Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21229 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 09/08/2019), n.21229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27319/2017 proposto da:

R.I., domiciliato in Roma, via Federico Cesi 21, presso lo

studio dell’avvocato Salvatore Torrisi, rappresentato e difeso

dall’avvocato Maurizio Granieri giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

A.G.C., domiciliato in Roma, presso la Cancelleria

della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato

Paolo Speziale giusta procura in atti;

– controricorrente –

Avverso sentenza della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO, depositata il

19/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal cons. Dott. MAURO DI MARZIO;

Udito il Pubblico Ministero che ha concluso per l’inammissibilità,

in subordine rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La controversia oggi in esame ha un antefatto che può così riassumersi. R.I. ha proposto domanda di separazione giudiziale nei confronti del coniuge A.G.C., il quale ha spiegato riconvenzionale di addebito e di danno.

Nel corso del giudizio il difensore della R. ha depositato un’istanza congiunta, sottoscritta dai coniugi il 14 gennaio 2008, di conversione della separazione da giudiziale in consensuale, alle condizioni ivi contemplate, secondo quanto convenuto dalle parti.

A.G.C. ha poi riferito di essere stato costretto a sottoscrivere l’accordo perchè la R. aveva sottratto il suo computer, condizionando la restituzione alla sottoscrizione, circostanza che esso A. aveva denunciato alle forze dell’ordine, le quali ne avevano accertato la veridicità.

Il Tribunale di Cosenza ha omologato la separazione alle condizioni contenute nel verbale di comparizione davanti al Presidente, non a quelle indicate nell’accordo sottoscritto dalle parti.

2. – A.G.C. quindi ha convenuto in giudizio la R. dinanzi al Tribunale di Cosenza chiedendo l’annullamento per vizio del consenso dell’istanza congiunta di trasformazione della separazione da giudiziale a consensuale, ove erano contenute le condizioni della separazione.

La R. ha resistito alla domanda.

3. – Il Tribunale di Cosenza ha annullato l’accordo di separazione relativamente ad alcuni punti (concernenti le condizioni patrimoniali ed economiche), e ha rigettato per il resto la domanda.

4. – Contro la sentenza ha proposto appello A.G.C.. La R. ha resistito all’impugnazione.

5. – La Corte di appello di Catanzaro, in accoglimento dell’appello, ha annullato l’accordo contenuto nell’istanza del 14 gennaio 2008 di conversione della separazione da giudiziale in consensuale, regolando di conseguenza le spese di lite.

Ha ritenuto la Corte territoriale:

-) che dovesse essere respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello spiegato dalla R. sull’assunto che l’ A. avesse prestato acquiescenza al decreto di omologa, dal momento che egli aveva intrapreso un’azione indirizzata non già contro il menzionato decreto, bensì contro l’accordo intercorso tra le parti e recepito nell’istanza di conversione della separazione giudiziale in consensuale;

-) che l’appellante A. aveva difatti proposto un’azione di annullamento concernente proprio tale istanza, nella quale era documentato un negozio di natura transattiva, avuto riguardo al regolamento contrattuale che mediante essa istanza le parti avevano adottato per porre fine alla lite tra loro pendente;

-) che tale negozio era stato concluso per effetto di violenza, riconducibile alla previsione del combinato disposto degli artt. 1434 e 1435 c.c.;

-) che era viceversa inammissibile la domanda tesa ad ottenere la dichiarazione secondo cui la separazione consensuale intervenuta tra le parti era frutto di un consenso inficiato da violenza, esulando essa dall’oggetto tipico dell’azione di annullamento contrattuale.

6. – Per la cassazione della sentenza R.I. ha proposto ricorso per quattro mezzi.

A.G.C. resiste con controricorso illustrato da memoria.

7. – Il ricorso, chiamato in un primo tempo in adunanza camerale, è stato rimesso alla pubblica udienza ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., u.c. attesa “la peculiarità della controversia e le questioni in diritto che essa implica”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c., del principio tantum devolutum quantum appellatum, con formazione del giudicato sul punto. Sostiene la R. che l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per mancata impugnazione di una delle due rationes decidendi della sentenza di primo grado, ossia il difetto di interesse ad agire, giacchè l’omologazione aveva per oggetto non l’accordo del 14 gennaio 2008, bensì il verbale sottoscritto dalle parti all’udienza di comparizione davanti al Presidente del Tribunale.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c.. Secondo la ricorrente l’appellante aveva chiesto l’annullamento integrale dell’accordo come conseguenza e non come presupposto del vizio di consenso della separazione.

Il terzo e quarto motivo, tra loro collegati, denunciano violazione dell’art. 100 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo, e cioè l’acquiescenza dell’ A. al provvedimento di omologa che comportava la perdita di qualsiasi efficacia dell’accordo del 14 gennaio 2008.

2. – Il ricorso va respinto.

2.1. – Il primo motivo è infondato.

Il ragionamento del Tribunale si può riassumere così.

L’ A. è stato sì coartato nel sottoscrivere l’istanza di conversione della separazione giudiziale in consensuale, ma l’omologazione di quest’ultima non è dipesa dalla coartazione, alla quale lo stesso A. si era ormai sottratto, informando il giudice dell’occorso, sicchè questi non avrebbe dovuto omologare, bensì da un errore del Tribunale, che, appunto, aveva omologato una separazione consensuale alla quale egli aveva manifestato ormai la volontà di non voler accedere: errore che in definitiva – questo il ragionamento del Tribunale – aveva interrotto il nesso eziologico tra coartazione ed omologa. E dunque, secondo lo stesso Tribunale, la circostanza che l’omologa fosse stata disposta non già alle condizioni dell’accordo risultante dall’istanza del 14 gennaio 2008, bensì in conformità al precedente provvedimento presidenziale, faceva sì che l’ A. non avesse neppure interesse all’annullamento dell’accordo: questo, infatti, era stato superato dall’omologa erroneamente disposta dal giudice della separazione.

E’ dunque evidente che l’affermazione in ordine alla carenza d’interesse alla domanda di annullamento dell’accordo altro non è che un mero corollario della premessa dalla quale ha tratto argomento il Tribunale laddove ha ritenuto che l’errore del giudice della separazione avesse interrotto il nesso di causalità tra coartazione e omologa.

Non si tratta, quindi, di distinte rationes decidendi, ciascuna per proprio conto idonea a sostenere la decisione adottata, ma di un’unica ratio, fondata sulla tesi dell’interruzione del nesso di causalità tra coartazione e omologa determinata dall’errore del giudice dalla separazione.

Orbene, l’ A. ha denunciato proprio l’errore commesso dal Tribunale di Cosenza nel ritenere che la revoca del consenso, espressa con la memoria mediante la quale il giudice era stato informato della vicenda della sottrazione del computer, avesse interrotto il nesso di causalità tra la coartazione della volontà della parte dell’emissione del provvedimento di omologa: secondo l’appellante, cioè, il Tribunale – come riassume la sentenza impugnata – non aveva considerato come la separazione trovasse la sua fonte nell’accordo tra i coniugi, avente natura negoziale, e che tale accordo fosse viziato da minaccia.

Va da sè che la censura ha investito nella sua complessità alla ratio decidendi posta dal giudice di merito a fondamento della propria decisione.

2.2. – Il secondo motivo va anch’esso respinto.

E’ cosa nota che in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale. Nel caso in cui venga invece in contestazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. 20 agosto 2002, n. 12259; Cass. 5 agosto 2005, n. 16596; Cass. 7 luglio 2006, n. 15603; Cass. 18 maggio 2012, n. 7932).

Nel caso di specie la Corte territoriale ha affermato che “l’appellante non ha chiesto l’annullamento del decreto di omologazione, ma, piuttosto, ha esperito un’azione tesa ad annullare l’accordo intercorso tra le parti recepito nell’istanza del 14 gennaio 2008” (così a pagina 4 della sentenza impugnata).

Dopodichè, identificata la domanda effettivamente proposta, su quella la Corte d’appello ha provveduto, sicchè il principio di corrispondenza tra il chiesto il pronunciato non è richiamato a proposito, mentre è incomprensibile il riferimento all’art. 345 c.p.c., che disciplina il regime dei nova in appello.

2.3. – Il terzo e quarto motivo, tra loro collegati, sono inammissibili: il fatto al quale si riferisce il numero 5 dell’art. 360 c.p.c. è un fatto storico in senso stretto, principale o secondario (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053), sicchè la disposizione non è richiamata a proposito in riferimento al comportamento, ritenuto di acquiescenza, dell’appellante.

3. – Le spese da distrarsi seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

4. – Si dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, il tutto distratto in favore del difensore antistatario, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis; dispone l’oscuramento.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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