Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21230 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 09/08/2019), n.21230

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5392/2018 proposto da:

M.G., in proprio e nella qualità di genitore

esercente la responsabilità genitoriale sulla minore

M.S., domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato

Emanuele Mazzola, rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Pirillo

giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

F.F.;

– intimata –

Avverso sentenza della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO, depositata il

04/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal cons. Dott. MAURO DI MARZIO;

Udito il Pubblico Ministero che ha concluso per l’accoglimento del

primo motivo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – M.G., in proprio e nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore M.S., ricorre per sette motivi, illustrati da memoria, nei confronti di F.F., contro la sentenza del 4 luglio 2017 con cui la Corte d’appello di Catanzaro, provvedendo in parziale riforma di un provvedimento reso tra le parti dal Tribunale di Cosenza, nonchè sul ricorso proposto dal M. ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., ha disposto che gli incontri tra quest’ultimo e la figlia S. avvengano con l’ausilio e l’assistenza del consultorio familiare del luogo di dimora della bambina, sulla base di un programma volto a dare piena e progressiva attuazione alla pronuncia del Tribunale, nel resto confermata; ha ammonito la F. ad eliminare ogni forma di condotta e non favorisca la ripresa dei rapporti tra il M. e la figlia S.; ha condannato la stessa F. al risarcimento del danno in favore del M., liquidato in Euro 2000,00, oltre interessi, regolando infine le spese di lite.

La Corte territoriale, constatata una anomala situazione nei rapporti tra padre e figlia, che ad un dato momento aveva iniziato a manifestare avversione e rifiuto verso la figura paterna, situazione tale da pregiudicare non solo il diritto di visita dell’uno, quanto soprattutto il diritto della bambina alla bigenitorialità, ha osservato che gli elementi emersi dall’istruttoria non erano univoci, e, tuttavia:

-) certamente avevano influito, nel determinare tale situazione, la accesa conflittualità tra i genitori e le rispettive famiglie, l’incapacità di entrambi di mediare, comunicare tra loro e di usare il buon senso anzichè ricorrere alla congerie di denunce reciproche o comunicare tramite lettere dei rispettivi avvocati, l’incapacità di assumere un ruolo autorevole e responsabile di genitori, evitando le continue interferenze dei rispettivi familiari e tutelando, reciprocamente, la rispettiva figura genitoriale, paterna e materna

-) di tale situazione erano responsabili entrambi i genitori, e, nondimeno, era indubbio che la F., quale genitore di riferimento della bambina, avesse il compito maggiore nel garantire alla stessa la bigenitorialità e, segnatamente, nel tutelare la figura genitoriale paterna, nel favorire i rapporti con il padre, nel proteggere tali rapporti dalle interferenze dei suoi genitori;

-) nessun rilievo poteva ascriversi alla eventuale volontà della bimba di non incontrare il padre, sia perchè tale situazione avrebbe dovuto allarmare la madre e indurla a ricorrere ad un ausilio psicologico effettivo per comprendere le cause e per risolvere il problema, sia, soprattutto, perchè l’iniziale rapporto della bambina col padre, definito “bellissimo” dalla stessa F., doveva essere tutelato dalla madre nell’interesse della figlia, essendo funzionale al suo sano e sereno sviluppo;

-) dalla produzione documentale del M. emergeva, quanto meno nel primo periodo successivo alla cessazione della convivenza, un atteggiamento arrogante e di chiusura della F. nei confronti dell’ex compagno;

-) dalle relazioni dei Servizi sociali, per il resto, non emergevano condizioni di vita materiali o morali preoccupanti, risultando la F. una madre abbastanza attenta e capace di accudire la figlia, cosi come i nonni materni, affettuosi con la bimba e presenti;

-) benchè la situazione di fatto fosse parzialmente diversa da quella descritta dal Tribunale, non sussistevano i presupposti per modificare nè l’affido condiviso, nè l’attuale dimora della bambina presso la madre, atteso che le pur gravi problematiche rilevate in ordine alle frequentazione tra padre e figlia non escludevano, sotto i restanti profili, l’adeguatezza della F. a svolgere il ruolo di madre;

-) la bambina, di anni sei, cresciuta sempre insieme alla madre, avrebbe subito un trauma da mutamenti delle sue condizioni di vita, dal momento che il M. e i suoi familiari, pur per ragioni in parte non agli stessi ascrivibili, non avevano instaurato un rapporto affettivo e di fiducia con la piccola, tale da consentire loro di curarla in maniera autonoma e prevalente;

-) l’esigenza assolutamente prioritaria, nell’interesse della minore, era allora non tanto quella di sconvolgere la sua esistenza, ma di recuperare gradatamente il rapporto con il M.;

-) pertanto le misure adottate dal Tribunale non erano inadeguate, salva la loro integrazione nei termini precisati in dispositivo, attesa la necessità che i genitori siano supportati da esperti nel progetto di recupero della figura genitoriale patema nell’interesse della minore, per evitare danni irreparabili nel corso del suo sviluppo o, almeno, limitarli;

-) non era funzionale all’interesse della minore, invece, sospendere le, già di fatto cessate, frequentazioni con il padre, risultando, per contro, urgente la loro ripresa, peraltro, in maniera graduale;

-) il ricorso del M. ex art. 709 ter c.p.c. meritava accoglimento, attesa la maggiore responsabilità della F. nella grave situazione determinatasi negli anni in cui, di fatto, aveva accudito in autonomia la figlia.

2. – F.F., nei cui riguardi è stata disposta la rinnovazione della notificazione del ricorso, non spiega difese.

3. – Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene sette motivi.

Il primo motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 3, dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 132c.p.c., n. 4, dell’art. 118disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 111 e 24 Cost., lamentando omessa pronuncia sulle domande subordinate di modifica delle modalità di esercizio del diritto di visita del padre, divieto per la madre di portare con sè la figlia nelle frequentazioni sentimentali che essa intrattiene, soprattutto in ipotesi di partners aventi precedenti pendenze penali, o, comunque, non moralmente integre, in quanto costituenti fonte di pregiudizio per la minore, riconoscimento del diritto del padre di fare partecipe la figlia alle maggiori ricorrenze riguardanti sè e la sua famiglia, omessa pronuncia determinativa di nullità, conseguente all’omessa indicazione delle conclusioni prese al riguardo, difetto di motivazione determinativo di nullità della sentenza per violazione delle norme contemplanti l’obbligo di motivare, come conseguenza della mancata indicazione delle conclusioni avvolgenti tali domande.

Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 3, art. 132, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 111 e 24 Cost., violazione o falsa applicazione dell’art. 709 ter c.p.c., lamentando l’omessa condanna ex art. 709 ter c.p.c. della genitrice ritenuta responsabile di comportamento pregiudizievole per la figlia minore al risarcimento danni in favore di costei, omessa condanna della genitrice al pagamento di sanzione in favore della cassa per le ammende ex art. 709 ter citato, violazione dell’obbligo di indicazione delle conclusioni delle parti in sentenza, determinativa di violazione di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di violazione dell’obbligo di motivazione, violazione dell’interesse della minore.

Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 61,62,112,115,116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 111 e 24 Cost., ed inoltre violazione e falsa applicazione degli artt. 336 bis, 337 ter e 337 octies c.c., lamentando mancata ammissione della CTU psicologica e dell’audizione della minore, difetto di motivazione determinativo di violazione di legge al riguardo, violazione del principio di disponibilità delle prove, conseguente nullità della sentenza, violazione dell’interesse della minore.

Il quarto motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 111 e 24 Cost., degli artt. 737, 738 e 739 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 336,337 bis, 337 ter e 337 octies c.c., lamentando mancata ammissione di sommarie informazioni o prova testimoniale e dell’audizione e visione di videoregistrazione su supporto magnetico, omessa motivazione, violazione del principio di disponibilità delle prove, violazione dell’interesse della minore.

Il quinto motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 112,115 e 116, art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., artt. 111 e 24 Cost., artt. 210 e 213 c.p.c. e art. 738 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 337 octies c.p.c., lamentando omessa assunzione di informazioni anche ex art. 213 c.p.c. per omessa emissione di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., violazione del principio di disponibilità delle prove, omessa motivazione, violazione di legge determinativa di nullità della sentenza, violazione dell’interesse della minore.

Il sesto motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., artt. 111 e 24 Cost., violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 337 octies c.c., lamentando omesso esame di documenti, violazione del principio di disponibilità delle prove, omessa motivazione, violazione di legge determinativa di nullità della sentenza, violazione dell’interesse della minore.

Il settimo motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 116, art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., artt. 111 e 24 Cost., lamentando motivazione apparente, perplessa e difetto della motivazione per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili formulate in sentenza, individuazione della responsabilità della madre riguardo all’allontanamento della minore dal padre, supportata da indicazione di fatti specifici ed elementi probatori acquisiti, contemporanea mera affermazione di colpa del padre, in carenza, tuttavia, di indicazione di fatti ed elementi probatori di riscontro, affermazione non motivata di corresponsabilità.

2. – Il ricorso va respinto.

2.1. – Il primo motivo è inammissibile.

La censura, e per lo più l’intero ricorso per cassazione, denuncia una pluralità di errores in procedendo – la violazione del supposto obbligo di trascrivere in sentenza le conclusioni prese dalle parti, dell’obbligo di motivazione, del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato -, che viceversa non sussistono, con l’evidente finalità di rimettere inammissibilmente in discussione la valutazione di merito compiuta dalla Corte territoriale, la quale ha ritenuto che il provvedimento già adottato dal Tribunale, che aveva previsto la collocazione della bambina presso la madre, dovesse essere sostanzialmente confermato, seppur con le integrazioni di cui si è dato conto in espositiva.

Ciò detto, quanto alla questione delle conclusioni, questa Corte è ferma nel ripetere che l’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti non è di per sè causa di nullità della sentenza, assumendo rilevanza solo se ed in quanto accompagnata dalla mancata considerazione delle stesse da parte del giudice (p. es. Cass. 9 maggio 2018, n. 11150), sicchè, in altri termini, non l’omessa trascrizione rileva, bensì l’omessa pronuncia sulle conclusioni prese, i.e. la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Ma è cosa nota che il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato comporta semplicemente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda di merito.

In giurisprudenza è stato in tal senso più volte affermato che il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 19 giugno 2004, n. 11455; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868).

Va da sè che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica, in particolare, quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 11 settembre 2015, n. 17956).

Il vizio di omessa pronuncia, d’altronde, non è prospettabile in relazione a domande diverse da quelle di merito. Il mancato esame da parte del giudice, sollecitazione dalla parte, di una questione puramente processuale – infatti – non può dare luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito e non può assurgere a causa autonoma di nullità della sentenza (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21424).

Viceversa, l’omesso esame di un argomento difensivo spiegato da una delle parti si colloca non già dal versante dell’osservanza dell’art. 112 c.p.c., bensì da quello del rispetto dell’obbligo motivazionale: riguardo al quale trova applicazione il ribadito principio secondo cui al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass. 20 novembre 2009, n. 24542).

Orbene, tali essendo i consolidati principi operanti nella materia, è del tutto evidente che la Corte d’appello, nel confermare, con le precisazioni già menzionate, il provvedimento del Tribunale, ha pienamente risposto alla domanda devolutagli con l’originario ricorso proposto dalla F. ai sensi dell’allora vigente art. 317 bis c.c., mentre la denunciata omessa considerazione degli aspetti, sollevati dal padre, concernenti il rapporto tra la bambina ed il nuovo partner della madre si colloca dal versante del sindacato motivazionale, che, però, il vigente art. 360 c.p.c. non ammette, se non nei limiti di cui al n. 5 (peraltro nella specie inapplicabile, versandosi in ipotesi di “doppia conforme”), il quale si riferisce all’omessa considerazione di un fatto storico (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053), principale o secondario, dibattuto tra le parti e decisivo, ossia tale che, se considerato, avrebbe condotto ad una decisione diversa da quella assunta.

Quanto alla violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, i principi da applicare sono nuovamente del tutto fermi e tali da collocare il motivo di ricorso nell’ambito dell’inammissibile sindacato motivazionale. Difatti, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053). E’ dunque nulla, per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. la sentenza in cui sia totalmente omessa, per materiale mancanza, la parte della motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione (Cass. 22 giugno 2015, n. 12864), mentre la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232).

Nel caso in esame, come si è già visto, la denuncia di violazione dell’obbligo motivazionale è palesemente fuor d’opera, giacchè la Corte d’appello ha viceversa motivatamente ritenuto, in modo comprensibilissimo, come si è visto in espositiva, che la F. porti una parte, fors’anche prevalente, di responsabilità nell’allontanamento della bambina dal padre, e che tuttavia, alla luce degli elementi istruttori raccolti, ivi comprese le relazioni dei servizi sociali, la permanenza della bambina con la madre offra migliori prospettive di crescita della medesima di quante non ne offra la separazione da lei e la collocazione presso il padre.

2.2. – Il secondo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Trovano applicazione, in generale, con riguardo all’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 3, art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 111 e 24 Cost., i principi richiamati nell’esame del motivo precedente.

Richiamati i menzionati principi, occorre aggiungere quanto segue.

Quanto all’omessa condanna della genitrice al pagamento di sanzione in favore della cassa per le ammende ex art. 709 ter c.p.c., il motivo è doppiamente inammissibile, sia perchè non autosufficiente, dal momento che detta condanna non risulta chiesta nelle conclusioni trascritte alle pagine 1-2 della sentenza impugnata, nè emerge dal ricorso dove detta domanda fosse stata eventualmente formulata, sia perchè l’art. 709 ter c.p.c. contempla l’esercizio di un potere discrezionale, giacchè stabilisce che il giudice “può” condannare il genitore inadempiente “al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria”, evidentemente in funzione della gravità della condotta del detto genitore, potere discrezionale che, nel caso di specie, la Corte d’appello ha insindacabilmente ritenuto di non esercitare, avendo peraltro ritenuto non particolarmente grave, come subito si dirà, la condotta della F..

Quanto all’omessa condanna ex art. 709 ter c.p.c. della genitrice, ritenuta responsabile di comportamento pregiudizievole per la figlia minore al risarcimento danni in favore di costei, si è già detto che la violazione dell’art. 112 c.p.c. non sussiste quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione.

Nel caso in esame, la Corte d’appello ha adottato una motivazione la quale comporta, sia pure implicitamente, il rigetto della domanda risarcitoria avanzata in favore della minore. La sentenza impugnata, infatti, addebita ad entrambi i genitori la violazione del diritto alla bigenitorialità della figlia: “si tratta di individuare le cause di tale anomala situazione nei rapporti tra padre e figlia, tale da pregiudicare, gravemente, non solo e non tanto il c.d. diritto di visita del M. delle sue prerogative di genitore, quanto, anche e soprattutto, il diritto della bambina alla bigenitorialità” (pagina 6-7 della sentenza impugnata).

Bigenitorialità pregiudicata anzitutto dalla “accesa conflittualità tra i genitori e tra le rispettive famiglie”, dalla “incapacità di entrambi di mediare, comunicare tra loro e di usare il buon senso”, dalla “incapacità di assumere un ruolo autorevole irresponsabile dei genitori, evitando le continue interferenze dei rispettivi familiari e tutelando, reciprocamente, la rispettiva figura genitoriale, paterna e materna”.

Se, dunque, la F. ha violato il diritto di visita del padre, entrambi hanno sinergicamente pregiudicato il diritto della bambina alla bigenitorialità, di guisa che le responsabilità dell’uno hanno trovato fondamento nelle responsabilità dell’altro, e viceversa, nel che si inscrive con tutta evidenza il rigetto della domanda risarcitoria spiegata nei riguardi della madre ed in favore della minore.

Sicchè nella seconda parte il motivo è infondato.

2.3. – Il terzo motivo è in parte inammissibile in parte infondato.

La violazione dell’art. 112 c.p.c. non è richiamata a proposito, con riguardo al diniego di istanze istruttorie, secondo quanto si è già visto.

Della mancanza di motivazione si è già detto.

Quanto alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è appena il caso di rammentare che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione di tali norme non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 11 dicembre 2015, n. 25029; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960): nel caso di specie la violazione delle richiamate norme è dunque del tutto fuor d’opera, giacchè il motivo ha ad oggetto semplicemente la valutazione del materiale istruttorio disponibile e delle istanze istruttorie avanzate dal M..

Quanto alla consulenza tecnica d’ufficio, è noto che il giudizio sulla necessità di farvi ricorso rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità.

E’ vero che tale principio va contemperato con l’altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata su una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, sicchè se la soluzione scelta risulti carente sul piano motivazionale, è sindacabile in sede di legittimità sotto l’anzidetto profilo (Cass. 3 gennaio 2011, n. 72), ma è altrettanto vero che il sindacato motivazionale è oggi circoscritto nei limiti del “minimo costituzionale”, e che, oltre all’anomalia motivazionale che si determina per la violazione di detta soglia, solo il vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo: ne consegue che il ricorrente non può limitarsi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori, ma deve indicare l’esistenza di uno o più fatti specifici, il cui esame è stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui essi risultino, il come ed il quando tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e la loro decisività (Cass. 23 marzo 2017, n. 7472).

Va da sè, nel caso di specie, che non vi è alcun margine per sindacare la decisione della Corte territoriale di disattendere l’istanza di consulenza tecnica d’ufficio perchè giudicata esplorativa, senza che dal ricorso riesca a desumersi perchè non lo fosse.

Quanto all’audizione della minore, occorre mutuare il principio già affermato secondo cui, in tema di adozione, la L. n. 184 del 1983, art. 15 come modificato dalla L. n. 149 del 2001, per il quale il minore di età inferiore ai dodici anni, se capace di discernimento, deve essere sentito in vista della dichiarazione di adottabilità, conferisce al giudice un potere discrezionale di disporne l’ascolto, anche al fine di verificarne la capacità di discernimento, senza tuttavia imporgli di motivare sulle ragioni dell’omessa audizione, salvo che la parte abbia presentato una specifica istanza con cui abbia indicato gli argomenti ed i temi di approfondimento, ex art. 336-bis c.c., comma 2, su cui ritenga necessario l’ascolto del minore (Cass. 7 marzo 2017, n. 5676).

2.4. – Il quarto motivo è inammissibile.

Secondo quanto si è già osservato, gli artt. 112,115,116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., artt. 111 e 24 Cost. non sono richiamati a proposito.

In ordine al diniego di ammissione dei mezzi istruttori, è sufficiente limitarsi ad osservare che il diniego è stato motivato sia in ragione della sufficienza degli elementi istruttori già raccolti, sia in ragione della genericità e del carattere esplorativo dei mezzi istruttori richiesti, e tale valutazione non è specificamente attinta dalla censura.

2.5. – Il quinto motivo è inammissibile.

Oltre a quanto finora osservato, è sufficiente aggiungere che l’ordine di esibizione è oggetto di un potere discrezionale (tra le tante Cass. 25 ottobre 2013, n. 24188), come pure quello di richiedere informazioni alla pubblica amministrazione (Cass. 2 settembre 2003, n. 12789).

2.5. – Il sesto motivo, con cui si critica la Corte d’appello per non aver valutato gli atti processuali diretti a dimostrare le condotte pregiudizievoli posti in essere dalla madre, è inammissibile.

Qui siamo nel pieno sindacato di merito della decisione adottata dalla Corte d’appello.

Occorre dunque rammentare che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, nei limiti in cui detto sindacato è tuttora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5 delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357). Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 17 luglio 2001, n. 9662). Oltretutto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (ex plurimis: Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 21 aprile 2006, n. 9368).

2.7. – Il settimo motivo, volto a lamentare motivazione apparente e perplessa sull’individuazione delle specifiche colpe di entrambi i genitori nella determinazione dell’allontanamento della figlia dal padre, è inammissibile.

Si è già visto che la motivazione c’è, e tale motivazione il ricorrente vorrebbe riconsiderare: la qual cosa è estranea alla funzione del ricorso per cassazione.

3. – Nulla per le spese. Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

4. – Si dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; nulla per le spese; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che non sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis; dispone l’oscuramento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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