Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2123 del 29/01/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 2123 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 26149-2012 proposto da:
DE

CONCILIO

elettivamente

SABATO

C.F.

domiciliato

in

DCNSBT58S02H703F,
ROMA,

VIA

PAOLA

FALCONIERI 110, presso lo studio dell’avvocato
SETTIMI° CATALISANO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MASSIMO CUPELLO, giusta
2017

delega in atti;
– ricorrente –

3878

contro

BRACCO REAL ESTATE S.R.L., BRACCO S.P.A., in persona
dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 29/01/2018

domiciliati in ROMA, VIA SALARIA 259, presso lo
studio dell’avvocato MARCO PASSALACQUA, che li
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
MARCELLO GIUSTINIANI, ANTONELLA NEGRI, giusta delega
in atti;

avverso la sentenza n. 1434/2011 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/06/2012 R.G.N.
1455/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del. 05/10/2ù17 dal Comiiidliere Dott. vAuRIZE)
AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato MASSIMO CUPELLO;
udito l’Avvocato ARIANNA COLOMBO per delega verbale
Avvocato MARCO PASSALACQUA.

– controricorrentí

R.G. n. 26149/2012

Fatti di causa

1. Con sentenza del 18 giugno 2012 la Corte di Appello di Milano ha respinto
l’appello proposto da Sabato De Concilio nei confronti di Bracco Spa e Bracco Real
Estate Spa avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda

“tiroidite cronica autoimmune con ipotiroidismo subclinico” asseritamente
contratta a causa della esposizione allo iodio durante il rapporto di lavoro con
dette società.
La Corte territoriale, espletata istruttoria in grado di appello, ha ritenuto
l’infondatezza della domanda attorea sulla scorta di una consulenza tecnica
d’ufficio che ha escluso “vi possa essere stata relazione causale tra la non
rilevante esposizione alle uniche sostanze iodate presenti nelle lavorazioni
effettuate dal De Concilio e la malattia” nonché una condotta colposa o
inadempiente da parte delle datrici di lavoro.
2. Per la cassazione di tale sentenza ricorre Sabato De Concilio con quattro
motivi. Resistono con unico controricorso entrambe le società, depositando altresì
memoria ex art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3,
c.p.c., “violazione/falsa applicazione art. 2087 c.c.”, assumendo che il giudice del
merito avrebbe omesso di considerare se il datore di lavoro avesse dato prova di
aver posto in atto tutte le misure possibili idonee ad evitare il danno.
Con il secondo motivo si denuncia “omessa e/o carente motivazione in punto
di responsabilità datoriale” per non essersi espressa la sentenza impugnata circa
la regolarità della condotta datoriale nel non aver adibito il lavoratore ad altre
mansioni nonostante una diagnosi effettuata dal medico del lavoro aziendale nel
luglio del 1986.
Con il terzo motivo si lamenta ancora “carente motivazione in punto di
valutazione della condotta datoriale” per non avere il giudice del merito

volta ad ottenere il risarcimento del danno ex art. 2087 c.c. in relazione ad una

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“approfondito” il tema riguardante l’adozione, da parte del datore di lavoro, di
idonei dispositivi per la sicurezza ambientale sul luogo di lavoro.
Con il quarto motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., si
denuncia “difetto di motivazione circa l’esistenza del nesso causale e della colpa
nella condotta datoriale” per avere la Corte di Appello tratto il convincimento “che

nettamente inferiore a quella massima consentita”, sulla base della stessa
documentazione prodotta dalla datrice di lavoro “consistente nei risultati di analisi
dalla stessa effettuati”.
2. Il ricorso non può trovare accoglimento in quanto tutti i motivi, che
possono essere trattati congiuntamente, tendono nella sostanza, anche il primo
che solo formalmente invoca una violazione e falsa applicazione di legge, ad una
rivalutazione del materiale probatorio circa la sussistenza di fatti, quali il nesso
causale tra malattia e prestazione di lavoro nonché l’esistenza di una condotta
datoriale inadempiente in violazione dell’art. 2087 c.c..
Invero il nesso causale è stato escluso dalla consulenza tecnica d’ufficio
espletata in grado d’appello e la Corte milanese, con motivazione
sufficientemente supportata, ha ritenuto, esaminando le risultanze istruttorie, che
non vi fossero “ragioni per poter affermare l’inadempienza della società, proprio
in ragione della peculiare eziologia della malattia e della condotta tenuta dalla
società”.
Come noto il vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il
potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito,
essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte
di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso
l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.
Per conseguenza, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vizio
di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà
della medesima a mente della formulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. pro
tempore vigente, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice

2

la quantità di iodio presente nell’aria, nei reparti lavorativi in questione, era

R.G. n. 26149/2012

di merito, siano rinvenibili tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di
punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero
qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente
adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico
posto a base della decisione; al contempo deve osservarsi che il compito di

individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le

complessive

risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito; ne deriva che le

censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi
di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni
del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle
risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata.
Infine va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di
merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che
essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni
svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio
convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le
argomentazioni logicamente incompatibili con esse.
Nel caso in esame la sentenza impugnata ha esaminato le circostanze rilevanti
ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente e
immune da contraddizioni e vizi logici emergenti dalla sentenza stessa; le
valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano
quindi un’opzione interpretativa del materiale probatorio, anche di derivazione
peritale, del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre
scelte interpretative anch’esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria
del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (cfr., ex
plurimis, Cass., n. 7123 del 2014).
Invero, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che denunci, quale vizio

di motivazione, l’insufficiente giustificazione logica dell’apprezzamento dei fatti
della controversia o delle prove, non può limitarsi prospettare una spiegazione di
tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o

.1

3

valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonché di

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probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poiché è necessario che tale
spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (cfr. Cass. n. 25927
del 2015).
Invece parte ricorrente, lungi dal denunciare una totale obliterazione di un
“fatto controverso e decisivo” che, ove valutato, avrebbe condotto, con criterio di

attraverso un riesame delle risultanze istruttorie, a far valere la non rispondenza
delle valutazioni operate dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo
patrocinato dalla parte, proponendo un preteso migliore e più appagante
coordinamento dei molteplici dati acquisiti.
Tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione
degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale
convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c..
Sicché tutte le doglianze contenute in ciascuno dei motivi si traducono, in
definitiva, nell’invocata revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal
giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa
perché del tutto estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.
3. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del
soccombente al pagamento delle spese liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle
spese liquidate in euro 3.700,00, di cui euro 200 per esborsi, oltre accessori
secondo legge e spese generali al 15%.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 ottobre 2017

certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, si è limitata,

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