Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2124 del 29/01/2021

Cassazione civile sez. II, 29/01/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 29/01/2021), n.2124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25279-2016 proposto da:

Q.A., G.V., elettivamente domiciliati in ROMA,

C.SO VITTORIO EMANUELE II n. 269, presso lo studio dell’avvocato

ROMANO VACCARELLA, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MASSIMO CARLIN, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

SCUOLA DEL CASTELLETTO S.R.L., in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GREGORIO VII N. 466, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE COSSA,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE

CAMPEIS, PAOLA ZIGANTE, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 522/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 03/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2020 dal Consigliere GRASSO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale PEPE

ALESSANDRO, che ha concluso per l’inammissibilità o per il rigetto

del ricorso;

udito l’Avvocato ROMANO VACCARELLA, difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

I FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Trieste in riforma della sentenza di primo grado, la quale aveva costituito servitù coattiva di passaggio pedonale e con mezzi motorizzati a favore dell’immobile abitativo di Q.A. e G.V. e a carico del complesso immobiliare di proprietà della Scuola del Castelletto s.r.l., determinando l’indennizzo in Euro 28.800,00, accolse l’appello reputando sussistere preclusione derivante da precedente giudicato.

In passato, infatti, i danti causa degli attori appellati, resistendo alla domanda di “negatoria servitutis” proposta dalla Scuola del Castelletto, avevano, in via riconvenzionale eccepito l’esistenza di una servitù di passaggio acquisita per usucapione.

Con sentenza divenuta definitiva la medesima Corte d’appello aveva accertato la libertà del fondo di proprietà della Scuola del Castelletto e rigettato la riconvenzionale di usucapione.

Ciò posto, con la sentenza oggi sottoposta a impugnazione, la Corte locale, premette che si controverte su diritti autodeterminati, “sicchè nelle azioni ad essi relativi la causa petendi si identifica con i diritti stessi e non con il titolo che ne costituisce la fonte” e che, pertanto, l’attore “può mutare il titolo in base al quale chiede la tutela del diritto assoluto senza incorrere nelle preclusioni (…)”, senza che l’accoglimento della domanda sulla base di un diverso titolo procuri violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Per converso, conclude la decisione, deve riconoscersi l’opposta conseguenza: “se infatti il diritto trova la sua causa in se stesso e non nel titolo, e se non costituisce domanda nuova quella formulata in forza di un titolo diverso, ma pur sempre diretta ad ottenere il medesimo diritto reale e cioè, come nel caso, la servitù di passaggio, allora ne consegue che il giudicato formatosi sull’inesistenza di una servitù di passaggio preclude la riproposizione, in un successivo processo, della domanda di costituzione della medesima servitù in forza di diverso titolo”.

2. Avverso la statuizione d’appello insorgono Q.A. e G.V. sulla base di due motivi. L’intimata resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

All’epilogo dell’adunanza camerale del 28 gennaio 2020 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza, in vista della quale la controricorrente ha depositato ulteriore memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con le due osmotiche censure i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2908 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè “violazione dei principi in materia di giudicato civile e di sua estensione oggettiva – Violazione e falsa applicazione dei principi, di fonte giurisprudenziale, concernenti i “diritti autodeterminati” e i “diritti eterodeterminati””.

Questi, in sintesi, gli argomenti delle enunciate doglianze.

La domanda dei coniugi ricorrenti che qui viene in rilievo ha natura costitutiva e il giudice, con apprezzamento discrezionale, ove reputi ricorrano i presupposti di cui all’art. 1052 c.c., costituisce il diritto di servitù coattiva di passaggio, determinando l’indennizzo spettante al titolare del fondo asservito. Quella svolta nel 1997 dai danti causa dei ricorrenti e altri, ha natura dichiarativa, poichè diretta all’accertamento del diritto di servitù di passaggio acquisito per usucapione, quindi, prescindendosi del tutto dalle caratteristiche dei due fondi e invocante una pronuncia dichiarativa, con effetto, pertanto, “ex tunc”, a differenza della pronuncia costitutiva della servitù coattiva di passaggio, che non può avere che effetto “ex nunc”. Ne consegue, proseguono i ricorrenti, che la pronuncia, con la quale venne accertata la libertà del fondo della controparte, non può avere effetti preclusivi in ordine all’odierna pretesa, diretta a costituire il diritto coattivo di passaggio. E’ di tutta evidenza, secondo l’assunto impugnatorio, che in quella prima sede, definita con sentenza passata in giudicato, non andavano provati i presupposti di cui all’art. 1052 c.c., del tutto eterogenei rispetto al diritto rivendicato per usucapione, e, comunque, solo ad opera dell’intervento additivo della Corte Costituzionale (sentenza n. 167 del 1075/1999), resi tali da riguardare esigenze di accessibilità abitativa.

Inoltre, prosegue il ricorso, la Corte locale era incorsa in un errore di fatto, poichè solo uno dei primigeni convenuti avrebbe potuto, in teoria, domandare la costituzione della servitù coattiva.

Si conclude precisando che qui non è in gioco un alternativo titolo d’acquisto del diritto reale, poichè quello che è ora controverso è un diritto del tutto nuovo, costituito dal giudice; di conseguenza, la decisione aveva errato a evocare la categoria dei diritti autodeterminati, trattandosi di categoria estranea alla presente vicenda, non potendosi affermare che la “causa petendi” qui si identifichi con il diritto stesso e, inoltre, la preclusione riferita al “dedotto e al deducibile” non era pertinente, poichè la stessa “non comprende qualsiasi prospettazione giuridica sia in astratto riconducibile ad una categoria (la servitù, nel caso), ma riguarda invece “le ragioni non dedotte che si presentano come un antecedente logico necessario per la pronuncia, nel senso che è precluso far successivamente valere in altro giudizio situazioni soggettive incompatibili con il diritto accertato” (cf, ex plurimis, Cass. nn. 7890/94 e 3939/93″. Andava escluso un tale antecedente logico, anche per la ragione fattuale che fino alla pronuncia della Corte Costituzionale di cui detto il fondo dei ricorrenti non poteva qualificarsi intercluso.

4. Il complesso censuratorio è fondato.

4.1. Costituendo punto nevralgico per la risoluzione della questione giuridica sottoposta a questa Corte, occorre, sia pure brevemente, riprendere la categoria dei diritti autodeterminati.

Si è affermato che, in tema di limiti alla proposizione di domande nuove in appello, non viola il divieto di “ius novorum” la deduzione, da parte del convenuto dell’acquisto per usucapione, ordinaria o abbreviata, della proprietà dell’area rivendicata da controparte qualora già in primo grado egli abbia eccepito ad altro titolo la proprietà dell’area medesima, in quanto la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell’eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova (Sez. 2, n. 40, 8/1/2015, Rv. 633805; conf. Cass. nn. 11521/1999, 3192/2003, 12607/2010, 23851/2010, 26009/2010).

Da qui se ne è tratto che qualora sia proposta una domanda di accertamento o di condanna, relativa ad uno dei su indicati diritti, sulla base di un determinato fatto costitutivo, e questa venga rigettata per ragioni inerenti al fatto costitutivo dedotto, l’accertamento con efficacia di giudicato dell’inesistenza del diritto stesso preclude la possibilità di far valere “ex novo” il medesimo diritto sulla base di un diverso titolo di acquisto (Nella fattispecie, la parte ricorrente aveva chiesto accertarsi l’avvenuto acquisto per usucapione di un terreno a seguito del rigetto di precedente domanda volta ad ottenerne la proprietà in virtù di un contratto di rendita vitalizia) – Sez. 2, n. 22591, 16/10/2020, Rv. 633805).

4.2. L’appartenenza, quale diritto reale, del diritto di servitù alla predetta categoria non involge il quesito giuridico posto in questa sede. Se, cioè, essendo stata accertata con sentenza divenuta definitiva, la libertà del fondo di cui è proprietaria la Scuola del Castelletto, con contestuale rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione della prospettata (in sede riconvenzionale) servitù di passaggio acquisita per usucapione (ma il quesito non sarebbe mutato pur ove non fosse stata svolta tale ultima domanda), quel giudicato oggi precluda di domandare al giudice la costituzione di una servitù di passaggio coattiva.

Il quesito, infatti, resta indifferente al titolo d’acquisto del diritto, proprio perchè, sussistendo i presupposti di cui all’art. 1052 c.c., siccome riformulato dalla Corte Costituzionale, è il giudice che costituisce il diritto. Inoltre, l’aspettativa di un tal diritto si concretizza nella statuizione giudiziale costitutiva, in presenza di interclusione, o di una di quelle “esigenze di accessibilità”, anche alla casa di abitazione, aggiunte dalla Corte Costituzionale, la cui effettività e consistenza deve essere verificata dal giudice al momento della proposizione della domanda, o, comunque, nel corso del giudizio.

4.3. Ora, nel corso della causa esitata con la sentenza divenuta irrevocabile, non constando essere stata proposta domanda di costituzione di servitù coattiva di passaggio neppure è dato sapere se, al tempo, sussistessero i presupposti perchè una tale prospettazione potesse essere costituita in diritto dalla sentenza del giudice, il quale, pertanto, non fu chiamato a verificare gli stessi, ma esclusivamente ad accertare che il fondo fosse libero da servitù (ovviamente preesistenti). Diversamente si dovrebbe concludere ove si ipotizzi, per esemplificazione espositiva, che nel secondo giudizio gli odierni ricorrenti pretendano affermarsi diritto di servitù, avente titolo diverso dall’usucapione (destinazione del padre di famiglia, contratto); in questo caso, infatti, proprio la categoria di appartenenza ai diritti autodeterminati imporrebbe la preclusine del giudicato.

In definitiva, la servitù coattiva di passaggio, prende vita attraverso la sentenza costitutiva, previo verifica nell’attualità della sussistenza dei presupposti di legge (interclusione, anche solo funzionale), con la conseguenza obbligata doversi escludere che un tale titolo fosse spendibile al momento della prima causa. Col risultato che la domanda di costituzione di una tale servitù non avrebbe potuto essere proposta tardivamente evocandosi la teoria dei diritti autodeterminati.

4.4. Sotto altro speculare profilo si è chiarito che siccome il diritto di proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti cosiddetti autodeterminati, e cioè individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto (cioè del bene che ne costituisce l’oggetto, nelle azioni ad essi relative, la deduzione del fatto costitutivo non è necessaria ai fini della loro individuazione ma è rilevante soltanto ai fini della prova del diritto), qualora sia proposta una domanda di accertamento o di condanna, relativa ad uno dei suindicati diritti sulla base di un determinato fatto costitutivo, e questa venga rigettata per ragioni inerenti al fatto costitutivo dedotto, l’accertamento dell’inesistenza del diritto stesso fa stato anche nel successivo processo instaurato con la riproposizione della medesima domanda pure se fondata su di un diverso fatto costitutivo (salvo se intervenuto “medio tempore”), trattandosi dello stesso “petitum” ed essendo irrilevante la “causa petendi”. Per contro, la preclusione non opera in ordine alla ulteriore domanda di costituzione di servitù coattiva in quanto fondata su “causa petendi” e “petitum” diversi da quelli dell’azione confessoria e diretta alla pronuncia di una sentenza costitutiva (Sez. 2, n. 1682, 18/2/1991, Rv. 470957; conf. Cass. n. 19758/2011).

5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio, perchè il Giudice del rinvio nel nuovo esame si attenga al seguente principio di diritto:

“L’appartenenza del diritto di servitù ai diritti autodeterminati, cioè a quei diritti (nella specie reali), che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell’eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova, non preclude, dopo che sia passata in giudicato la sentenza che affermi la libertà del fondo, la proposizione di una domanda volta all’ottenimento, in presenza di attualità dei presupposti di legge, della costituzione giudiziale di una servitù coattiva di passaggio”.

Il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Trieste, altra composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2021

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