Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2123 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. I, 29/01/2010, (ud. 14/10/2009, dep. 29/01/2010), n.2123

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A. (c.f. (OMISSIS)), S.S. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 44 – INT. 23, presso l’avvocato STERI STEFANIA,

rappresentate e difese dall’avvocato TUTONE GABRIELLA, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.F. (c.f. (OMISSIS)), nella qualita’ di

curatore speciale dei minori C.G. e CO.GA.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 145, presso

l’avvocato LOMBARDI ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIAMPORCARO LORENZO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente-

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

PALERMO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 48/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 29/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

14/10/2009 dal Consigliere Dott. DI PALMA Salvatore, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato ROBERTO LOMBARDI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la manifesta infondatezza

del ricorso, con condanna aggravata alle spese;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato GABRIELLA TUTONE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con il decreto del 30 maggio – 19 giugno 2006, il Tribunale per i minorenni di Palermo dichiaro’ lo stato di adottabilita’ dei minori G. e Co.Ga., nati dal matrimonio di C. P. ed R.A., rispettivamente, il 23 marzo 1996 ed il 28 maggio 1997. I minori erano stati segnalati al predetto Tribunale – fin dal 2004 – dal G.O.I.A.M. (Gruppo Operativo Interdisciplinare Abusi e Maltrattamenti) di Palermo quali persone oggetto di sospetti abusi e maltrattamenti da parte del padre.

Con la successiva sentenza del 19 gennaio 2007, lo stesso Tribunale rigetto’ l’opposizione avverso detto decreto. A tale decisione il Tribunale giunse sulla base dei disposti accertamenti psico – socio – ambientali, dai quali era emerso sia che i minori erano stati effettivamente oggetto dei denunciati abusi e maltrattamenti da parte del padre, sia che doveva escludersi la loro permanenza nella famiglia, sia che la nonna paterna, C.C.G., e la nonna e prozia materne, A. e S.S., dovevano ritenersi inidonee a svolgere adeguatamente la funzione genitoriale:

la nonna paterna, perche’ rifiutava persino l’idea che il figlio avesse potuto rendersi responsabile degli atti denunciati; la nonna e la prozia materne – che pure erano state affidatarie provvisorie dei minori -, perche’ avevano consentito che questi continuassero a frequentare il padre, nonostante il divieto del Tribunale. Sulla base di tali considerazioni, i minori erano stati collocati presso la “casa Famiglia (OMISSIS)”.

2. – Avverso tale sentenza proposero appello dinanzi alla Corte d’Appello di Palermo – sezione per i minorenni la madre dei minori, R.A., la nonna paterna, C.C. G. e la nonna e la prozia materne, A. e S.S..

Si costitui’ per i minori, chiedendo la reiezione degli appelli, la nominata curatrice speciale, Avv. S.F..

La Corte adita – disposte l’audizione delle appellanti, consulenza tecnica d’ufficio sulla idoneita’ delle sorelle S. ad occuparsi dei minori e l’acquisizione della sentenza irrevocabile di condanna (per le violenze sessuali perpetrate in danno della figlia G.) pronunciata nei confronti del padre dei minori, C.P. -, con la sentenza n. 48/08 del 29 novembre 2008, rigetto’ tutti gli appelli.

In particolare la Corte – dopo aver affermato, quanto all’appello della madre dei minori, che “l’atteggiamento di connivenza con la condotta incestuosa e violenta del marito appare inequivocabile�, e, quanto all’appello della nonna paterna, che “l’impostazione dello stesso e’ … contraddistinta dal sostanziale diniego degli abusi da parte del padre, … dubitandosi, espressamente, della credibilita’ dei minori …� -, per quanto in questa sede ancora rileva, cioe’ con riferimento all’appello della nonna e della prozia materne, ha osservato:

A) “I CTU … hanno riferito che i due minori presentano una netta confusione mentale e psicologica in relazione ai legami affettivi, e fanno affermazioni che non provengono da un processo di riflessione personale, ma costituiscono le conseguenze della mancata attivazione di un processo riparativo dei traumi subiti. Ora, seppure e’ vero che tale mancanza non e’ imputabile alle sorelle S., di cui e’ stata posta in evidenza la reale affettivita’, cio’ non toglie che costoro vengano percepite dai minori come figure appartenenti al passato e catalogate in una posizione ambigua e ambivalente, dato che le stesse, pur rappresentando i dolci affetti della prima infanzia, sono successivamente divenute figure incapaci di fornire adeguato contenimento e difesa dai loro genitori che li hanno delusi e frustrati…. i consulenti hanno evidenziato che l’elevato livello di conflittualita’ riscontrato nei bambini rispetto alla propria madre non permette loro di definire la relazione affettiva con la nonna e con la zia, ed hanno concluso affermando l’inopportunita’ della ripresa dei rapporti tra le sorelle S. ed i nipotini, essendo, prima, necessario un intervento psicoterapeutico di una durata non inferiore ai sei – otto mesi, all’esito del quale valutare se sussistano le condizioni per l’eventuale ripresa dei detti rapporti�.

B) “… lo stato d’animo di sfiducia nella capacita’ di tutela delle predette congiunte, registrato dai consulenti, altro non e’ che la conseguenza della pregressa condotta delle stesse, ed, in ispecie, del fatto che, nel periodo in cui i bambini sono stati affidati alle loro cure, all’inizio del procedimento, i minori hanno continuato ad incontrare il padre, come si desume dalla relazione del 19.6.2004 dell’istituto scolastico di G. …, dagli accertamenti condotti dalla citata consulenza della Dott. M., nonche’ dalle affermazioni della stessa G., la quale ha riferito che la madre, nel periodo in cui vigeva il divieto di prelevamento e visita, li prendeva e li portava dal padre�.

C) “La valutazione globale delle esposte circostanze depongono, in conclusione, per l’attuale insussistenza di rapporti significativi, connotati positivamente, tra la nonna, la zia e i due minori, rapporti che costituiscono – il presupposto giuridico essenziale per escludere lo stato di abbandono; dovendo, infine, escludersi la fattibilita’ del rinvio del presente procedimento ipotizzato dai CTU – sia per la necessita’ di definire, al piu’ presto, la lunga condizione di attesa dei minori, che per l’incertezza stessa dell’esito della terapia consigliata (in teoria, infatti, l’esito del trattamento potrebbe compromettere, definitivamente, le condizioni per la ripresa dei rapporti)�.

3. – Avverso tale sentenza A. e S.S. hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo cinque motivi di censura, illustrati con memoria.

Resiste, con controricorso, la curatrice dei minori G. e Co.Ga., Avv. S.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo (con cui deducono: “Violazione e falsa applicazione della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 1, commi 1 e 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3�), il secondo (con cui deducono:

“Violazione e falsa applicazione della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 8, commi 1 e 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3�) ed il terzo motivo (con cui deducono: “Violazione e falsa applicazione della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 12 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3�) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, le ricorrenti criticano la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici a quibus hanno violato:

a) i principi di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 1, commi 1 e 3 perche’, non recependo il suggerimento dei consulenti tecnici d’ufficio – secondo cui prima della ripresa dei rapporti tra le sorelle S. ed i nipoti era necessario un intervento psicoterapeutico di una durata non inferiore ai sei – otto mesi, all’esito del quale valutare se fossero sussistite le condizioni per un’eventuale ripresa dei detti rapporti -, hanno impedito la realizzazione del diritto dei minori a crescere e ad essere educati nella loro famiglia d’origine;

b) i precetti di cui alla stessa L. n. 184 del 1983, art. 8, commi 1 e 3 perche’, nella specie, hanno ritenuto integrata la situazione di abbandono dei minori stessi, nonostante i medesimi consulenti tecnici d’ufficio avessero sottolineato, con il suggerimento del predetto percorso terapeutico, la natura transeunte dello stato di abbandono, e l’intervenuta irrevocabilita’ della sentenza di condanna del padre dei minori, con contestuale ordine di carcerazione, avesse determinato un radicale e decisivo mutamento della situazione del gruppo familiare di origine;

c) la medesima L. n. 184 del 1983, art. 12 – nella parte in cui richiede la sussistenza della situazione di abbandono anche con riferimento ai parenti, tenuti a provvedere all’assistenza morale e materiale dei minori, i quali abbiano mantenuto rapporti significativi, “da intendersi relazioni materiali ed affettive intercorse nel passato tra il minore ed il parente tenuto a provvedervi� (cfr. ricorso, pag. 12), con i minori stessi -, perche’ non hanno tenuto conto che, secondo quanto accertato dai consulenti tecnici d’ufficio, la nonna e la zia materne hanno rappresentato, nel passato, importanti punti di riferimento affettivo e materiale dei nipoti.

Con il quarto (con cui deducono: «Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5�) e con il quinto motivo (con cui deducono:

“Insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5�) – i quali possono essere del pari esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, le ricorrenti criticano per altri versi la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici a quibus:

a) hanno trascurato di considerare la decisiva circostanza che non le ricorrenti, affidatarie provvisorie dei minori nel 2004, bensi’ esclusivamente la madre di questi ultimi – alla quale era stato conservato il diritto di mantenere i rapporti con i figli – aveva consentito la continuazione dei rapporti padre – figli;

b) non hanno sufficientemente ed univocamente motivato la decisione di negare il rinvio del procedimento in attesa dell’esito del percorso terapeutico suggerito dai consulenti tecnici d’ufficio.

2. – Il ricorso non merita accoglimento.

2.1. – Deve premettersi che il thema decidendum e’ circoscritto, rispetto al giudizio a quo – al quale hanno partecipato anche la madre e la nonna paterna dei minori G. e Co.Ga. -, alla posizione delle sole ricorrenti, A. e S.S., rispettivamente, nonna e prozia materne degli stessi minori. La sentenza impugnata, infatti, e’ divenuta definitiva quanto all’accertato stato di abbandono in cui versano i minori medesimi rispetto alla loro madre e nonna paterna.

2.2. – E’ noto che questa Corte, con consolidato orientamento condiviso dal Collegio, ha piu’ volte affermato che il principio ispiratore della disciplina dell’adozione, secondo cui il minore ha diritto ad essere educato nella propria famiglia di origine, incontra i suoi limiti la’ dove questa non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie, ne’ di assicurare l’adempimento dell’obbligo di mantenere, educare ed istruire la prole, con conseguente configurabilita’ dello stato di abbandono; che tale situazione non viene meno per il solo fatto che al minore siano prestate le cure materiali essenziali da parte dei genitori o di taluno dei parenti entro il quarto grado, risultando necessario, in tal caso, accertare che l’ambiente domestico sia in grado di garantire un equilibrato ed armonioso sviluppo della personalita’ del minore, e che la valutazione di idoneita’ di detti parenti alla assistenza del minore stesso non puo’ prescindere dalla considerazione della pregressa condotta degli uni in relazione all’altro, come previsto dalla L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 12 che espressamente richiede il mantenimento di rapporti significativi con il minore medesimo (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 18113 del 2006 e 12662 del 2004).

Piu’ in particolare, quanto al significato da attribuire al presupposto giuridico essenziale previsto dalla L. n. 184 del 1983, art. 12, comma 1 per escludere lo stato di abbandono del minore rispetto ai parenti entro il quarto grado – cioe’ che tali congiunti abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore -, questa Corte ha, innanzitutto, chiarito che la legge ha attribuito rilievo alla parentela, ai fini della suindicata esclusione, solo se accompagnata dalle relazioni psicologiche ed affettive che normalmente la caratterizzano (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 11993 del 2002), ed ha ulteriormente precisato che, ai fini dell’esclusione della situazione di abbandono, non e’ sufficiente la mera disponibilita’ ad occuparsi del minore manifestata da uno dei parenti, dovendo tale disponibilita’ essere suffragata da rapporti significativi pregressi ed attuali (cfr., ex plurimis, la sentenza 16796 del 2009), in quanto il carattere vicariante della posizione dei congiunti diversi dai genitori comporta che i parenti siano, anche attualmente, in grado di mantenere con il minore rapporti affettivi forti e durevoli, quali elementi essenziali per la valutazione dell’interesse del minore medesimo e tali, percio’, da consentire soluzioni dirette ad ovviare allo stato di abbandono verificatisi nell’ambito della famiglia di origine (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 8526 del 2006).

Deve aggiungersi che, nei casi – quale quello di specie – caratterizzati dalla presenza di minori sessualmente abusati e/o maltrattati nella famiglia naturale e, quindi, colpiti in modo gravissimo anche nella loro piu’ profonda dimensione emotiva -, si rende indispensabile un particolare rigore, da parte del giudice del merito, nella valutazione della situazione di abbandono del minore rispetto ai parenti entro il quarto grado che offrano la loro disponibilita’ a farsene carico: in tali casi, lo stato di abbandono del minore puo’ essere escluso soltanto in presenza di rapporti pregressi ed attuali, fra l’uno e gli altri, tali, per un verso, da garantire una sufficiente “autonomia” di detti parenti rispetto alla famiglia di origine e, per altro verso, da assicurare comunque, sia direttamente sia mediante idonei sostegni esterni (di natura sociale, psicologica e/o specificamente psicoterapeutica), una situazione affettiva, materiale e morale – da accertare in concreto sulla base di riscontri obiettivi – idonea a prefigurare un adeguato equilibrio psico-fisico e lo sviluppo della personalita’ del minore.

2.3. – I Giudici a quibus, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, hanno giudicato conformandosi sostanzialmente ai predetti principi: essi, infatti, hanno posto in evidenza – con motivazione puntuale, priva di errori logico – giuridici ed adeguatamente supportata da accertamenti tecnici specifici, direttamente disposti ed acquisiti – che mancano, nell’attualita’, rapporti significativi tra i minori e le ricorrenti, sottolineando al riguardo che, anche nel passato, le stesse ricorrenti, quali affidatarie temporanee dei nipoti, non sono state in grado di assicurare agli stessi un’idonea protezione rispetto alla improvvida iniziativa materna di consentire, pur dopo l’allontanamento dei figli dalla casa familiare e la scoperta degli abusi e dei maltrattamenti perpetrati dal padre, incontri tra quest’ultimo e i minori. Cio’ rende evidente, secondo quanto esattamente posto in rilievo nella sentenza impugnata, che, come per il passato, le ricorrenti – al di la’ delle loro “buone intenzioni” e della loro sincera disponibilita’ – non sono idonee a garantire, neppure per il futuro, quantomeno la fermezza e l’autonomia necessarie, rispetto alla famiglia di origine dei minori, per favorire in una situazione estremamente difficile l’equilibrato sviluppo fisio – psichico dei minori medesimi.

Le considerazioni che precedono – e, segnatamente, l’affermata attuale insussistenza di rapporti significativi tra le ricorrenti ed i nipoti – consentono di ritenere prive di fondamento anche tutte le altre critiche formulate.

In particolare, quanto al censurato mancato accoglimento del suggerimento del consulente tecnico d’ufficio di differire la decisione sullo stato di abbandono dei minori rispetto alle ricorrenti all’esito di un percorso psicoterapeutico di adeguata durata – che comporterebbe, secondo le ricorrenti, un implicito giudizio tecnico in ordine alla natura transeunte di detto stato di abbandono -, nonche’ alla denunciata omessa considerazione del mutamento dello stato di fatto determinato dalla condanna irrevocabile del padre, tali critiche attengono a valutazioni di merito compiute dai Giudici dell’appello, i quali hanno specificamente motivato le ragioni per cui non hanno ritenuto di accogliere il suggerito differimento della pronuncia, mentre la circostanza della condanna definitiva del padre dei minori e’ del tutto irrilevante rispetto al thema decidendum.

3. – La natura della controversia giustifica la compensazione per intero tra le parti delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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