Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21223 del 20/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 20/10/2016, (ud. 22/04/2016, dep. 20/10/2016), n.21223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8788/2013 proposto da:

GENERALI IMPIANTI SRL IN LIQUIDAZIONE, (OMISSIS), in persona del suo

liquidatore pro tempore Sig. C.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, V. DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO GIUGNI, che la rappresenta e difende giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 28,

presso lo studio dell’avvocato MARCO ALBANESE, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FRANCESCO SCIPIONI, ARMANDO

MACRILLO’ giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15965/2012 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 12/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito l’Avvocato DOMENICO GIUGNI;

udito l’Avvocato MARCO ALBANESE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 15965 del 2012, rigettava la domanda proposta dalla Generale Impianti s.r.l. nei confronti di C.E. di risarcimento del maggior danno ai sensi dell’art. 1591 c.c., per ritardata riconsegna dell’immobile locato, condannando la società ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Rilevava il Tribunale che, in riferimento al danno lamentato dalla società locatrice derivante dalla impossibilità di utilizzazione diretta dell’immobile, non poteva avere ingresso la prova orale richiesta dalla ricorrente, in quanto non conforme ai parametri previsti dal codice di rito, come pure la consulenza tecnica dalla stessa invocata, vertente sul valore locativo dell’immobile, poichè irrilevante ai fini della decisione.

Interposto gravame, la Corte d’appello di Roma, con ordinanza del 6 febbraio 2013, dichiarava inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

Avverso la sentenza del Tribunale di Roma, la Generale Impianti s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo ed illustrato da memoria.

Resiste con controricorso C.E..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso la Generale Impianti s.r.l. denuncia “violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 230 e 244 c.p.c. e art. 2967 c.c., in quanto il Tribunale di Roma (e successivamente la Corte di appello di Roma con ordinanza con cui dichiarava l’inammissibilità dell’appello), ha erroneamente interpretato i suddetti artt. 230 e 234 c.p.c. e rt. 2967 c.c., omettendo di ammettere i mezzi istruttori articolati (interrogatorio formale, prova testi e c.t.u.) e precludendo così alla società ricorrente di adempiere all’onere della prova su di questa gravante, impedendo così di provare i fatti posti a fondamento della domanda attrice e quindi il maggior danno subito (art. 1591 c.c.)”.

2. Il ricorso è infondato.

Come riportato in ricorso, la società Generale Impianti ha lamentato il danno derivante dalla impossibilità di servirsi direttamente dell’immobile concesso in locazione, tardivamente restituito, immobile che doveva essere adibito a deposito di materiale e mezzi da utilizzare per l’esecuzione dei lavori appaltati alla ricorrente.

Come correttamente evidenziato dal Tribunale capitolino nonchè dalla Corte di appello di Roma, rispetto alla domanda risarcitoria fondata sulla impossibilità di diretto utilizzo dell’immobile, i capitoli di prova articolati dalla ricorrente vertono su circostanze irrilevanti ai fini della decisione, oltre che risolversi, in buona parte, in apprezzamenti e valutazioni.

La ricorrente avrebbe dovuto formulare capitoli di prova volti a dimostrare i maggiori costi sostenuti per il ricovero in altro luogo dei beni aziendali ovvero il concreto pregiudizio economico subito nello svolgimento della propria attività in conseguenza della mancata disponibilità dell’immobile. Per contro, le posizioni di prova, come trascritte in ricorso, non vertono sulla sussistenza e sull’ammontare del danno lamentato, bensì sulla necessità di utilizzare l’immobile per l’esecuzione dei lavori appaltati e, in modo del tutto generico, sulle negative ricadute economiche di tale situazione.

Rispetto alla domanda risarcitoria per come formulata dalla ricorrente, la consulenza tecnica volta a determinare il valore locativo dell’immobile si palesa irrilevante, anche ai fini della prospettata valutazione equitativa del danno, la quale presuppone l’acquisizione degli elementi idonei ad orientare il prudente apprezzamento del giudice.

3. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la ricorrente è tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.2000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 22 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2016

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