Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21220 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 09/08/2019), n.21220

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20279/2015 proposto da:

A.U., elettivamente domiciliato in Roma, Via Urbana n.

90, presso lo studio dell’avvocato Marinelli Maria Letizia,

rappresentato e difeso dall’avvocato A.S., giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.A.S., nella qualità di amministratore di

sostegno del padre A.G., elettivamente domiciliato in

Roma, Via Nazionale n. 204, presso lo studio dell’avvocato Bozza

Alessandro, rappresentato e difeso dall’avvocato La Pace Antonio,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso le sentenze non definitive n. 963/2007 pubblicata il

22/11/2007, n. 308/13 pubblicata il 27/3/2013, la sentenza

definitiva n. 569/2014 pubblicata il 23/05/2014 e l’ordinanza resa

nella causa n. 36-1/2005 r.g., pubblicata il 5/11/2014, tutte emesse

dalle CORTE D’APPELLO di L’AQUILA;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/03/2019 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nella presente controversia, introdotta nel 1979 da A.G. per la divisione di beni mobili ed immobili cointestati a due fratelli, il Tribunale di Chieti si pronunciò con la sentenza non definitiva dell’8 luglio 1981, con la quale, per quanto ancora rileva in questa sede, dichiarò lo scioglimento della comunione di alcuni beni immobili e l’esistenza di una società semplice tra le parti, al cui patrimonio ricondusse un capannone ad uso officina ed alcune vetture e macchinari, rimettendo la causa in istruttoria per la liquidazione della quota del socio receduto, A.G..

Con la sentenza definitiva del 7 settembre 2004, il Tribunale di Chieti assegnò, quindi, le quote della comunione ai due fratelli, determinando un piccolo conguaglio, ed altresì liquidò la quota societaria nella misura di Euro 46.816,82, condannando A.U. al pagamento in favore del fratello.

Avverso questa seconda sentenza, per quanto ancora rileva, fu proposto appello principale da A.G. con atto di citazione notificato il 3 gennaio 2005 ed incidentale da U..

La Corte d’appello dell’Aquila si è pronunciata ben quattro volte. Con la sentenza non definitiva del 22 novembre 2007, la corte

territoriale ha parzialmente riformato le decisioni di primo grado. Essa – per quanto qui rileva ancora – ha ritenuto necessario rinnovare le indagini tecniche ed il progetto divisorio, avuto riguardo ai rilievi contrapposti delle parti.

Con la sentenza non definitiva del 27 marzo 2013, la Corte d’appello dell’Aquila ha condannato A.U. a corrispondere al socio receduto G. la somma di Euro 52.514,14, oltre interessi dalla domanda, a titolo di liquidazione della quota sociale, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio con riguardo allo scioglimento della comunione ordinaria degli altri beni. Nella motivazione, ha dato atto che la precedente sentenza del 2007 ha ormai identificato i beni, rispettivamente facenti parte del patrimonio sociale e di quello personale in comunione ordinaria dei soci: in particolare, ha ritenuto che la particella “(OMISSIS)” del foglio (OMISSIS) e quella “(OMISSIS)” sono parti del patrimonio sociale, mentre le particelle (OMISSIS) sono parte del patrimonio in comunione dei soci.

Con la sentenza definitiva del 23 maggio 2014, la Corte d’appello dell’Aquila, rilevato che le parti non hanno tempestivamente contestato il progetto divisorio depositato il 7 agosto 2013 dal consulente tecnico d’ufficio, sulla scorta delle statuizioni contenute nelle precedenti decisioni d’appello, ha disposto lo scioglimento della comunione ordinaria, assegnando a ciascuno individuate particelle e rimettendo la causa innanzi al giudice istruttore per l’estrazione a sorte dei lotti.

Con ordinanza del 5 novembre 2014, la Corte d’appello dell’Aquila ha proceduto all’estrazione a sorte tra i condividenti delle quote, come individuate dal c.t.u.

Avverso queste decisioni propone ricorso A.U., affidato a nove motivi. Resiste con controricorso A.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi del ricorso possono essere come segue riassunti:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., perchè la corte territoriale non si è pronunciata sui motivi 11 e 13 del proprio appello incidentale, con i quali (motivo 11) egli aveva criticato la sentenza definitiva del Tribunale, dove non era allegata una idonea planimetria e che non aveva accolto la soluzione del proprio c.t.p., aveva indicato in modo errato la particella catastale su cui insiste il capannone e non aveva individuato tutti gli immobili a lui assegnati, non menzionando, in particolare, la “particella (OMISSIS)” ed assegnando incongruamente al fratello G. la “particella (OMISSIS)”, ormai avente il numero “(OMISSIS)”, sebbene essa riguardi l’area su cui insiste il capannone assegnato ad U., e (motivo 13) aveva segnalato la contraddittoria statuizione di primo grado, laddove aveva dapprima attribuito alcuni beni al patrimonio societario e poi li aveva in dispositivo assegnati ai fratelli condividenti. Chiede quindi che dati beni siano dalla Cassazione assegnati al ricorrente;

2) omesso esame di fatto decisivo, avendo la corte territoriale, nella sentenza del 2014, errato nel ritenere non contestato il progetto divisionale predisposto dal consulente tecnico con la relazione depositata il 7 agosto 2013, laddove, invece, nell’udienza di precisazione delle conclusioni il ricorrente aveva formulato critiche al progetto; lamenta, inoltre, la mancata assegnazione al medesimo di beni appartenenti al patrimonio sociale, non individuati;

3) violazione degli artt. 1460 e 2289 c.c., per non aver considerato che controparte non avrebbe potuto pretendere il pagamento della quota, attesa la propria eccezione di inadempimento, per non avergli A.G. riconsegnato i beni sociali; mentre chiede di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2289 c.c., il quale consente che in una società di due soci il socio non recedente sia obbligato a pagare all’altro la liquidazione della quota sociale, per contrasto con gli artt. 3 e 42 Cost.;

4) violazione e falsa applicazione della L. 27 febbraio 1985, n. 52, art. 29, comma 1-bis, dato che la corte territoriale non ha indicato quanto dalla norma previsto per il trasferimento delle unità immobiliari, come risultante dalle mappe catastali in atti;

5) violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., laddove la sentenza impugnata ha disposto lo scioglimento della comunione tra i fratelli per le particelle “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” del foglio (OMISSIS), sulla scorta del progetto divisionale depositato nell’agosto 2013, in quanto esso prevede un diritto di servitù di passaggio, senza che fosse mai stata proposta in primo grado tale domanda;

6) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., per aver determinato la decorrenza degli interessi legali sulla quota liquidata dalla domanda, laddove essi avrebbero invece dovuto decorrere dal deposito della sentenza resa dal Tribunale nel 1981, che aveva, con effetto di giudicato, stabilito che la liquidazione avvenisse secondo “la situazione patrimoniale attuale”;

7) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., per aver diversamente deciso circa la “particella (OMISSIS)” del foglio n. (OMISSIS), già oggetto della sentenza di scioglimento della comunione resa dal Tribunale nel 1981, che quindi non avrebbe potuto essere ricompresa fra i beni sociali;

8) violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., per non aver la corte territoriale accolto la domanda di risarcimento del danno, che era stata introdotta alla prima udienza in appello;

9) violazione e falsa applicazione dell’art. 373 c.p.c., con nullità della ordinanza del 5 novembre 2014, rep. 1630/14, non avendo egli mai proposto istanza di inibitoria, onde il relativo procedimento incidentale è stato introdotto d’ufficio: chiede, quindi, alla Corte di annullare la decisione e rimettere la causa innanzi alla corte del merito per una nuova estrazione a sorte dei lotti.

2. – I motivi possono essere tutti congiuntamente trattati, atteso che sono affetti da gravi carenze che li accomunano.

2.1. – Nella singolare vicenda all’esame, la Corte d’appello dell’Aquila ha emesso tre sentenze (sentenza non definitiva 22 novembre 2007, sentenza non definitiva 27 marzo 2013 e sentenza definitiva 23 maggio 2014) ed un’ordinanza in data 5 novembre 2014, con la quale ha proceduto al sorteggio delle quote indicate nelle sentenza definitiva.

L’ultima sentenza, quella definitiva, del 23 maggio 2014 ha statuito che tutte le questioni sono state decise con le sentenze precedenti e che la ragione della prosecuzione del giudizio risiedeva unicamente nella circostanza che la sentenza 27 marzo 2013 aveva disposto la rinnovazione del progetto di divisione, il quale era errato essendosi considerati, tra i cespiti da dividere quali oggetto di mera comunione tra le parti, anche cespiti appartenenti, in realtà, alla società tra i due condividenti e già definitivamente fatti oggetto di decisione con la sentenza 22 novembre 2007, che aveva disposto la liquidazione della quota in favore di uno dei condividenti – l’attuale controricorrente – condannando l’altro al pagamento di una somma in suo favore.

Ne deriva che – essendo stato il ricorso presentato all’ufficiale giudiziario per la notifica il 7 luglio 2015 e non essendo stata dedotta nessuna riserva di ricorso avverso le sentenze non definitive (art. 361 c.p.c.) – deve concludersi per l’inammissibilità di tutte le censure riguardanti tali sentenze, ostandovi il giudicato formatosi nelle more: e, dunque, reputarsi inammissibili tutti i motivi che quei pronunciamenti intendano rimettere in discussione.

Invero, l’art. 361 c.p.c. prevede la riserva facoltativa di ricorso contro sentenze non definitive, stabilendo che, in tal caso, il ricorso per cassazione può essere differito qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, e, in ogni caso, non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza in questione.

Ne deriva che la parte, la quale abbia formulato la riserva di impugnazione differita di una sentenza non definitiva ha l’onere, invero, di dedurre e provare detta evenienza, ai fini della ammissibilità della propria impugnazione. Infatti, in tema di impugnazioni, in caso di sentenza non definitiva pronunziata in grado di appello ed impugnata unitamente a quella definitiva successivamente emessa, è demandata alla Corte suprema la verifica, in limine, dell’ammissibilità del proposto ricorso.

2.2. – Fermo, dunque, che sono inammissibili tutte le censure rivolte alle sentenze non definitive (motivi sesto e settimo), a ciò, per completezza, si aggiunga che i motivi sono inammissibili, anche laddove neppure individuano quale sia il provvedimento d’appello che il ricorrente abbia inteso censurare (cfr. i motivi primo, terzo, quarto, ottavo).

2.3. – Inammissibile, del pari, la pretesa che sia la Corte di legittimità ad assegnare al ricorrente alcuni beni piuttosto che altri.

2.4. – Con riguardo all’unica sentenza per la quale il termine per ricorrere per cassazione non era scaduto – quella definitiva pronunciata il 23 maggio 2014 – in essa si afferma che sul nuovo progetto divisionale, varato nel corso dell’ultimo segmento del giudizio di appello, non furono sollevate contestazioni tempestive.

Sul punto, è dunque infondato il secondo motivo – il quale sostiene l’omesso esame di fatto decisivo, ossia che il progetto divisionale del 2013 fu contestato all’udienza di precisazione delle conclusioni – giacchè tale contestazione era proprio destinata a rimanere del tutto irrilevante, in quanto tardiva, atteso il disposto dell’art. 789 c.p.c., che presuppone la contestazione al progetto avvenga all’udienza di discussione a tal fine fissata.

2.5. – Inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2289 c.c., di cui al terzo motivo (e dal ricorrente neppure specificata con riguardo alle ragioni per le quali le norme della Carta costituzionale sarebbero violate), in quanto irrilevante nella soluzione della presente controversia.

2.6. – Il quinto motivo è infondato, laddove censura la sentenza del 2014, per avere interpretato in modo non adeguato le domande proposte in primo grado.

Costituisce, invero, principio consolidato quello secondo cui, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formulazione letterale adottata dalla parte (Cass. n. 26159 del 2014; Cass. n. 21087 del 2015), dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa, come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè del provvedimento in concreto richiesto, non essendo condizionato dalla mera formula adottata dalla parte (Cass. n. 5442 del 2006; n. 27428 del 2005).

La Corte d’appello dell’Aquila, in stretta coerenza con la formulazione delle domande di scioglimento della comunione, ritenuti fondati i rilievi di A.G. e legittimando di conseguenza la costituzione della servitù di passaggio al fine di rendere razionale la divisione dei terreni, non avendo un lotto una strada di accesso, ha attribuito a tale costituzione di servitù valore, nella specie, intrinsecamente attuativo delle domande spiegate, in linea con la ratio decidendi che le sostanzia.

Non si configura pertanto il vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c., giacchè questo ricorre solo quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili di ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato; mentre al di fuori di tali specifiche previsioni il giudice, nell’esercizio della sua potestas decidendi (anche riguardo alla interpretazione della domanda), resta libero non solo d’individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle all’uopo prospettate, ma anche di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della controparte, la presenza o la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva od estintiva di una data pretesa della parte, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (Cass. n. 12265 del 2003; conf. Cass. n. 6945 del 2007).

2.7. – Il nono motivo è inammissibile, perchè, oltre ad essere carente di specificità ex art. 366 c.p.c. non chiarendo quale sia la statuizione del provvedimento che si intenderebbe impugnare, attinge un’ordinanza priva di carattere decisorio e avente natura meramente esecutiva.

Esso, invero, trascura il principio di diritto, secondo cui il provvedimento con il quale il giudice istruttore, uniformatosi alle statuizioni della sentenza che ha approvato il progetto di divisione, provveda al sorteggio e alla assegnazione dei lotti, non è soggetto a impugnazione, in quanto mero atto esecutivo delle decisioni assunte (cfr. Cass. 22 marzo 2018, n. 7182, fra le tante).

3. – Le spese di lite seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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