Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21227 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 10/05/2019, dep. 09/08/2019), n.21227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12966/2015 proposto da:

Autoper Srl In Liquidazione, P.D., P.E.G.,

P. Immobiliare Srl, domiciliati in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi

dagli Avvocati Caruso Enrico e Recine Giorgio;

– ricorrenti –

contro

Intesa Sanpaolo Spa, elettivamente domiciliato in Roma Via Liberiana

17 presso lo studio dell’Avvocato Ferraguto Antonio che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1495/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2019 da TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

P.E.G. e P.D., la P. IMMOBILIARE SRL (già MAMIANICAR SRL) e la AUTOPER SRL in liquidazione propongono ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che, dichiarato il difetto di legittimazione attiva degli appellanti P.E.G. e P.D., ha rigettato l’appello proposto da P. IMMOBILIARE SRL (già MAMIANI CAR SRL) e da AUTOPER SRL ed ha confermato la decisione di primo grado. La controversia, promossa dalle società e dai loro aventi causa, aveva riguardo a due distinti rapporti di conto corrente bancario con INTESA SANPAOLO SPA (più precisamente con Banca Provinciale Lombarda, confluita in Banca Intesa SanPaolo SPA) Filiale di (OMISSIS) (di seguito, la banca): il primo n. (OMISSIS) intestato ad AUTOPER, il cui saldo, alla data del recesso avvenuto il 14/1/2005, per la banca era pari ad Euro zero; il secondo n. (OMISSIS) intestato a MAMIANICAR, il cui saldo, alla data del recesso avvenuto il 22/12/2004, per la banca era pari a zero.

Segnatamente gli attori in primo grado avevano chiesto, in via principale, di accertare, in relazione a ciascun conto, che la banca aveva applicato illegittimamente interessi al di sopra del tasso legale, interessi anatocistici e, in alcuni casi, usurai e di condannare la banca ex art. 1815 c.c., comma 2, a restituire a P.E. e P.D., quali cessionari del credito, o, se del caso, a ciascuna delle società intestatarie dei conti la totalità degli interessi trattenuti per quanto di ragione; in via subordinata, ove ritenuto non applicabile l’art. 1815 c.c., comma 2, di condannare la banca a corrispondere a P.E. e P.D., quali cessionari del credito, o, se del caso, a ciascuna delle società intestatarie dei conti la differenza tra gli interessi legali e quelli invece illegittimamente ottenuti con il tasso unilateralmente applicato, l’anatocismo, la commissione di massimo scoperto, le spese non giustificate nella misura meglio precisata nell’atto di citazione. La domanda concerneva l’arco temporale del decennio anteriore al recesso dai contratti ed era supportata dalla allegazione di tre perizie di parte attrice che avevano ricostruito l’andamento dei rapporti.

Le domande venivano respinte in primo grado, ritenendo non assolto l’onere probatorio gravante sugli attori e tale decisione era confermata dalla Corte territoriale.

I ricorrenti propongono ricorso con otto mezzi corroborati da memoria; la banca replica con controricorso.

Nella memoria depositata dai ricorrenti si trova formulata anche un’istanza di trattazione in pubblica udienza.

Il Collegio non ritiene di secondare tale istanza, non ravvisando nel caso in esame la sussistenza “della particolare rilevanza della questione di diritto”, che è richiesta dalla norma dell’art. 375 c.p.c.. Del resto, la stessa istanza formulata dai ricorrenti non esplicita le ragioni che in concreto vengano a suffragare la richiesta.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1264 c.c. e art. 100 c.p.c. nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla dichiarazione di ufficio compiuta dalla Corte territoriale del difetto di legittimazione attiva di P.D. e E., sulla considerazione che tale cessione (e cioè il contratto con efficacia traslativa immediata tra cedente e cessionario, presupposto della legittimazione attiva delle persone fisiche anzidette), non era stato provato, risultando “la prova risolta in una mera enunciazione labiale” (fol. 9 della sent. imp.), e che la notifica della cessione al debitore ceduto o la sua accettazione non assumevano rilevanza ai fini del perfezionamento e della validità della cessione; tutto ciò senza considerare il fatto decisivo che cedenti e cessionari avevano agito insieme in giudizio notificando l’atto di citazione, in cui si dava atto della cessione, alla banca, debitore ceduto.

Rimarcano quindi che la cessione del credito non richiede la forma scritta e che la notificazione o l’accettazione del debitore non sono soggetti a particolari discipline o formalità, ove risulti assicurata al debitore ceduto la prova e la non problematica conoscenza dell’avvenuta cessione, e che al debitore ceduto va data la mera prova della cessione e non la prova del contenuto della stessa.

1.2. Il motivo è fondato.

1.3. Invero, la cessione del credito è un negozio giuridico a causa variabile, sottratto di per sè ad ogni esigenza di forma ad substantiam o ad probationem se non richiesta dal negozio costituente la causa del trasferimento dei crediti (Cass. n. 1396 del 6/6/1974).

Come già affermato da questa Corte, infatti, “Il contratto di cessione di credito ha natura consensuale, di modo che il suo perfezionamento consegue al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, il quale attribuisce a quest’ultimo la veste di creditore esclusivo, unico legittimato a pretendere la prestazione (anche in via esecutiva), pur se sia mancata la notificazione prevista dall’art. 1264 c.c.; questa, a sua volta, è necessaria al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anzichè al cessionario, nonchè, in caso di cessioni diacroniche del medesimo credito, per risolvere il conflitto tra più cessionari, trovando applicazione in tal caso il principio della priorità temporale riconosciuta al primo notificante” (Cass. n. 4713 del 19/02/2019); per tale motivo il cessionario di un credito che agisca nei confronti del debitore ceduto è tenuto a dare prova unicamente del negozio di cessione, quale atto produttivo di effetti traslativi, e non anche a dimostrare la causa della cessione stessa; nè il debitore ceduto può interferire nei rapporti tra cedente e cessionario, poichè il suo interesse si concreta nel compiere un efficace pagamento liberatorio, con la conseguenza che egli è esclusivamente abilitato ad indagare sull’esistenza e sulla validità estrinseca e formale della cessione (Cass. n. 18016 del 09/07/2018; in tema anche Cass. n. 13691 del 31/07/2012).

Stante l’assenza di vincoli di forma, la semplice proposizione della domanda giudiziale congiunta di cedenti e cessionari – come nel caso di specie – integra gli estremi del (o comunque dimostra il) negozio di cessione.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 116,167,175 e 183 c.p.c. e art. 2712 c.c.e si critica la statuizione con cui la Corte di appello ha escluso che alle tre perizie di parte, depositate dagli attori con l’atto di citazione, potesse annettersi la stessa efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche, con la conseguenza che la banca convenuta non aveva l’onere di contestare specificatamente i dati in esse contenuti, avendo radicalmente contestato la perspicuità degli elaborati, e che non poteva darsi luogo ad una rimessione in termini, risultando evidente che gli attori erano sin dall’inizio del giudizio in possesso della documentazione probatoria, e per l’effetto ha ritenuto che gli atri non avevano provato la domanda in merito al quantum pagato ed al fatto che tali pagamenti non fossero sostenuti da valida e legittima causa.

Sostengo in proposito i ricorrenti che le perizie di parte erano una mera trascrizione in excell degli estratti conto, che la banca non aveva contestato le diverse voci specificatamente e che i fatti dovevano ritenersi pacifici; che, ad ogni modo, la Corte di appello avrebbe dovuto concedere un termine ai correntisti per la produzione, ovvero disporre l’acquisizione degli estratti conto d’ufficio a mezzo CTU.

2.2. Il motivo è fondato e va accolto.

Giova premettere che, in applicazione del principio di non contestazione già elaborato dalla giurisprudenza di legittimità a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 761 del 23/2/2002, “Il convenuto, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” a seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la “sussistenza dei presupposti di legge” per l’accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica” (Cass. n. 19896 del 6/10/2015; cfr. anche Cass. n. 27596 del 20/11/2008; Cass. n. 26624 del 22/10/2018).

Ciò posto si deve osservare che la decisione impugnata non risulta avere dato corretta applicazione del principio enunciato, laddove non ha considerato che le perizie in questione si componevano di una parte espositiva, confluita nelle colonne “DATA”, “DARE” e “AVERE” (come riferito in ricorso, fol. 39), riproducente per l’appunto dei “fatti”, e cioè le voci concernenti i versamenti, i concernenti prelevamenti e gli addebiti per spese ed altro operati sui conti con l’indicazione della relativa data, come presumibilmente registrati contabilmente negli estratti conto della banca – fatti sui quali la banca aveva la possibilità e l’onere di procedere alla contestazione specifica, attesa l’irrilevanza del modello utilizzato per la trascrizione (Excell, piuttosto che la riproduzione meccanica degli estratti conto – e di una parte nella quale detti fatti erano stati rielaborati.

Invero, la Corte territoriale ha focalizzato l’attenzione proprio sul contenuto rielaborato, assommando tuttavia nel suo giudizio negativo il complesso degli elementi confluiti nelle perizie, considerate come “un’opera di rivalutazione critica degli addebiti della banca, valutati alla luce di criteri di calcolo che riflettono il pensiero del perito” (fol. 11 della sent. imp.).

Tale conclusione non può condividersi, poichè i fatti, come dinanzi precisati, sono stati posti a base della pretesa restitutoria avanzata in giudizio ed è appunto sulla base di tali fatti che, applicando i criteri di legge quanto al calcolo degli interessi e delle commissioni, si ricostruisce il saldo effettivo del conto e con esso – nella prospettazione dei ricorrenti – il credito in favore delle correntiste.

In definitiva i ricorrenti deducono di avere specificamente indicato, nelle relazioni peritali, i fatti costitutivi del loro diritto, che era dunque onere della banca convenuta contestare specificamente; non avendoli quest’ultima contestati – come sembra sia avvenuto, riferendosi le contestazioni della banca ai criteri di calcolo del saldo, non già alle annotazioni dei versamenti e degli addebiti – tali fatti devono ritenersi non abbisognevoli di prova.

Naturalmente il principio di non contestazione potrà applicarsi soltanto ai fatti dedotti dagli attori, non anche alle loro valutazioni. Vale a dire che, quanto al contenuto delle relazioni peritali allegate all’atto di citazione, dovrà tenersi conto soltanto delle annotazioni delle somme in dare e avere, corrispondenti appunto a fatti versamenti delle correntiste e addebiti operati dalla banca, peraltro corrispondenti, secondo i ricorrenti, alle annotazioni risultanti dall’estratto conto della banca – non contestati; non sono fatti, invece, i calcoli del perito e i criteri seguiti dal medesimo, ma valutazioni da verificare in giudizio nella loro conformità a legge, anche eventualmente mediante una CTU.

3.1. Sono assorbiti, di conseguenza, i motivi terzo – con il quale si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 116,167,175 e 183 c.p.c. e art. 2711 c.c. in relazione alle medesime questioni proposte con il secondo motivo -, quarto – con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1832,1857,1364 e 1370 c.c. e art. 1341 c.c., comma 2, e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in merito alla avvenuta comunicazione delle perizie di parte alla banca in uno all’atto di citazione assimilabile, a parere dei ricorrenti, alla comunicazione dell’estratto conto – e quinto – con il quale si denuncia la violazione dell’art. 184 bis c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio lamentando l’erroneità della mancata concessione della remissione in termini -.

4.1. Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 198 c.p.c. per non avere disposto la Corte di appello una consulenza tecnica, ordinando al CTU di acquisire i documenti necessari, e l’omesso esame di un fatto e si invoca a tal fine la circostanza che doveva ritenersi integrato il consenso delle parti all’utilizzo degli estratti conto come richiesto dall’art. 198 c.p.c. (fol.79), sulla base dell’art. 8 di ciascun contratto di apertura di credito (già richiamati con il quarto motivo) e delle dichiarazioni e del comportamento processuale delle parti.

Si denuncia anche una carente motivazione sul punto quale vizio in procedendo (fol. 79).

4.2. Il sesto motivo è fondato.

4.3. Una volta appurato, con l’accoglimento del secondo motivo, che i fatti a base della pretesa, ossia i versamenti e gli addebiti in conto, erano dimostrati, non vi è ragione per negare l’espletamento di una consulenza tecnica per verificare e quantificare l’eventuale addebito di interessi anatocistici o ultralegali (sempre che si accerti non erano stati validamente pattuiti) o di commissioni non dovute (sempre che si accerti la loro non debenza).

5.1 Sono, infine, assorbiti anche i motivi settimo – con cui si denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c. in merito alla reiezione della richiesta di produrre la documentazione bancaria in appello – ed ottavo – con cui si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine all’an della domanda, rilevando che l’illegittima applicazione di un tasso di interesse superiore a quello legale e non concordato per iscritto, nonchè la capitalizzazione trimestrale degli interessi, erano stati riconosciuti dalla banca, sia attraverso la produzione dei contratti di apertura di credito, che ne davano conto, sia mediante la corrispondenza (lettera del 21 ottobre 2001) intercorsa con la banca prodotta dai correntisti, dalla quale si evinceva l’anatocismo, sia dalla difesa svolta dalla banca per dimostrare la legittimità dell’applicazione dell’interesse secondo “uso piazza” e dell’anatocismo.

6. In conclusione vanno accolti i motivi primo, secondo e sesto del ricorso, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, che provvederà al riesame ed alla liquidazione delle spese di giudizio anche del presente grado.

P.Q.M.

– Accoglie i motivi primo, secondo e sesto del ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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