Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21218 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 02/10/2020), n.21218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14749-2019 proposto da:

V.L., P.P., domiciliati in ROMA, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentati e difesi

dagli avvocati MATTEO MORICHI e CATERINA SORICETTI giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA, rappresentato e difeso dall’avvocato UGO

UPPI giusta procura in atti;

– resistente –

nonchè

BANCA DI FILOTTRANO CREDITO COOPERATIVO DI FILOTTRANO E CAMERANO,

B.M., V.G.;

– intimati –

avverso il provvedimento del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il

05/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI ANNA MARIA, che, visto

l’art. 380 ter c.p.c., chiede che la Corte di Cassazione, riunita in

Camera di consiglio, rigetti il ricorso;

Lette le memorie depositate da entrambe le parti.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. A seguito di sentenza di revoca ex art. 2901 c.c. della vendita della quota di un mezzo dell’immobile in Osimo alla via (OMISSIS), originariamente in comunione tra V.G. e P.P., effettuata dalla seconda in favore del primo, attesa la natura pregiudizievole degli interessi della creditrice (OMISSIS) S.p.A., quest’ultima notificava atto di pignoramento della quota indivisa appartenente alla P..

Il G.E. con ordinanza dell’8 ottobre 2008 disponeva procedersi alla divisione del bene in comunione, e ne conseguiva l’instaurazione del giudizio di divisione endoesecutivo.

Il Tribunale di Ancona con la sentenza n. 1068 del 21 giugno 2010, confermata in appello e passata in cosa giudicata a seguito del rigetto del ricorso per cassazione con sentenza n. 11817/2016, dichiarava la non comoda divisibilità del bene, disponendone la vendita.

Nel giudizio di divisione si procedeva quindi alla vendita del bene pignorato con la conseguente aggiudicazione, ed all’emissione dei decreti di trasferimento.

V.L., deducendo che però a dover essere riassunto, dopo la sentenza della Corte d’Appello, che aveva confermato la non comoda divisibilità del bene, era il giudizio di esecuzione, depositava dinanzi al G.E. istanza di estinzione del giudizio, per la mancata riassunzione nel termine di cui all’art. 627 c.p.c..

Il G.E. previa fissazione di apposita udienza rigettava la richiesta del V., che proponeva reclamo avverso tale provvedimento.

Il Tribunale di Ancona con la sentenza n. 314 del 22 febbraio 2017 ha rigettato il reclamo, ma la Corte d’Appello di Ancona con la sentenza n. 660 del 2018 ha accolto l’appello, dichiarando l’estinzione del processo esecutivo, ed ordinando la cancellazione della trascrizione del pignoramento nonchè della citazione per divisione dell’immobile.

La curatela fallimentare ha quindi proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza ed il procedimento risulta pendente dinanzi a questa Corte con il n. 17521/2018 R.G.

A questo punto V.L. chiedeva al giudice della divisione di adottare tutti i provvedimenti opportuni e conseguenti a seguito della dichiarazione di estinzione del giudizio di esecuzione.

Il G.E. con ordinanza del 5/4/2019, attesi lo stato della procedura di vendita e l’obiettiva controvertibilità delle questioni giuridiche sollevate, ed attualmente all’esame della Corte di cassazione, a seguito del ricorso della curatela fallimentare, ed in particolare in riferimento alla corretta interpretazione degli artt. 601 e 788 c.p.c., quanto alla necessità se la vendita disposta nel processo di divisione endo-esecutiva debba essere effettuata dal giudice della cognizione ovvero dal giudice dell’esecuzione, letto l’art. 337 c.p.c., comma 2, ha sospeso il processo di divisione sino al passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello di Ancona, che aveva dichiarato l’estinzione del giudizio.

V.L. e P.P. hanno impugnato tale ordinanza con ricorso per regolamento necessario di competenza sulla base di due motivi.

Ha resistito con memoria il Fallimento della (OMISSIS) S.p.A.

Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Essendosi ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380-ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte di formulare le sue conclusioni ed all’esito del loro deposito ne è stata fatta notificazione alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

I ricorrenti e la resistente hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

2. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la nullità dell’ordinanza per la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 337 c.p.c., comma 2, o comunque la manifesta ingiustizia dell’ordinanza, in quanto è stata disposta la sospensione sulla base di un potere discrezionale del quale il giudice è privo.

La norma riportata in rubrica consente di disporre la sospensione quando è invocata l’autorità di una sentenza resa in un altro giudizio, mentre nel caso in esame, la sentenza della Corte d’Appello la cui efficacia si invoca in quanto avente carattere pregiudiziale deve reputarsi emessa nel medesimo procedimento, atteso che la divisione de qua ha carattere endo-esecutivo, ed è quindi parte dello stesso processo di esecuzione.

Attesa la provvisoria esecutività di cui è munita la sentenza della Corte d’Appello, essa è destinata a travolgere tutti gli atti esecutivi posti in essere nell’ambito del processo esecutivo e quindi anche nell’ambito del processo di divisione, senza dover attendere il suo passaggio in giudicato.

Il motivo è infondato.

Come puntualmente evidenziato nelle conclusioni del PM la divisone endo-esecutiva, sebbene strumentale alla liquidazione del compendio immobiliare pignorato per quota indivisa, non costituisce una fase dell’espropriazione, ma resta una parentesi cognitiva autonoma, oggettivamente e soggettivamente distinta dalla procedura espropriativa che ne ha cagionato l’introduzione.

Da tale premessa ha quindi tratto le conseguenze sia dell’inapplicabilità dell’art. 336 c.p.c., dovendosi escludere che la vendita disposta in sede di divisione sia un atto esecutivo direttamente ricollegabile alla procedura esecutiva di cui è stata dichiarata l’estinzione, ancorchè con sentenza non ancora passata in cosa giudicata, sia il venir meno in maniera automatica del processo di divisione, destinato quindi a sopravvivere almeno sino a quando l’estinzione del processo esecutivo non risulti dichiarata con sentenza ormai passata in giudicato.

Da tali premesse ha poi tratto l’altrettanto condivisibile conclusione secondo cui, rivestendo la causa di estinzione della procedura esecutiva, nel cui ambito è stata disposta la divisione, carattere pregiudiziale rispetto a quest’ultima, ma essendo nella prima intervenuta una pronuncia di appello, correttamente la sospensione della divisione poteva essere disposta, non già ex art. 295 c.p.c., ma ai sensi dell’art. 337 c.p.c., comma 2, norma alla quale il Tribunale nell’ordinanza impugnata ha fatto esplicito riferimento.

I rapporti tra il giudizio di esecuzione e quello di divisione cd. endo-esecutiva, in quanto insorto ex art. 601 c.p.c. sono stati già esaminati da questa Corte che con la sentenza n. 6072/2018 ha affermato che il giudizio con cui si procede alla divisione (cd. divisione endo-esecutiva), pur costituendo una parentesi di cognizione nell’ambito del procedimento esecutivo, dal quale rimane soggettivamente ed oggettivamente distinto, tanto da non poterne essere considerato nè una continuazione nè una fase, è, tuttavia, ad esso funzionalmente correlato. Ne consegue che il giudizio di divisione dei beni pignorati non può essere iniziato e, se iniziato, non può proseguire ove venga meno in capo all’attore la qualità di creditore e, con essa, la legittimazione e l’interesse ad agire, a meno che a tale deficienza – originaria o sopravvenuta – non si rimedi con una valida domanda di scioglimento della comunione formulata dal debitore convenuto, da altro creditore munito di titolo esecutivo, o, ancora, da alcuno dei litisconsorti necessari indicati nell’art. 1113 c.c., comma 3.

Tali principi sono stati poi ribaditi di recente da Cass. n. 20817/2018, richiamata anche dalla difesa dei ricorrenti, nella cui motivazione è dato leggere che, sebbene tale giudizio di cognizione sia divenuto ormai lo sviluppo normale di ogni procedura espropriativa avente ad oggetto una mera quota, essendo stato il suo collegamento funzionale con il processo esecutivo sottolineato oggi dalla previsione del novellato art. 181 disp. att. c.p.c., in base alla quale – in forza del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 23-ter, lett. f), convertito, con modificazioni, in L. 14 maggio 2005, n. 80 – tale giudizio di divisione” resta indiscutibilmente un ordinario giudizio di cognizione, che si svolge dinanzi al medesimo giudice dell’esecuzione – in funzione, ovviamente, di giudice istruttore civile – della procedura esecutiva contestualmente sospesa in attesa della liquidazione della quota del debitore esecutato.

Occorre pertanto ribadire che la riforma non ha inciso sulla struttura e sulla funzione del giudizio in questione, del quale ha in sostanza meglio precisato alcuni aspetti formali e procedimentali.

Si è quindi precisato che: “In conclusione, da un lato il giudizio di divisione in esame costituisce una parentesi di cognizione vale a dire un procedimento incidentale consistente in un vero e proprio giudizio di cognizione – nell’ambito del procedimento esecutivo, in quanto tale restando autonomo, perchè soggettivamente ed oggettivamente distinto da questo, tanto da non poterne essere considerato nè una continuazione, nè una fase (per tutte: Cass. 10/05/1982, n. 2889; Cass. 08/01/1968, n. 44; Cass. 12/10/1961, n. 2096; ai fini dell’individuazione dei rimedi esperibili avverso i singoli atti di quello: Cass. 24/11/2011, n. 4499; Cass. sez. U 29/07/2013, n. 18185; Cass. ord. 29/12/2016, n. 27346); dall’altro lato, permane una correlazione funzionale del giudizio di divisione endo-esecutiva al processo esecutivo, uno dei cui effetti è stato riconosciuto, ad esempio, nel mantenimento, in capo al creditore esecutante, della sua legittimazione ad agire in divisione fintantochè in capo a lui permanga la qualità di creditore.

Poste tali coordinate ermeneutiche, alle quali il Collegio intende dare continuità, risulta corretta l’esclusione dell’applicazione alla vicenda degli effetti di cui all’art. 336 c.p.c., non potendosi reputare che quanto disposto nell’ambito del giudizio di divisione resti immediatamente travolto per effetto delle vicende del processo esecutivo.

Inoltre, anche a voler valorizzare la detta correlazione funzionale tra i due processi, deve reputarsi che, pur in presenza di una sentenza di primo grado ovvero, come nel caso di specie di appello, che abbia dichiarato l’estinzione del processo esecutivo, a cagione del quale si è posta la necessità di addivenire alla divisione, resti consentito al giudice della cognizione di poter valutare se l’esito della causa pregiudiziale sia o meno ritenuto convincente, e quindi disporre la sospensione ex art. 337 c.p.c., comma 2 (sull’applicazione di tale norma a seguito di quanto affermato da Cass. S.U. n. 10027/2012, si veda ex multis Cass., n. 80/2019; Cass. n. 17936/2018).

3. Il secondo motivo di ricorso deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 337 c.p.c. e/o comunque manifesta ingiustizia per difetto di motivazione (apparente) laddove il Tribunale, ai fini dell’esercizio del potere discrezionale non ha motivato in maniera esplicita le ragioni per le quali non ha inteso riconoscere l’autorità della sentenza emessa nella causa pregiudiziale.

Anche tale motivo va disatteso.

Nelle conclusioni del PM, che il Collegio reputa di condividere, si sottolinea come la decisione di sospendere sia stata assunta alla luce di un’adeguata illustrazione delle ragioni giustificative. Questa Corte anche di recente ha ribadito che (Cass. n. 14738/2019) ai fini del legittimo esercizio del potere di sospensione discrezionale del processo ex art. 337 c.p.c., comma 2, è indispensabile un’espressa valutazione di plausibile controvertibilità della decisione di cui venga invocata l’autorità in quel processo, sulla base di un confronto tra la decisione stessa e la critica che ne è stata fatta. Ne consegue che la sospensione discrezionale in parola è ammessa ove il giudice del secondo giudizio motivi esplicitamente le ragioni per le quali non intenda riconoscere l’autorità della prima sentenza, già intervenuta sulla questione ritenuta pregiudicante, chiarendo perchè non ne condivide il merito o le ragioni giustificatrici (in senso conforme Cass. n. 14337/2019; Cass. n. 18494/2018).

Nella specie l’ordinanza di sospensione, con motivazione succinta, ma comunque soddisfacente, oltre ad avere evidenziato l’avanzato stato della procedura di vendita (già pervenuta all’aggiudicazione dei beni, con la necessità di dover quindi salvaguardare le legittime aspettative degli aggiudicatari), ha ribadito come la soluzione della Corte d’Appello, che aveva dichiarato l’estinzione del processo esecutivo, nasceva da un’interpretazione peculiare del rapporto tra art. 601 e 788 c.p.c., in merito all’individuazione del giudice al quale deve essere concretamente affidata l’attività di vendita del bene dichiarato non comodamente divisibile nel giudizio endo-esecutivo, mostrando in tal modo di nutrire dubbi (anche in ragione dell’obiettiva controvertibilità della soluzione), sulla correttezza della decisione presa dalla Corte d’Appello.

Ne deriva che risulta soddisfatto anche il requisito della motivazione per l’adozione del provvedimento di sospensione, dovendosi pertanto pervenire al rigetto del ricorso.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore del resistente che liquida in complessivi Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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