Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21228 del 14/10/2011

Cassazione civile sez. I, 14/10/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 14/10/2011), n.21228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI MANDURIA (TA), in persona del sindaco p.t. autorizzato a

stare in giudizio da Delib. G.M. 3 agosto 2007, n. 208 ed

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Romeo Romei n, 35, presso

lo studio dell’avv. MALOSSI Gian Luigi, con l’avv. Calò Maria del

foro di Taranto che rappresenta e difende l’ente locale, per procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in Roma, al Corso

Rinascimento n. 11, presso l’avv. PELLEGRINO Giovanni, che lo

rappresenta e difende, per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 173/07, del 19

gennaio – 16 giugno 2007;

udito, all’udienza del 21 giugno 2 011, la relazione del consigliere

dott. Fabrizio Forte;

Udito l’avv. Congedo, delegato dell’avv. Pellegrino, per il

controricorrente e il P.M. Dott. PATRONE Ignazio, che conclude per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato a M.M. il 22 ottobre 2007, il Comune di Manduria ha chiesto la cassazione della sentenza di cui in epigrafe della Corte d’appello di Lecce, che ha accolto la domanda del M. nei confronti del ricorrente di pagamento dell’indennità, di cui al D.P.R. 30 giugno 2001, n. 327, art. 39 per la reiterazione del vincolo di un’area di proprietà del controricorrente di nq. 1659 a verde di quartiere e spazio pubblico, come previsto nel F.R.G. dell’ente locale approvato nel 1977, rimasto immodificato con una variante e reiterato nel 1993, con una durata, dei vincoli stessi di inedificabilità superiore ai cinque anni per cui era dovuto un indennizzo per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1939.

Ad avviso della corte nella contumacia dell’ente locale, doveva confermarsi la fondatezza della domanda del M., cui nessuna obiezione era stata posta dall’ente locale che veniva condannato a versare quale indennità di espropriazione, liquidata ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis Euro 56.440,00 con gli interessi dal 1 ottobre 2004 e le spese di causa.

Al ricorso che precede del Comune di Manduria, articolato in due motivi, replica con controricorso M.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso del Comune di Manduria denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e censura la sentenza della Corte d’appello di Lecce, per il rilievo da essa dato alla contumacia dell’ente locale considerato comportamento di accentazione delle tesi di controparte ed espressione della non contestazione delle deduzioni del M., la cui domanda è stata di conseguenza accolta.

La contumacia del comune convenuto non poteva rilevare come mancata contestazione del contenuto della domanda attorea nè avere decisiva importanza per l’accoglimento di questa, con disapplicazione dei principi in materia di prove, di cui all’art. 2697 c.c..

alla violazione di quest’ultima norma fa riferimento anche il secondo motivo ai ricorso, che denuncia anche violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per Le carenze motivazionali sul punto della sentenza impugnata.

Si esclude dal Comune di Manduria che vi sia stato un vincolo preordinato all’esproprio da indennizzare nel caso, trattandosi di mero vincolo conformativi di natura urbanistica, come tale non indennizzabile.

Il ricorso si chiude con la formulazione di due quesiti in relazione ai distinti motivi di ricorso sopra enunciati, domandandosi sul primo motivo a questa Corte di accertare: “se vi è stata violazione dell’art. 2967 c.c. e dell’art. 166 c.p.c.” ed enunciare a norma dell’art. 363 c.p.c., il principio di diritto nell’interesse della legge.

Quesito sul secondo motivo è stato proposto come l’altro: “Accerti la Corte se vi è stata falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39 ed enunci ai sensi dell’art. 353 il principio di diritto a cui il giudice di merito avrebbe dovuto ispirarsi.

2. il ricorso e inammissibile, data la palese inidoneità dei quesiti a determinare una risoluzione della controversia favorevole al ricorrente, che anzi chiede espressamente una pronuncia nell’interesse della legge, dando per scontato la inammissibilità o improponibilità della sua impugnazione, fondamento di ogni decisione ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 1.

Entrambi i quesiti sono inammissibili essendo formulati genericamente con la mera riproduzione delle norme di legge che si pretendono violate, per cui sono inidonei a denunciare l’errore di diritto che deducono e a formulare il principio applicabile in luogo di quello erroneamente adottato dal giudice del merito nella sentenza impugnata (Cass. 21 febbraio 2011 n. 4146 ord. 19 febbraio 2009 n. 4044 e S.U. 9 luglio 2008 n. 12159).

Pertanto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., norma processuale applicabile ratione temporis anche dopo che è stata abrogata per i ricorsi proposti fino alla data della sua abrogazione, per il principio tempur regit actum (Cass. 4 gennaio 2011 n. 80 e ord. 24 marzo 2010 n. 7119), il ricorso deve dichiararsi inammissibile.

Va rilevato che il secondo motivo denuncia anche carenze motivazionali oltre che violazioni di legge, e non solo non è concluso da due distinti quesiti (Cass. 9 giugno 2010 n. 13868) ma è privo della sintesi conclusiva, con la chiara modificazione dei fatti rilevanti che rendono contraddittoria la sentenza e delle ragioni per le quali, la motivazione di questa è inidonea a dare conto della decisione, per cui si assue omessa e/o insufficiente in ordine all’accoglimento della domanda del M. (S.I. 14 ottobre 2008 n. 25117 cass. 28 febbraio 2009 n. 4589 e ord. 26 febbraio 2009, n. 4589).

2. in conclusione, il ricorso è inammissibile e il ricorrente, per la soccombenza, dovrà corrispondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

PQM

La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 1700,00 (millesettecento/00) dei quali Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della suprema corte di cassazione, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

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