Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21219 del 09/08/2019

Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 09/08/2019), n.21219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15029/2015 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pico della

Mirandola n. 56/h, presso lo studio dell’avvocato Brunetti Massimo,

che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

La Doria S.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 168/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 26/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/03/2019 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto che

Codesta Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Salerno con sentenza del 26 febbraio 2015, respingendo l’appello principale e quello incidentale, ha confermato la decisione del Tribunale di Nocera Inferiore in data 12 marzo 2008, che ha condannato R.F. al pagamento, in favore di La Doria s.p.a., della somma di Euro 123.367,87, oltre interessi dalla domanda, a titolo di rimborso delle sopravvenienze passive accertate riguardanti i precedenti esercizi sociali, come previsto nella clausola di garanzia apposta al contratto di compravendita della partecipazione rappresentativa del 40% del capitale sociale della Pomagro s.r.l. concluso il 14 marzo 1998.

Avverso questa sentenza propone ricorso il soccombente, affidato a cinque motivi.

Non svolge difese l’intimata.

Il ricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, non avendo la corte territoriale ammesso i nuovi documenti prodotti in appello dal R. (numerati dal 4 al 22), ed, in particolare, la copia conforme del fascicolo avverso di primo grado (n. 4), senza motivare sulla indispensabilità in relazione alla capacità di essi a dissipare l’incertezza sul fatto controverso della tempestività, o no, della produzione documentale di controparte: invero, sarebbe stato allora possibile verificare l’instaurazione del giudizio di primo grado nell’ottobre del 1999 e, quindi, l’inconferenza del timbro di cancelleria in data 5 giugno 1999 sul retro della produzione documentale attorea. Inoltre, da altro documento (il n. 8) depositato in appello dal R., consistente nel bilancio societario al 31 dicembre 1997, si sarebbe riscontrato un fondo accantonamento rischi, che avrebbe potuto essere detratto dalle ritenute sopravvenienze passive.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

L’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo applicabile ratione temporis, prevede: “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio”.

La corte territoriale ha ritenuto inammissibile la produzione di documenti in appello da parte del R. (dal n. 5 al n. 22), in quanto nuovi ai sensi dell’art. 345 c.p.c. e non essendo stata formulata nessuna preventiva istanza volta all’autorizzazione al deposito, in cui la parte abbia motivato la causa ad essa non imputabile della mancata tempestiva produzione. Ritenuta applicabile, al caso di specie, la norma nella formulazione anteriore alla L. 18 giugno 2009, n. 69, essa ha reputato che non possano essere depositati in appello i documenti non prodotti in primo grado nel termine di cui all’art. 184 c.p.c., neppure ove il collegio li reputi indispensabili.

Occorre ricordare come, in tema di produzione di nuovi documenti in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo richiamato, anteriore alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il ricorrente per cassazione che censuri la decisione del giudice di secondo grado in ordine al giudizio di ammissibilità della nuova prova prodotta deve specificare, ai fini del rispetto del principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. e per consentire l’esame del motivo alla S.C., gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione, indicando quindi quali documenti siano stati prodotti in appello e dichiarati inammissibili, precisandone adeguatamente il contenuto (cfr. Cass. 13 luglio 2017, n. 17399).

Ciò per il principio consolidato, secondo cui anche l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di specificità, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (e multis, Cass. 13 maggio 2016, n. 9888; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 10 novembre 2011, n. 23420; Cass. 14 gennaio 2010, n. 488).

Il ricorrente nella specie ha, da un lato, menzionato solo genericamente la produzione, dal medesimo effettuata e non ammessa in appello; dall’altro lato, ha indicato come non ammesso un documento, il n. 4, che la corte del merito non ha incluso tra quelli nuovi (come rilevato anche dal P.G. nelle sue conclusioni); dall’altro lato ancora, ha solo genericamente riferito del contenuto del documento n. 8: senza porre, quindi, questa Corte in grado di delibare il vizio processuale denunziato.

A ciò si aggiunga che neppure si evince la decisività del n. 4, volto asseritamente a dimostrare la tardività della produzione documentale avversa in primo grado, attesi i numerosi elementi di convincimento enunciati dalla corte d’appello sul punto (cfr. quanto esposto infra, nella decisione sul secondo motivo).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 74 disp. att. c.p.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, per avere la corte d’appello utilizzato i documenti della parte attrice in primo grado non elencati specificamente e per non avere considerato l’epoca del timbro in data 5 giugno 1999, anteriore all’instaurazione del giudizio di primo grado.

2.1. – Il motivo è infondato.

La corte territoriale ha affermato che i documenti (dal n. 6 al n. 86), che il R. sostiene non essere mai stati prodotti ritualmente in giudizio e, tuttavia, utilizzati dal tribunale per la sua decisione, furono, invece, depositati dalla parte avversa nei termini prescritti dal codice di rito, come aveva ritenuto anche il giudice di primo grado. Infatti, ha in tal senso argomentato perchè: vi è l’attestazione della cancelleria a tergo dell’ultimo documento, con timbro datato 5 giugno 1999 e firma originale del cancelliere; il convenuto, nella comparsa di risposta, articolò le proprie difese, dimostrando la conoscenza del contenuto dei documenti in questione; la contestazione dell’efficacia probatoria dei medesimi dimostra, ulteriormente, che il convenuto ne abbia accettato la produzione. A ciò, la corte territoriale ha aggiunto la considerazione secondo cui, non essendo contestata la produzione contestuale di tutti predetti documenti, il fatto che il convenuto abbia discorso di alcuni nella propria comparsa di risposta palesa che anche gli altri facessero già parte del processo.

Orbene, osserva il Collegio che la circostanza che il timbro rechi la data del 5 giugno 1999 appare spiegabile, se si considera che l’introduzione della causa venne preceduta dal deposito, da parte di La Doria S.p.a., di un ricorso per sequestro conservativo ante causam in data 20 maggio 1999, come risulta dalla stessa esposizione sommaria dei fatti di cui al ricorso.

Inoltre, la sentenza impugnata, nel ritenere la mera irritualità dell’incompleta elencazione dei documenti nell’indice del fascicolo, ai sensi dell’art. 74 disp. att. c.p.c. – alla luce del comportamento concludente della controparte che, prendendo posizione relativamente a tali produzioni, ha ben mostrato di averne cognizione, confermando così la loro presenza in causa – ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui “la mancanza della firma del cancelliere in calce all’indice dei documenti prodotti, anche se non rende irrituale la produzione, determina, in caso di contestazione, la necessità, per la parte interessata, di fornire, sia pure solo indirettamente ed anche attraverso il comportamento della controparte, la prova della produzione dei documenti di cui intende avvalersi” (da ultimo, Cass. 29 ottobre 2018, n. 27313), nonchè del principio secondo cui, se è vero che la incompleta o inesatta formazione dell’indice del fascicolo delle produzioni fa presumere che il documento non indicato non sia stato acquisito al processo, tale presunzione è superabile qualora la controparte, con le proprie puntuali contestazioni al contenuto dei documenti prodotti, abbia dimostrato di averne conoscenza, accettando, anche implicitamente, il deposito della documentazione (e multis, Cass. 8 settembre 2017, n. 20951; Cass. 22 aprile 2010, n. 9545; Cass. 9 marzo 2010, n. 5671).

3. – Con il terzo motivo, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2362 c.c. (vecchio testo) o art. 2497 c.c., comma 2, oltre l’omesso esame di fatto decisivo, per avere la sentenza impugnata ritenuto la Pomagro s.r.l. illimitatamente responsabile, in quanto socia totalitaria, per le obbligazioni assunte dalla partecipata G.E.I. s.r.l. verso Interconserve s.r.l. ed avere, quindi, ritenuto provata la relativa sopravvenienza passiva, laddove, invece, la partecipazione nella controllata era in taluni periodi insussistente (in particolare nel 1988, periodo di insorgenza della passività) ed in altri (nel 1998, momento di pagamento del debito) pari solo al 90% del capitale sociale, mentre solo in un periodo intermedio (dal giugno 1995 al giugno 1997) la Pomagro s.r.l. fu socia unica.

3.1. – Il motivo è fondato.

La responsabilità dell’unico socio può eventualmente discendere, con riguardo alle obbligazioni della società partecipata, solo in presenza della partecipazione totalitaria al momento della costituzione del titolo dell’obbligazione, e dell’insolvenza della società stessa.

Come questa Corte ha chiarito (Cass. 10 settembre 2013, n. 20702; Cass. 22 ottobre 2003, n. 15793), per l’esperibilità da parte del creditore sociale dell’azione di adempimento delle obbligazioni sorte nel periodo in cui tutte le azioni di una società di capitali erano concentrate in un unico soggetto, ai sensi dell’art. 2362 c.c. (applicabile ratione temporis), non è sufficiente l’inadempimento della società, ma è necessario che questa sia insolvente: “l’effetto della norma è quello di affiancare l’obbligazione personale dell’unico azionista a quella della società, senza però confondere i rispettivi patrimoni, di cui ciascuno resta titolare ancorchè economicamente l’unico azionista possegga l’intero patrimonio della società, perchè altrimenti sarebbe vanificato lo scopo della norma che è quello di rafforzare la garanzia dei creditori sociali e di impedire che i limiti della responsabilità patrimoniale della società consentano all’unico azionista di eludere la responsabilità patrimoniale sancita dall’art. 2740 c.c.”.

Nel caso di specie, la corte d’appello ha reputato provata la sopravvenienza passiva concernente i “conferimenti in GEI per la definizione transattiva contenziosi c/Interconserve Lire 496.189.534”.

Essa riferisce che la GEI s.r.l., società controllata dalla compravenduta Pomagro s.r.l., era stata ritenuta debitrice a titolo risarcitorio per Lire 800.000.000 verso Interconserve s.r.l., in forza di lodo arbitrale del giugno 1996; pertanto, le parti del rapporto debitorio raggiunsero una transazione in data 18 maggio 1998, successiva alla vendita della predetta quota. Come accertato dal c.t.u., il debito è stato peraltro pagato dalla Pomagro s.r.l. nel 1998 e nel 1999, per un totale di Lire 780.222.600.

La corte del merito ha reputato irrilevante sia la misura della partecipazione al capitale sociale pari al 90%, sia che la somma non fosse indicata nel bilancio Pomagro s.r.l. chiuso al 31 dicembre 1998.

Nel ritenere la sopravvenienza passiva comunque riconducibile a situazione anteriore alla compravendita della partecipazione sociale, come tale correttamente imputata alla cedente a titolo di “garanzia” convenzionale, la corte d’appello è tuttavia incorsa nei vizi denunziati dal ricorrente.

Questi, invero, ha dedotto in appello – come è stato da questa Corte riscontrato, mediante il consentito esame diretto degli atti come il tribunale avesse errato nel trascurare quanto rilevato dal c.t.u., ossia che il debito della partecipata GEI s.r.l. fosse relativo a fatti risalenti al 1988, era stato accertato con lodo del giugno 1996 ed era stato pagato (da Pomagro s.r.l.) nel 1998 e 1999, in data successiva dunque alla cessione delle quote de quibus; e che, quindi, per nessuna ragione poteva parlarsi di sopravvenienza facente capo a Pomagro s.r.l., la quale non era socia totalitaria della GEI s.r.l. all’epoca del sorgere dell’obbligazione, che dunque non poteva far capo ad essa; mentre all’epoca del pagamento (atteso che anche il materiale pagamento potrebbe in ipotesi, nei congrui casi e il concorso dei relativi presupposti, costituire fonte di sopravvenienza passiva) la cessione de qua era già avvenuta, onde in radice non potrebbe parlarsi di sopravvenienza.

Non è, dunque, irrilevante la mancata indicazione, nel bilancio chiuso al 31 dicembre 1998, della voce relativa, sebbene nel corso dell’esercizio fosse stato versato l’importo della transazione; nè la corte del merito ha correttamente valutato la circostanza della partecipazione assente o non totalitaria, nel periodo di dedotta insorgenza del debito in capo alla GEI s.r.l.

Dunque, tali profili devono essere opportunamente esaminati dalla corte del merito, al fine di ricondurre l’esborso in questione ad effettiva responsabilità ex art. 2362 c.c. della Pomagro s.r.l. compravenduta e, quindi, alla nozione di “sopravvenienza passiva” contemplata dalla clausola negoziale, e non ad autonoma iniziativa della Pomagro s.r.l., non riferibile dunque all’ambito di efficacia della garanzia convenzionale.

4. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatto decisivo, consistente nella “evaporizzazione” di un fondo rischi di Lire 983.756.265 nel bilancio dell’esercizio sociale 1997, fondo che avrebbe dovuto essere, invece, detratto dalle sopravvenienze passive accertate.

Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatto decisivo con riguardo al contestato accertamento di sopravvenienze passive per “premi export” per Lire 151.111.660, pagati nel 1998 al Ministero delle finanze, laddove vi erano accantonamenti per Lire 277.539.070.

4.1. – Essi sono entrambi fondati.

Il ricorrente lamenta, quale omesso esame di fatto decisivo, che non sia stata presa in considerazione la sua censura della sentenza di primo grado relativa all’esistenza di riserve per Lire 983.756.265, annotate nel bilancio al 31.12.1997, le quali avrebbero dovuto assorbire eventuali sopravvenienze passive, dato che l’art. 3 dell’atto di cessione limitava la garanzia per sopravvenienze passive alle sole somme eccedenti “tutti gli accantonamenti complessivamente considerati come evidenziati nel bilancio chiuso al 31/12/1997”. Il tribunale escluse la rilevanza di tale accantonamento sul rilievo che, comunque, la corrispondente somma non era disponibile alla data in cui si era dovuto far fronte ai pagamenti; ma l’appellante aveva obiettato che ciò che rileva, invece, è la sussistenza delle stesse alla data della cessione, perchè a quella data fa riferimento l’art. 3 del contratto, mentre è irrilevante che esse fossero sparite successivamente, sotto la gestione della cessionaria.

In secondo luogo, il ricorrente lamenta che, con riguardo all’accertata esistenza di sopravvenienze passive per “premi export” per Lire 151.111.660, pagati nel 1998 al Ministero delle finanze, non erano stati presi in considerazione gli accantonamenti per Lire 277.539.070, risultanti dalla C.T.U., nonostante specifica censura rivolta alla sentenza di primo grado.

A fronte di ciò, la corte territoriale neppure menziona tali censure, che tuttavia erano state effettivamente formulate nell’atto di appello; come è dato riscontrare dall’esame diretto dell’atto, permesso in ragione della natura del vizio in procedendo denunciato.

5. – La sentenza impugnata va dunque cassata, perchè riesamini il material probatorio agli atti alla luce di quanto esposto; ad essa si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo ed infondato il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019

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