Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21238 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. II, 09/08/2019, (ud. 20/03/2019, dep. 09/08/2019), n.21238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.) sul ricorso (iscritto al N. R.G. 6008(17)

proposto da:

S.M., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Flaminia

Agostinelli e Augusto Colucci ed elettivamente domiciliato presso lo

studio della prima, in Roma, v. Donatello, n. 23;

– ricorrente –

contro

G.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti

Enrico Maggiora e Dario Irvese ed elettivamente domiciliato presso

lo studio dell’Avv. Matteo Ruffinoni, in Roma, v. dei Poggi D’Oro,

n. 21;

– controricorrente –

e

P.L.;

– intimato –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 4420/2016,

depositata il 28 novembre 2016 (notificata il 28 dicembre 2016).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto citazione ritualmente notificato il sig. G.G. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, il sig. S.M. e il notaio P.L. per sentir dichiarare l’accertamento della legittimità del suo recesso da un contratto preliminare di compravendita stipulato con lo S. e la condanna del medesimo al pagamento del doppio della caparra versata nonchè alla riconsegna di parte della stessa dal suddetto notaio depositario, sul presupposto che il menzionato S. non aveva messo a disposizione di detto notaio tutta la documentazione necessaria richiesta dalla legge, inerente la modifica del classamento dell’immobile e la sua agibilità, ragion per cui non era stato possibile stipulare il rogito relativo al contratto definitivo.

Nella costituzione del solo S. e nella contumacia dell’indicato notaio, il Tribunale adito, con sentenza n. 453/2014, accoglieva integralmente la domanda attorea.

2. Interposto appello da parte dello S. al quale resisteva il solo G., la Corte di appello di Milano, dopo aver disposto c.t.u., con sentenza n. 4420/2016, rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte ambrosiana riconfermava che, alla stregua dell’avvenuta ricostruzione fattuale della fattispecie, era rimasta effettivamente accertata la legittimità dell’operato recesso da parte del G. per l’inadempimento come prima precisato attribuito allo S..

3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione lo S.M., al quale ha resistito con controricorso il G.G. mentre il notaio P.L. è rimasto intimato in questa sede.

I difensori di entrambe le parti hanno rispettivamente depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per aver il giudice di appello disatteso senza adeguata motivazione il parere espresso dal c.t.u. su due punti decisivi della controversia, avendo ritenuto di affrontare autonomamente e direttamente la questione tecnica devoluta all’ausiliario sulla necessità o meno dell’acquisizione della documentazione inerente la modifica del classamento dell’immobile e la sua agibilità.

1.1. Rileva il collegio che il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1), poichè la sentenza impugnata ha deciso la questione sulla valutabilità della c.t.u. da parte del giudice – con riferimento all’attribuzione di un potere autonomo in caso allo stesso di risolvere eventuali aspetti tecnici – in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, senza che l’esame del motivo offra elementi per mutare l’orientamento giurisprudenziale di legittimità.

E’, infatti, da ritenersi costante l’affermazione, ad opera di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 11440/1997 e Cass. n. 17757/2014), del principio secondo cui, nel nostro ordinamento, vige il principio “judex peritus peritorum”, in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche. In ambedue i casi, l’unico onere incontrato dal giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto.

A tal riguardo, va evidenziato come correttamente la Corte di appello – nella sua legittima autonomia decisionale (e, quindi, indipendentemente dal contenuto delle conclusioni del c.t.u.) – abbia affermato che, nel caso di specie, non era stata fornita un valida prova da parte dello S. – che pure si era accollato il relativo onere – circa l’intervenuta modificazione del classamento dell’immobile, occorrendo, in ogni caso, allegare a tal fine un valido titolo per il mutamento di destinazione, così come, non emergendo con certezza la natura e l’entità delle opere realizzate dal precedente proprietario, sarebbe stato necessario acquisire anche il certificato di agibilità.

Il motivo, oltretutto, si risolve in una confutazione delle valutazioni di merito della Corte territoriale che, invece, ha fondato la sua decisione su una motivazione logica ed adeguata valutando autonomamente – e dandone adeguata giustificazione – le risultanze complessive acquisite in giudizio, ivi comprese quelle della relazione del c.t.u. per le parti non condivise.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato – sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per aver il giudice di appello fondato il proprio convincimento sull’assenza di una prova negativa (ovvero quella sul presunto inadempimento delle obbligazioni assunte con la promessa di vendita) posta erroneamente a carico di esso S..

2.1. Questa censura è infondata perchè la Corte di secondo grado non è affatto incorsa in alcuna violazione dell’art. 2697 c.c. (ovvero nella prospettata inversione dell’onere probatorio), trovando applicazione, in proposito, il principio generale (v., per tutte, Cass. n. 15659/2011 e Cass. n. 826/2015) in base al quale, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione), con la precisazione che, anche quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione, al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione.

In virtù di ciò non può parlarsi di “assenza di una prova negativa” che avrebbe determinato la Corte territoriale nel pervenire alla decisione qui impugnata, poichè la stessa ha, in effetti e correttamente sul piano giuridico, accertato il mancato assolvimento dell’onere probatorio – pacificamente incombente sul promittente venditore (odierno ricorrente) – relativo all’obbligo di fornire la documentazione necessaria per provvedere alla regolare stipula dell’atto pubblico definitivo di compravendita, e tanto anche ai sensi della norma generale di cui all’art. 1477 c.c., la quale stabilisce che il venditore, oltre al bene oggetto della vendita, è tenuto a consegnare all’acquirente i titoli e i documenti riguardanti la proprietà nonchè quelli indispensabili per consentire l’uso convenuto della cosa venduta. E, proprio in applicazione di questo principio, che la Corte milanese ha legittimamente rilevato l’inadempimento dello S., il quale avrebbe dovuto consegnare la documentazione relativa alla regolarità urbanistica e alla variazione di destinazione d’uso dell’immobile onde poter procedere alla stipula dell’atto pubblico di compravendita dinanzi al notaio P. (cfr., per fattispecie analoghe, Cass. n. 15969/2000 e Cass. n. 16216/2008).

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha prospettato – ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1385 e 1453 c.c. per avere la Corte di appello ritenuto legittimo il recesso operato dal G..

3.1. Anche questo motivo è destituito di fondamento dal momento che la Corte di appello – confermando, peraltro, sul punto la statuizione del giudice di primo grado ed esercitando legittimante il suo potere di qualificazione della domanda introduttiva così come prospettata dal G.G. – ha accertato che, nella fattispecie, fosse, in effetti, incontestato che il promissario acquirente (oggi controricorrente) avesse, fin dall’atto di citazione, invocato l’accertamento della risoluzione del contratto preliminare di compravendita in dipendenza dell’avvenuto esercizio da parte sua del diritto di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. e, conseguentemente, chiesto di dichiarare tenuto e, quindi, condannare lo S. al pagamento, in favore dello stesso, del doppio della caparra confirmatoria.

Tale valutazione operata dalla Corte milanese è conforme, peraltro, ai principi giuridici affermati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, alla cui stregua, in tema di contratto preliminare cui acceda il versamento di una caparra confirmatoria, la parte adempiente che – pur volendo far valere la risoluzione per una delle legittime cause previste dal codice civile – è legittimato ad agire in giudizio esercitando il diritto di recesso ex art. 1385 c.c., comma 2, e in tal caso, ove abbia ricevuto la caparra, ha diritto di ritenerla definitivamente mentre, ove l’abbia versata, ha diritto di ricevere la restituzione del doppio di essa, con esclusione del diritto al risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso (cfr., ad es., Cass. n. 26206/2017). In termini più generali è, in ogni caso, ormai consolidato il principio in base al quale la risoluzione del contratto di diritto per una delle cause previste dagli artt. 1454,1455 e 1457 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poichè dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono perciò essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa (v. Cass. n. 21838/2010 e Cass. n. 14014/2017).

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato – in virtù dello stesso art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1385 c.c. per essere stata attribuita, con la sentenza di appello, natura di caparra confirmatoria alla somma versata dal G. in ottemperanza alla promessa di vendita intercorsa tra le parti con scrittura del 15 dicembre 2009.

4.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

In primo luogo, si osserva che il ricorrente avrebbe dovuto – sulla scorta della necessaria osservanza dell’obbligo di specificità cha caratterizza la proposizione del ricorso per cassazione – trascrivere, nella formulazione della censura, la clausola relativa alla pattuizione della caparra e, in ogni caso, avrebbe dovuto dedurre, in modo puntuale, quali dei criteri ermeneutici si sarebbero dovuti ritenere in concreto violati, nel mentre il ricorrente si è limitato a prospettare la sola violazione dell’art. 1385 c.c..

In ogni caso, il motivo è da ritenersi infondato sulla scorta della chiara natura confirmatoria della caparra emergente dalle condizioni contrattuali e dalla funzione ad essa conferita (come rilevato in via ermeneutica dalla Corte territoriale), applicandosi, peraltro, il principio secondo cui la caparra cofirmataria costituisce un contratto che si perfeziona con la consegna che una parte fa all’altra di una somma di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d’inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale), e – sebbene la prestazione della caparra confirmatoria, necessaria al perfezionamento del negozio, sia riferita dall’art. 1385 c.c., comma 1, al momento della conclusione del contratto principale – le parti, nell’ambito della loro autonomia contrattuale, possono, tuttavia, differirne la dazione, in tutto od in parte, ad un momento successivo, purchè anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite (cfr. Cass. n. 5424/2002; Cass. n. 3071/2006).

5. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni sviluppate, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Nulla per le spese relativamente al rapporto processuale incardinatosi tra il ricorrente e il notaio P.L., essendo quest’ultimo rimasto intimato. Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (iva e cap) come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 20 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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