Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21221 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. II, 02/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 02/10/2020), n.21221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21677 – 2019 R.G. proposto da:

H.M. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Vasto, al corso Palizzi, n.

37, presso lo studio dell’avvocato Cristiano Bertoncini che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1002/2019 della Corte d’Appello de L’Aquila,

udita la relazione nella camera di consiglio del 30 giugno 2020 del

consigliere Dott. ABETE Luigi.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. H.M., cittadino del Bangladesh, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che aveva raggiunto l’Italia in data 1.9.2016, transitando dapprima per la Libia; che era stato costretto a lasciare il suo paese d’origine al fine di evitare il rischio di condanna alla pena di morte; che invero era stato accusato ingiustamente, giacchè presente sui luoghi dell’accaduto, dell’omicidio del figlio di un leader della maggioranza politica verificatosi nell'(OMISSIS), durante il capodanno bengalese, nell’ambito degli scontri occorsi tra fazioni politiche antagoniste.

2. La Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona in data 20.4.2017 rigettava l’istanza.

3. Con ordinanza in data 27.3/8.5.2018 il Tribunale de L’Aquila respingeva il ricorso con cui H.M., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ulteriore subordine il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Avverso tale ordinanza H.M. proponeva appello. Il Ministero dell’Interno non si costituiva.

5. Con sentenza n. 1002/2019 la Corte de L’Aquila rigettava il gravame.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso H.M.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza pubblica.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7.

Deduce che ha errato la corte a reputare non credibili le sue dichiarazioni.

Deduce che ha reso dichiarazioni dettagliate, con precisazione di date e luoghi, per nulla contrastanti con la situazione di instabilità politica in cui versa il Bangladesh; che ben avrebbero potuto i giudici di merito utilizzare i propri poteri istruttori officiosi per verificarne la veridicità.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Deduce che il tribunale ha, con motivazione perplessa ed apparente, condiviso la valutazione espressa dalla commissione territoriale.

9. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Deduce che ha errato la corte a negargli la protezione sussidiaria.

Deduce segnatamente che recenti notizie di stampa relative al Bangladesh riferiscono di conflitti armati interni, dell’inesistenza delle condizioni essenziali di libera e pacifica convivenza, dell’esistenza di condizioni di assoluta povertà, riferiscono dunque della sussistenza di gravi rischi per l’incolumità dei cittadini.

Deduce al contempo che, se rimpatriato, sarebbe esposto al rischio della pena capitale; che al riguardo la corte territoriale nulla ha osservato nè si è avvalsa dei suoi poteri istruttori officiosi.

10. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 36.

Deduce che ha errato la corte a disconoscere la protezione umanitaria.

Deduce che nel paese d’origine non ha legami parentali, non ha prospettive di lavoro; che viceversa ha da tempo intrapreso un percorso di piena integrazione professionale in Italia, tant’è che parla l’italiano.

Deduce quindi che verserebbe in condizioni di particolare vulnerabilità, qualora rimpatriato, viepiù in considerazione delle condizioni di povertà che affliggono il Bangladesh.

11. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono strettamente connessi; il che ne giustifica la disamina contestuale; ambedue i motivi sono comunque inammissibili.

12. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

13. Su tale scorta si rappresenta quanto segue. E, ben vero, anche a prescindere dal rilievo per cui il secondo motivo reca censura del dictum di prime cure, il che, ex se, ne importa l’inammissibilità (il controllo di legittimità da parte di questa Corte, eccettuate l’ipotesi della cosiddetta revisio per saltum e l’ipotesi di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 3, ha per oggetto la sola decisione di appello e non anche la decisione di primo grado e le considerazioni che la sorreggono: cfr. Cass. 7.6.2002, n. 8265; Cass. sez. lav. 18.7.1989, n. 3367; Cass. 6.2.1989, n. 722).

Per un verso, il dictum della corte d’appello, pur in punto di valutazione delle dichiarazioni rese da H.M., non è inficiato da alcuna forma di “anomalia motivazionale” rilevante alla stregua dell’insegnamento n. (OMISSIS) del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In particolare la corte abruzzese ha specificato che la vicenda narrata dal ricorrente non risultava credibile “alla luce delle verifiche condotte sulla stampa internazionale” (così sentenza d’appello, pag. 8), che in alcun modo ne dava riscontro.

Per altro verso, la corte di merito per nulla ha omesso la disamina del fatto decisivo, ossia la valutazione delle dichiarazioni del ricorrente.

Per altro verso ancora, la valutazione che delle medesime dichiarazioni la corte distrettuale ha operato, appieno si conforma ai parametri legislativi.

14. Il terzo motivo del pari è inammissibile.

15. In tema di protezione sussidiaria l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

16. Su tale scorta le censure che il motivo in esame veicola, sono analogamente da vagliare nel solco della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – alla cui stregua il motivo de quo, a rigore, si qualifica – e nel segno dell’insegnamento n. (OMISSIS)/2014 delle sezioni unite.

Cosicchè non può che rappresentarsi quanto segue.

Per un verso, il dictum della corte distrettuale, pur in parte qua, non è inficiato da alcuna forma di “anomalia motivazionale”.

In particolare la corte territoriale ha specificato che “le informazioni reperibili sul paese (v. (…) World Report 2018 – Bangladesh) non restituiscono l’immagine di un luogo colpito da violenza endemica al punto che la sola presenza sul territorio possa costituire un rischio per l’incolumità” (così sentenza d’appello, pagg. 9 – 10).

Per altro verso, la corte aquilana per nulla ha omesso la disamina del fatto decisivo, ossia il concreto riscontro delle situazioni di fatto postulate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Per altro verso ancora, il motivo di ricorso si prospetta del tutto generico, allorchè fa leva su non meglio specificate “notizie recenti di stampa”, di “informazioni sul Bangladesh” (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

17. Il quarto motivo parimenti è inammissibile.

18. Si premette che questa Corte spiega, sì, che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

19. E però non può non darsi atto che le ragioni di censura che il motivo di impugnazione de quo agitur veicola, non si correlano puntualmente alla ratio decidendi in parte qua dell’impugnato dictum.

Più esattamente, in ordine all’invocata protezione umanitaria, la corte d’appello ha esplicitato – e tale passaggio motivazionale non è stato puntualmente censurato – che non vi era stata allegazione di elementi di valutazione specificamente riferibili alla persona di H.M., sì che il riferimento generico alle condizioni di generale povertà del paese d’origine e di privazione delle libertà personali non aveva precipua valenza.

20. In ogni caso, pur ad ipotizzare che correlazione alla ratio decidendi vi sia, è innegabile che le ragioni di doglianza che specificamente il quarto motivo di impugnazione veicola, recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, senza dubbio anche in parte qua, la corte di merito ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di vulnerabilità – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

21. Ebbene, in quest’ottica, nei limiti della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel segno, nuovamente, della pronuncia n. (OMISSIS)/2014 delle sezioni unite, non può che argomentarsi come segue.

Da un canto, è da escludere che forme di “anomalia motivazionale” inficino in parte qua l’impugnato dictum.

D’altro canto, la corte distrettuale in nessun modo ha omesso la disamina dei fatti decisivi caratterizzanti in parte qua la res litigiosa.

22. Taluni finali rilievi si impongono.

23. Nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Su tale scorta del tutto legittimo è il mancato esercizio, da parte della Corte de L’Aquila, dei poteri istruttori officiosi, pur “a fronte del deposito di un ordine di arresto” (così ricorso, pag. 4).

24. Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non determina alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

A nulla vale dunque che il ricorrente si dolga – specificamente con il primo motivo – per la pretesa omessa valutazione del mandato di cattura emesso nei suoi confronti.

25. Dai rilievi tutti in precedenza esposti si evince che la Corte d’Appello de L’Aquila ha statuito in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorso quindi è nel complesso inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, (cfr. Cass. sez. un. 21.3.2017, n. 7155, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348 bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”).

26. Nonostante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, nessuna statuizione va assunta in ordine alle spese del giudizio di legittimità; il Ministero dell’Interno di fatto non ha svolto difese, siccome si è costituito tardivamente ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza pubblica.

27. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2^ sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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