Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21234 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. I, 14/10/2011, (ud. 27/06/2011, dep. 14/10/2011), n.21234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.F. (c.f. (OMISSIS)), P.M.

S., P.M.G., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA PANAMA 77, presso l’avvocato BARNESCHI GIANLUCA, rappresentate e

difese dagli avvocati BIMBI LUIGI, MANNUCCI PAOLO, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI PISA (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso l’avvocato PANARITI BENITO PAOLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato LAZZERI GLORIA, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 310/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato GUGLIELMETTI B., per delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato ALESSANDRO ARDIZZI, per

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’inammissibilità

dell’istanza di correzione e accoglimento del ricorso limitatamente

al secondo e terzo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 19 dicembre 1983, P. F., P.M.G. e P.M.S. convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Pisa il Comune del capoluogo, chiedendo la condanna dell’Amministrazione convenuta al risarcimento dei danni, attesa l’occupazione d’urgenza di mq. 8970 del terreno delle attrici, avvenuta il 24 maggio 1976, da ritenersi illegittima, in quanto il decreto di esproprio non era stato notificato singolarmente alle proprietarie; l’occupazione non era stata preceduta da un formale avviso alle interessate, in relazione alla data di redazione dello stato di consistenza, compilato da personale dello stesso ente espropriante e non notificato distintamente alle tre comproprietarie; non era stato indicato il termine per i lavori; non erano stati comunicati gli atti di determinazione del prezzo del bene, nè offerto detto prezzo; non era stata data comunicazione del deposito del progetto dell’opera pubblica, che era stata realizzata su di una superficie di mq. 8900, laddove nel decreto del 1/3/1975 n. 226 del Presidente della Regione Toscana era stata indicata la superficie di mq. 7320, da cui l’illegittimità dell’espropriazione, da accertarsi incidentalmente.

Il Comune si costituiva ed eccepiva il difetto di competenza del Tribunale in favore della Corte d’appello in unico grado, deduceva la legittimità della procedura di espropriazione ed in subordine, eccepiva la prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

Veniva disposta ed espletata C.T.U..

Il Tribunale riteneva illegittimo il procedimento espropriativo limitatamente all’area di mq. 500, respingeva l’eccezione di prescrizione, e condannava il Comune di Pisa a corrispondere alle sigg. P. la somma di L. 17.280.000, oltre interessi dal 1/11/1995 al saldo, a favore di ciascuna attrice, a titolo risarcitorio.

Interponeva appello il Comune; le P. si difendevano e proponevano appello incidentale.

La Corte d’appello, con sentenza depositata in data 23 febbraio 2004, ha deciso la causa, rendendo il seguente dispositivo: “In accoglimento dell’appello proposto da P.F., M. P.G. e P.M.S. avverso la sentenza del Tribunale di Pisa in data 9-16 dicembre 2000, n. 1787 ed in riforma di questa, respinge le domande, proposte dalle attuali appellanti e le condanna a rifondere al Comune di Pisa le spese di giudizio, liquidate per il primo grado in Euro 9120,00, oltre CAP, per questo grado d’appello in Euro 5000,00”.

La Corte d’appello, ritenuta irrilevante la questione dell’incompetenza del Tribunale a conoscere della domanda, atteso che in ogni caso la cognizione della domanda apparteneva alla Corte, come giudice di unico grado o come giudice del gravame, ha rilevato che le appellanti incidentali avevano fatto valere, quale unico vizio afferente la procedura espropriativa, la mancata individuazione, ad opera del provvedimento che consentiva l’occupazione d’urgenza, dell’esatta estensione dell’area colpita: invece di mq. 8970, quel decreto indicava mq. 7300.

Ha ritenuto invece che la generica richiesta, secondo cui “in questa sede dovrà essere valutata nuovamente la legittimità dell’intera procedura posta in essere dal Comune – anche per ciò che concerne la regolarità delle notificazioni dei provvedimenti effettuate alle sigg.re P. – ed è a questo proposito che appare opportuno disporre una nuova C.T.U. che sia in grado di quantificare il danno effettivo subito dalle comparenti per la perdita della proprietà dell’intera area”, non era connotata da quel minimo di specificità richiesto dall’art. 344 (342)c.p.c..

Nel merito, la Corte fiorentina ha rilevato che, pur vero che il decreto del Presidente della Regione Toscana del 1 marzo 1975, che consentiva l’occupazione delle particelle 72, 36 e 73 del foglio 29 del N.C.T. del Comune di Pisa di proprietà delle P., specificava che la superficie totale delle particelle era di mq.

7320, ma che l’esatta, maggiore dimensione dell’intervento ablatorio, preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, era agevolmente desumibile da parte delle interessate dalla consultazione delle mappe catastali e della planimetria, allegate agli elenchi depositati presso il Comune, sin dall’inizio della procedura, deposito di cui le P. avevano ricevuto ciascuna rituale notifica, alle date rispettivamente, del 4, 8 e 18 maggio 1974.

La Corte del merito ha altresì osservato che, pur essendo la fase di occupazione di urgenza preordinata alla successiva espropriazione, l’autonomia funzionale e procedimentale tra le due figure imponeva di giudicare la legittimità dell’atto di privazione della proprietà privata alla stregua degli eventuali vizi propri di questa procedura, non già di quelli verificatisi durante l’occupazione, e che nel caso non erano state addotte ragioni di censura avverso il decreto di espropriazione in sè considerato, pronunciato per l’estensione corrispondente esattamente non soltanto all’area effettivamente occupata sin del 24 maggio 1976, previa comunicazione alle singole interessate dell’atto che si andava a compiere, ma anche alla superficie menzionata nel decreto del 22 gennaio 1977, n. 561, di liquidazione dell’indennità provvisoria di esproprio.

Quanto alla decisione del Tribunale, che, basandosi sulla relazione del C.t.u., aveva concluso nel senso che per la superficie di mq. 500 non era stata rispettata la procedura di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 10 cioè la previa dichiarazione di pubblica utilità, la Corte del merito, premesso che la L. n. 1 del 1978, art. 1 equipara l’approvazione dei progetti delle opere pubbliche alla dichiarazione di pubblica utilità e che, nel progetto del liceo scientifico da edificare sul terreno espropriato, era anche prevista la realizzazione degli indispensabili accessi viari, ai quali era stata destinata proprio l’area in oggetto, ha concluso nel senso di ritenere la legittimità del provvedimento ablativo, anche per l’area di mq. 500, pur non inizialmente oggetto di occupazione, ma compresa sin dall’inizio nel compendio destinato all’esproprio.

Da ciò conseguiva la fondatezza del motivo di merito dedotto dall’appellante Comune, anche a trascurare il rilievo che la prescrizione quinquennale, decorrente dalla data finale dell’occupazione legittima, 1 marzo 1980, era compiuta alla data di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione le sigg.

P. sulla base di tre motivi. Si difende il Comune con controricorso. Le ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo, le ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della non necessità dell’esatta individuazione dell’area oggetto di espropriazione; violazione e falsa applicazione degli artt. 344(342) e 345 c.p.c.; violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; violazione e falsa applicazione dell’art. 42 Cost. e dei principi generali in materia di tutela del diritto di proprietà e di buona fede e affidamento.

Secondo le ricorrenti, posto che con il decreto del Presidente della Giunta della Regione Toscana del 1 marzo 1975 era stata individuata, ai fini dell’occupazione, un’area della superficie di 7320 mq., che al momento di determinazione dell’indennità provvisoria di espropriazione, la superficie effettivamente occupata era stata fissata in mq. 8970, che area della stessa dimensione risultava individuata nel decreto di esproprio, e che quindi emergeva dalla documentazione la macroscopica differenza tra le superfici effettivamente espropriate e quelle indicate nel provvedimento di occupazione, nonchè una sovrapposizione di procedimenti, risultava immotivata la valutazione di genericità della richiesta di nuovo esame della procedura amministrativa: il giudice d’appello in sede di gravame avrebbe dovuto disporre una nuova C.T.U., al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria in relazione all’iter procedimentale seguito dall’ente espropriante, in relazione a tutte le aree di proprietà all’epoca delle ricorrenti.

E’ evidente, continuano le ricorrenti, la contraddittorietà della sentenza impugnata, che ha rilevato la discrasia tra l’estensione dell’area indicata nel provvedimento autorizzativo dell’occupazione d’urgenza e la superficie effettivamente espropriata ed ha concluso per la legittimità dei provvedimenti, senza disporre una nuova C.T.U. ad integrazione di quella svolta in primo grado,che non costituiva un nuovo mezzo di prova, nè infine la richiesta di accertamento dell’illegittimità della procedura avanzata dalle P. in via di appello incidentale poteva costituire una domanda nuova, in quanto già proposta nell’atto introduttivo del giudizio.

1.2.- Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, artt. 11 e 12 e vizio di motivazione sul punto dell’ asserita legittimità del D.P. Giunta Regionale Toscana n. 515 del 1979. Secondo le ricorrenti, è evidente come vi sia un’area per la cui espropriazione non vi è stata conforme autorizzazione all’occupazione d’urgenza, nè è stato redatto un esatto ed autonomo stato di consistenza; è errata l’asserzione della Corte territoriale, secondo cui le sigg. P. avrebbero potuto desumere le maggiori dimensioni dalla consultazione delle mappe catastali e della planimetria depositate, che non possono in alcun modo costituire il titolo su cui si fonda un’occupazione d’urgenza: l’inosservanza delle ritualità procedimentali previste dalla L. n. 865 del 1971 è idonea a viziare l’intera procedura espropriativa.

Inoltre, nell’appello incidentale, era stata espressamente censurata la violazione dei principi costituzionali di tutela del diritto di proprietà e dei principi di buona fede e affidamento, da cui la totale erroneità del capo di pronuncia relativo alla legittimità del decreto di esproprio.

Infine, la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla domanda proposta in via subordinata: per la superficie di mq. 1650 l’occupazione era illegittima, in quanto mai reso il decreto di autorizzazione all’occupazione d’urgenza relativo a detta area, e ciò anche nell’ipotesi, avanzata in via ulteriormente subordinata, che nei 1650 mq. fossero da ritenersi ricompresi i 500 mq. presi in considerazione dal C.t.u. e riconosciuti dal Tribunale.

1.3.- Con il terzo motivo, le ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione della L. n. 1 del 1978, art. 1 della L. n. 865 del 1971, artt. 10 e 11 e insufficiente, contraddittoria motivazione sul punto dell’asserita legittimità della procedura espropriativa di cui al decreto di occupazione di urgenza emesso dal sindaco di Pisa il 22 aprile 1976. Il Giudice d’appello ha ritenuto legittima la procedura di occupazione di urgenza iniziata nel 1976, sulla base della disciplina entrata in vigore solo nel 1978; era applicabile invece la L. n. 865 del 1971, art. 11 per cui la dichiarazione di pubblica utilità doveva avvenire con decreto del Presidente della Giunta regionale, costituente atto autonomo rispetto a quello di approvazione del progetto dell’opera, di competenza invece dell’Amministrazione legittimata a promuovere l’espropriazione, ossia il Comune di Pisa; nella specie, vi era stata la totale omissione delle formalità previste dalla L. n. 865, art. 10 cit. nè vi era stata alcuna comunicazione alle espropriande degli atti amministrativi costituenti dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza.

Infondata è da ritenersi l’eccezione di prescrizione, il cui dies a quo, trattandosi di risarcimento danni da occupazione illegittima, andava fissato alla scadenza del periodo di occupazione d’urgenza e quindi alla data del 1 marzo 1980, per cui alla data della notifica dell’atto di citazione(19 dicembre 1983), il termine di prescrizione non era compiuto.

2.1.- I primi due motivi del ricorso, in quanto strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente, e sono da ritenersi infondati. E’ bene premettere che, come chiaramente risulta dalla sentenza impugnata, a fronte dell’estensione dell’area, indicata nel D.P. Regione Toscana del 1 marzo 1975, per mq. 7320, il decreto n. 270 del 28/3/1977, che fissava l’indennità provvisoria di esproprio, indicava la superficie occupata in mq. 8970, indicata altresì nel decreto definitivo di esproprio dell’11/8/1979, n. 515;

secondo le ricorrenti, dall'”esubero quantitativo” di superficie tra i provvedimenti via via succedutisi nel tempo e dalla confusa ed “incomprensibile” sovrapposizione di procedimenti (una sola dichiarazione di pubblica utilità, due decreti di occupazione – il secondo decreto, emesso dal Sindaco di Pisa il 22/4/1976 per mq. 500 circa -, due decreti di determinazione di indennità provvisoria, un solo decreto di esproprio) consegue l’illegittimità della procedura espropriativa, titolo per la domanda risarcitoria azionata.

Orbene, si deve rilevare che la Corte fiorentina, quanto alla non coincidenza della superficie indicata nel decreto di occupazione di urgenza con quella effettivamente interessata alla procedura ablatoria, ha rilevato che l’esatta e maggiore dimensione dell’intervento ablatorio, preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, era agevolmente desumibile dalle interessate, grazie alla consultazione delle mappe catastali e della planimetria allegate agli elenchi depositati nella sede municipale, fin dall’inizio della procedura, deposito di cui le P. avevano ricevuto regolare notifica.

La Corte territoriale ha pertanto offerto sul punto una valutazione di merito sulla superficie occupata, che le ricorrenti hanno inteso censurare sul rilievo che le mappe catastali ed i progetti non possono costituire il “titolo” dell’occupazione d’urgenza, e che l’inosservanza delle ritualità procedimentali della L. n. 865 del 1971 vale a viziare l’intera procedura espropriativa : la prima censura è del tutto inidonea a contrastare la valutazione di fatto addotta dalla Corte del merito, basata sulla indicazione delle particelle interessate e sulla consistenza delle stesse, come risultanti dalle mappe catastali e dalle planimetrie a disposizione delle sigg. P. e contro la quale le interessate avrebbero se mai potuto opporre la differenza di estensione tra le particelle e la superficie oggetto dell’intervento ablatorio.

Quanto alla seconda censura, la stessa è in radice infondata, in quanto, ove basata sul riesame della procedura amministrativa, è stata ritenuta generica dalla Corte del merito, che inoltre, premessa l’autonomia funzionale e procedimentale tra la fase dell’occupazione d’urgenza e la successiva espropriazione, ha concluso nel senso che la legittimità del decreto di espropriazione doveva essere valutata alla stregua degli eventuali vizi propri di detta fase e non già di quelli verificatisi durante l’occupazione: contro tale argomentazione, le ricorrenti hanno opposto di avere fatto valere in atto d’appello la violazione dei principi costituzionali del diritto di proprietà, e dei principi di buona fede ed affidamento, con ciò sostanzialmente ribadendo, in termini peraltro generici, quella illegittimità “derivata”, che la Corte del merito ha ritenuto non prospettabile. Da quanto sopra rilevato, consegue l’insussistenza dei vizi denunciati, in relazione all’omessa disposizione di nuova C.T.U., e rimangono assorbite le censure di omessa pronuncia sulle domande avanzate in via subordinata, relativamente alla superficie di mq. 1650 e, in via ulteriormente subordinata, alla superficie di mq.

1150, avendo la Corte del merito risolto in radice, nei termini sopra indicati, la questione della incidenza sul provvedimento ablatorio della diversità di estensione della superficie indicata nel decreto autorizzativo dell’occupazione d’urgenza.

2.2.- Il terzo motivo è infondato, anche se, in relazione al vizio di cui alla prima alinea, deve procedersi alla correzione della motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c. Ed invero, in relazione alla dedotta assenza della dichiarazione di pubblica utilità in relazione alla superficie di mq. 500, deve rilevarsi non già l’equiparazione tra l’approvazione dei progetti di opera pubblica e la dichiarazione di pubblica utilità di cui alla L. n. 1 del 1978, art. 1 atteso che l’occupazione d’urgenza era stata avviata nel 1976, ma che l’opera faceva parte del PEEP, e che quindi la dichiarazione di pubblica utilità discendeva dall’approvazione del piano di zona: ai sensi della L. n. 1150 del 1942, art. 16 “l’approvazione dei piani particolareggiati equivale a dichiarazione di pubblica utilità delle opere ivi previste” e la L. n. 167 del 1962, art. 9 precisa che “l’approvazione dei piani equivale anche a dichiarazione di indifferibilità ed urgenza di tutte le opere, impianti ed edifici in esso previsti”.

Resta assorbita la censura sulla prescrizione, ritenuta in via incidentale dalla Corte del merito, neppure tra l’altro indicata nella rubrica del terzo motivo. Resta da rilevare l’inammissibilità dell’istanza del Comune di Pisa, di rilievo dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata, e di condanna alla restituzione, trattandosi di provvedimenti ambedue riservati al Giudice del merito, ai sensi rispettivamente, degli artt. 287 e 288 c.p.c. (così, tra le ultime, Cass. 11333/2009) e dell’art. 389 c.p.c. (così Cass. 13461/2006, 13736/04, tra le tante).

3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nettamente prevalente delle ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2300,00, oltre Euro 200,00 per spese; oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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