concreto ed attuale il rischio dedotto.

In tal caso, il giudice, se ritiene di utilizzare altre COI, di fonte diversa o più aggiornate, che depongono in senso opposto a quelle offerte dal richiedente, deve sottoporle preventivamente al contraddittorio, perchè diversamante si arrecherebbe, in concreto, un irredimibile vulnus al diritto di difesa.

5.3. Nel caso concreto il ricorrente non deduce nell’esposizione del motivo e più in generale nel ricorso di aver prodotto a sua volta informazioni aggiornate circa a situazione allegata esistente in (OMISSIS), sicchè, per le ragioni poste, non è legittimato a dolersi delle modalità con cui il Tribunale ha supplito alla sua inerzia.

6. Con il sesto (erroneamente indicato settimo) motivo di ricorso il ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’attuale sistema normativo costituito D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8 e 9, in relazione all’art. 24 Cost. laddove prevedono che la Commissione Territoriale possa raccogliere prove (videoregistrazione, redazione del verbale di audizione, raccolta COI) senza che il richiedente possa svolgere una attività difensiva al riguardo, tanto più che tali prove conservano valore anche nel giudizio di opposizione.

Il motivo è infondato perchè il complesso di norme richiamate consente ampi spazi difensivi al richiedente asilo nella fase amministrativa dinanzi alla Commissione Territoriale e poi nella fase giurisdizionale, in cui ben può sottoporre al giudice tutte le informazioni disponibili sul Paese di origine che ritiene che possano orientare positivamente la decisione.

7. Il ricorso deve quindi essere complessivamente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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